PASSERINI, Pompeo
– Nacque a Fermo il 19 settembre 1858 da Paolo e da Giulia Marziali. Frequentò il liceo Annibal Caro nella città d’origine; quindi si trasferì a Roma ove compì gli studi di architettura. Nel 1887 prese servizio presso l’ufficio tecnico municipale capitolino come disegnatore di prima classe nella divisione III dell’ufficio V Edilità e lavori pubblici presieduta da Gioacchino Ersoch.
Tra il 1888 e il 1890 intraprese la progettazione di due edifici commissionatigli da Giovanni Boggio e dall’ingegnere Giuseppe Villa, che lo affiancava nella progettazione e nella direzione dei lavori.
Nel primo, situato tra il vicolo Sforza Cesarini e il corso Vittorio Emanuele II, la nuova arteria ideata a prolungamento della via Nazionale, un’alta fascia di bugnato cinge l’edificio lungo l’intero sviluppo dei tre fronti, inglobando le bucature del pianterreno e dell’ammezzato; l’angolo smussato è delineato da un doppio ordine di paraste scanalate in forte aggetto. Il secondo edificio, posto nell’ultimo tratto della via Arenula, è analogamente caratterizzato da una fascia basamentale a bugne che conferisce al fronte verso il largo di Torre Argentina, connotato dall’alto portale centrale e dalla loggia in sommità, un forte movimento chiaroscurale.
Appare evidente già in queste prime opere l’originalità del linguaggio di Passerini, in ragione della quale fu successivamente definito «uno dei pochi fra gli architetti di Roma capitale ad impiegare correntemente un repertorio stilistico neomanierista e neobarocco, in luogo del più diffuso codice fondato sulla replica dei prototipi rinascimentali, più consueti» (Sefarad, 1996, p. 101).
Nel 1889, ancora sulla via Arenula, assunse la direzione dei lavori del palazzo Boggio, Boasso e Pelli progettato da Attilio Riccio: il trattamento del prospetto, con il grande portale, e la generale sicurezza nel ricorso alla cifra stilistica neomanierista hanno fatto ritenere probabile anche nella redazione di quel progetto un intervento di Passerini. Nel medesimo anno curò la realizzazione del palazzo Avogadro-Martel nuovamente sul corso Vittorio Emanuele II, nella fattispecie lungo il secondo tronco viario di questo, tra la piazza S. Andrea della Valle e via Larga, caratterizzato dalle demolizioni più radicali (Racheli, 1995).
Passerini conferì all’edificio un’impostazione simmetrica il cui asse, posto in corrispondenza dell’angolo tra le due vie, è enfatizzato dalla presenza del portale d’ingresso sovrastato dall’altana del piano nobile; il resto della facciata è ritmato da bucature con timpano mistilineo e, inferiormente, dalla consueta fascia di bugnato in forte rilievo.
La realizzazione dell’edificio costò a Passerini un severo provvedimento disciplinare: aveva infatti intrapreso le opere senza le necessarie autorizzazioni, e le dirigeva approfittando di un periodo di congedo dal lavoro per malattia accordatogli dall’amministrazione (Archivio storico capitolino, Titolo 8, prot. 62192/188).
Nel 1890 prese parte alla prima Esposizione italiana di architettura di Torino con un progetto per la sistemazione di piazza Colonna. Divenuto membro dell'Associazione artistica tra i cultori di architettura nel 1892, venne nominato in quello stesso anno, con Giovanni Battista Giovenale, Luigi Bazzani, Ettore Bernich, Carlo Busiri, Vincenzo Costa, Vittorio Mariani e Camillo Pistrucci, nella commissione per l'esposizione di Berlino; tra il 1892 e il 1893 fu inoltre tra i ‘soci partecipanti allo studio’ della Commissione per S. Maria in Cosmedin, costituita da Giovenale, Giovanni Riggi e Raffaello Ojetti (Annuario dell’Associazione artistica tra i Cultori di architettura, 1893 e 1894).
Nel 1897 prese parte, insieme al conterraneo architetto Guido Cirilli, al concorso per la realizzazione della nuova aula del palazzo di Montecitorio. Il progetto venne giudicato favorevolmente dalla commissione per l’efficacia della soluzione compositiva, che prevedeva «un’aula ovale e utilizzava felicemente l’antica fontana» (Il palazzo di Montecitorio, 1967, p. 282): ciò ne consentì l’ammissione, insieme ai lavori di Gaetano Moretti, Gaetano Koch ed Eduardo Talamo, al successivo grado del concorso.
In quegli stessi anni frequentò lo studio di Ettore Bernich, dove conobbe Luigi Morosini: fu Passerini, già collaboratore di Giuseppe Sacconi, a presentare il giovane collega all’artefice del progetto del Vittoriano. Entrambi lavorarono presso l’ufficio tecnico appositamente istituito per la realizzazione del monumento: nell’elenco delle mansioni svolte dall’ufficio, redatto nel 1905 da Manfredo Manfredi, «l’architetto cavalier Passerini» è citato come «preposto alla Sezione artistica» con l’incarico di disporre «i disegni da consegnarsi ai modellatori, assistito dall’arch. cav. Luigi Morosini» (Borsi - Buscioni, 1983, p. 66).
