Pompeo Neri
Dopo le guerre di successione della prima parte del secolo e la pace di Aquisgrana del 1748, prendono l’avvio negli Stati del Nord un dibattito e un movimento di riforma nei quali vengono coinvolti banchieri, uomini di Stato e intellettuali sia nell’ambito delle istituzioni sia in quello del sistema monetario (Venturi 1969; Capra 1979; Tucci 1986; Amato 1996). Tra questi intellettuali o esperti dell’amministrazione di alta competenza, si trova Pompeo Neri, giurista e politico italiano, considerato uno dei principali artefici delle politiche riformiste degli Asburgo-Lorena, sovrani del Granducato di Toscana.
Nato a Firenze il 17 gennaio 1706, Neri ebbe formazione prevalentemente giuridica. Il padre, Giovanni Bonaventura, era stato un illustre giurista a Pisa. Dopo la prima educazione in seminario, fu egli stesso studente di giurisprudenza nello Studio pisano negli anni Venti del secolo, in un clima di rinnovamento degli studi che inconsapevolmente preparava una nuova classe dirigente virtualmente ‘nazionale’. Giovanissimo professore di diritto sempre a Pisa, insieme a Bernardo Tanucci e Giulio Rucellai fu protagonista di uno scontro con alcuni esponenti dell’establishement accademico, finché, nel 1737, i tre giovani furono chiamati a Firenze a collaborare con il governo granducale. Avrebbe avuto probabilmente una carriera assai simile a quella del padre se, negli anni Quaranta, non fosse stato chiamato a Milano da Maria Teresa come presidente dell’ufficio di censimento, ossia di quel catasto generale che era in quel momento il nodo centrale dell’intera politica economica in terra lombarda.
In realtà, nel 1745, Pompeo Neri era stato incaricato, da Francesco di Lorena, allora granduca di Toscana, di predisporre un progetto di «rifusione generale» di tutte le leggi dello Stato, in «un codice simile a quello della Savoia». Ma il progetto toscano non decollò. Pompeo partì dunque per Milano, nel 1748, chiamato da Maria Teresa, per riformare il catasto milanese ai fini di una più equa ripartizione dei carichi fiscali. Egli presiedette la Giunta per il censimento che aveva l’incarico di compilare il nuovo catasto, che verrà poi ultimato nel 1757. A Milano attuò inoltre un ampio programma di riforme in campo finanziario e amministrativo.
Tornato a Firenze nel 1758, venne nominato consigliere della reggenza per gli affari della finanza. Condusse anche le riforme per la libertà del commercio dei grani, discusse nella sua Memoria sopra la materia frumentaria (1767) la soppressione della manomorta e l’abolizione delle corporazioni d’arti. Caratteristica di Neri fu quella di riprendere nei suoi lavori, prima di ogni riforma, i maggiori scritti teorici e di trarne tutte le indicazioni utili per condurre l’azione relativa.
Diventato granduca Pietro Leopoldo, per suo volere Neri fu nominato ministro per gli affari interni e, alla creazione del Consiglio di Stato nel 1770, presidente del Consiglio stesso. Morì a Firenze il 15 settembre 1776.
Nel 1751, durante il suo periodo milanese, Neri pubblica le Osservazioni sopra il prezzo legale delle monete: è lo stesso anno nel quale Ferdinando Galiani pubblica a Napoli il suo trattato Della moneta (Tiran 2005). Il testo di Neri, che presenta la sua concezione in campo economico, non ha un intento teorico in quanto rientra piuttosto nel lavoro di preparazione della serie di negoziati con la corte di Torino per raggiungere l’uniformità monetaria tra i diversi Stati. L’opera, divisa in quattro parti, risulta però compiuta anche sotto il profilo teorico, in quanto si basa su testi dei maggiori autori di argomento monetario, tra i quali John Locke (Kelly 1991), Carlo Antonio Broggia, Nicolas Dutot (specie le Réflexions politiques sur les finances et le commerce di quest’ultimo, del 1738). Tutti questi autori hanno in comune il fatto di essere contrari a qualsiasi manipolazione monetaria. Locke, in particolare, in The great recoinage (1695-1698), tratta della riforma monetaria del 1690 (Tiran 2011, pp. IV-XLII) mentre Dutot argomenta contro gli esperimenti finanziari della Francia condotti da John Law.
Tra i lavori di rilievo di Neri, risalenti al periodo milanese, vi è la notevole Relazione sullo stato in cui si trova l’opera del censimento universale del ducato di Milano nel mese di maggio dell’anno 1750.
Dopo il ritorno a Firenze, Neri pubblicherà la Memoria sopra la materia frumentaria (1767), nella quale affronta il tema del vincolo annonario. In merito al problema, egli era riuscito a ottenere una prima vittoria nel corso di una gravissima carestia, mediante il varo di importanti provvedimenti liberistici sull’esempio francese. Scriverà Giovanni Fabbroni:
La successiva carestia (molto più grave) dal 1766 al 1767 fu confidata al benefico principio di libertà; il Governo non spese niente, ed i prezzi dei grani, come è notorio, andarono gradualmente scemando fin dal primo momento (Dei provvedimenti annonarj, 2a ed. ampliata 1817, pp. 274-75).
Per quanto riguarda le Osservazioni, quello che principalmente preoccupa Neri è di uscire dal linguaggio oscuro e confuso, caratteristico in particolare degli scritti monetari. La materia monetaria era in quest’epoca assai poco chiara e le Osservazioni di Pompeo «sono uno dei capolavori della scienza economica del Settecento italiano» (Venturi 1958, p. 948). Come accennato, il motivo del libro era costituito dal tentativo di trovare un accordo monetario tra Lombardia e Piemonte (Felloni 1969). L’accordo si prefiggeva due punti: la proporzione da stabilirsi tra l’oro e l’argento e il valore relativo dei suddetti metalli. L’obiettivo personale di Neri era quello di consentire al governatore Gian Luca Pallavicini (1697-1773) di imporre una superiorità tecnica nella trattativa.
Significativamente