Nel 1905, alla morte di Sacconi, Passerini, coadiuvato da Adolfo Cozza e dall’ingegnere Guido Crimini, subentrò alla conduzione dei lavori per il breve periodo antecedente la nomina della nuova direzione artistica: «a costoro spetta il tentativo di dare forma unitaria alle molteplici soluzioni fino ad allora prospettate» (Il Vittoriano nascosto, 2005, p. 39) mediante l’elaborazione di un nuovo bozzetto. Il modello, definito da Manfredo Manfredi «un obbrobrio» (Borsi - Buscioni, 1983, p. 68), andò perduto a seguito di un incendio mentre era in mostra all’'Esposizione di Milano del 1906.
Nello stesso anno, il progetto per la costruzione della nuova sede dell’Istituto internazionale di agricoltura all’interno della villa Umberto I provocò accese polemiche. Il ricordo della proposta di lottizzazione dell’area del galoppatoio redatta nel 1888 da Giovenale (Incisa della Rocchetta, 1973; Cipriani, 2002) era ancora vivo nella memoria di molti: Carlo Lodi e Saverio Valentini, cittadini romani, intentarono una causa uti cives et uti singuli per rivendicare il diritto sancito dalla legge ospitale murata sul fondale prospettico del teatro posto al limitare del secondo recinto, un tempo riservato al principe (l’attuale parco dei Daini). La petizione pro villa Borghese, subito promossa per fornire supporto all’iniziativa, raccolse più di 105 fogli di firme, incontrando il favore delle principali istituzioni scientifiche e artistiche (Incisa della Rocchetta, 1973; Cipriani, 2002). L'istanza tuttavia fu respinta e i lavori regolarmente intrapresi: l’edificio, in seguito intitolato a David Lubin, venne inaugurato il 23 maggio 1908 alla presenza dei sovrani (L’Illustrazione italiana, 1908).
Assai riuscita la sintesi tra architettura e decorazione operata dagli artisti che vi lavorarono, da Cozza ad Adolfo Apolloni a Lemmo Rossi-Scotti, già attivi, come lo stesso Passerini, nel cantiere del Vittoriano. La difformità dell’architettura di villa Lubin rispetto alla sua consueta produzione è stata attribuita da alcuni al mai documentato apporto di un coadiutore: tra i nomi ricorrenti spicca quello di Raffaele De Vico, operante presso lo studio di Passerini dal 1908 al 1914 (Casciato, 1991), al quale può certamente riconoscersi una forma di collaborazione nei modi a questo più propri ovvero, plausibilmente, nella disposizione dell’edificio rispetto al giardino e non già a livello progettuale: «è questa anzi tra le opere dell’architetto marchigiano forse la più riuscita, quella in cui l’eclettismo retorico e un po’ ibrido dei palazzi civili matura in una semplificazione degli elementi e in una ornamentazione meno gratuita attraverso una chiara riflessione critica sulla lezione appresa dal Sacconi nei lunghi anni passati al suo fianco» (Cipriani, 2002, p. 26).
Nel 1909 fu approvato il progetto relativo alla nuova sede del ministero dei Lavori pubblici, da erigersi sull’area della villa Patrizi fuori Porta Pia, dal 1907 di proprietà dell’Ente delle ferrovie dello Stato cui era stata affidata la realizzazione. Il cantiere subì ritardi e rallentamenti anche a causa della guerra: ultimato nel 1925, il complesso venne ampliato nel 1931 con la costruzione di una nuova ala.
L’articolazione della planimetria in blocchi funzionali distinti – il governo, gli uffici, la biblioteca – costituisce il primo elemento di novità rispetto alla staticità delle masse che connotava i palazzi dell’architettura ufficiale. Per quanto riguarda gli apparati decorativi l’architetto attinse nuovamente al repertorio neobarocco, come sempre utilizzato con mano sicura, preferendolo al Neocinquecento romano (I ministeri di Roma capitale…, 1985, p. 87).
Ancora di Passerini è l’edificio limitrofo situato lungo il viale del Policlinico, attuale sede dell’Ente delle Ferrovie.
Il progetto per la sede del ministero dell’Interno nell’area di via Panisperna, redatto in quegli stessi anni per incarico del Genio civile, non fu ritenuto idoneo da Giovanni Giolitti per il fatto che, «quantunque informato a buoni concetti d’arte, non rispondeva alle attuali esigenze dei servizi dipendenti dall’amministrazione che avrebbe dovuto trovarvi sede» (I ministeri di Roma capitale…, 1985, p. 189).
Altre opere di Passerini riguardano progetti per la realizzazione o la modifica di fabbricati in Roma, a testimonianza di un’attività professionale perdurante almeno fino al 1923, anno nel quale intraprese il suo ultimo intervento documentato, la sopraelevazione del casamento di proprietà di J. Puccio al n. 289 di corso Vittorio Emanuele.
Nel 1936, rimasto vedovo di Haydée Spaziani, lasciò Roma per stabilirsi a Torre di Palme, nei pressi di Fermo, nella villa acquistata dai Vinci e già utilizzata come residenza estiva (Gabrielli, 1928); ivi morì il 31 marzo 1947.
Fonti e Bibl.: Fermo, Archivio storico arcivescovile, Parrocchia di S. Gregorio Magno, Registro dei Battesimi 1809-1868, n. 11R, cc. 165-166; Registri delle anime, n. 18R (1849-1858), c. 7r, n. 19R (1858-1877), n. 20R (1876-1907), passim; Fermo, Ufficio Anagrafe e Stato civile, Registro atti di morte, anno 1947, f. 2 n. 6; Foglio di famiglia n. 1667; Roma, Archivio storico capitolino, Titolo 8, prot. 62192/1888; Titolo 54, prot. 96396/1888, 42245/1889, 1731/1890, 37486/1909; Titolo 61, prot. 9098/1900 e 14669/1900; Commissione Edilizia, Verbali, vol. 36, pp. 181 e 210, vol. 38, p. 141, vol. 39, p. 100, vol. 44, p. 109, vol. 45, p. 38, vol. 47, p. 59, vol. 56, p. 65, vol. 57, p. 322; Roma, Soprintendenza alla Galleria nazionale d’arte moderna, Archivio Bioiconografico 1880-2007, Settore biografico, scheda 17363, cassetto 215; I Esposizione italiana di architettura. Torino 1890. Catalogo, Torino 1890, p. 31; Annuario dell’Associazione artistica tra i Cultori di architettura, II (1892), pp. 19, 38, III (1893), pp. 18, 21, V (1895), p. 13; Arte e Storia, XVII, 3, 1, 1898, p. 8; T. Gnoli, La sede dell’Istituto d’Agricoltura, nella Villa Borghese, in Roma, in L’Illustrazione italiana, 31 maggio 1908, p. 517; Uomini e cose del giorno. L’architetto P. P. autore dell’Istituto nazionale di agricoltura a Roma, ibid., 7 giugno 1908, p. 540; Marchigiani illustri o benemeriti degni di essere conosciuti, in Fra Crispino. Periodico popolare, V (1914), 3, p. 71; M. Piacentini, La mostra di architettura alla I biennale romana, in Architettura e arti decorative, I (1921), 3, pp. 284, 291; F. Sapori, La I mostra biennale d’arte in Roma, in Emporium, LIII (1921), 318, p. 303; R. Gabrielli, Una famiglia di artisti: i Paci, Ascoli Piceno 1928, p. 90; I cinquant’anni di vita artistica e professionale dell’architetto Luigi Morosini: 1893-1943, Roma 1946, passim; M. Piacentini - F. Guidi, Le vicende edilizie di Roma dal 1870 ad oggi, XI, Le opere pubbliche nel ventennio 1900-1920, in L’Urbe, n.s., XII (1949), n. 3, p. 32; Idd., Le vicende edilizie…, XII, L’edilizia privata nel ventennio 1900-1920, ibid., n. 6, p. 32; Roma cento anni fa, in Capitolium, XXXVII (1962), 1, p. 29; Il palazzo di Montecitorio, con scritti di F. Borsi et al., Roma 1967, pp. 282, 319; G. Incisa della Rocchetta, Antichi allarmi per villa Borghese, in Strenna dei Romanisti, 1973, vol. 33, 2, p. 239; F. Borsi - M.C. Buscioni, Manfredo Manfredi e il classicismo della nuova Italia, Milano 1983, pp. 39, 66, 68, 71 s., 82; M. De Vico Fallani, Raffaele De Vico e i giardini di Roma, Firenze 1985, p. 26; I ministeri di Roma capitale. L’insediamento degli uffici e la costruzione delle nuove sedi (catal., Roma), Venezia 1985, pp. 87, 187, 189; M.T. Valeri, Luigi Morosini ingegnere architetto ferentinate (1866-1954), in Lunario Romano 1990: pittori, architetti, scultori laziali nel tempo, Roma 1990, p. 334; M. Casciato, De Vico Raffaele, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXIX, Roma 1991, p. 555; A.M. Racheli, Restauro a Roma, 1870-1990. Architettura e città, Venezia 1995, pp. 63, 308; Sefarad: architettura e urbanistica ebraiche dopo il 1492. Atti dell’8° Convegno internazionale “La deriva dei continenti: architettura e urbanistica sefardite dopo il 1492”, Ferrara… 1992, a cura di A. Petruccioli, Como 1996, pp. 101, 106; A. Cipriani, Architettura e decorazione, in A. Cipriani - M. Caporilli, Villa Lubin. Sede del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, Roma 2002, pp. 17-19, 26 s., 29, 39, 41, 118; Il Vittoriano nascosto, con testi di M.R. Coppola, A. Morabito, M. Placidi, a cura di F. Galloni, Roma 2005, p. 39; P. Portoghesi - R.C. Mazzanti, Palazzo Montecitorio. Il palazzo liberty, Milano 2009, p. 40.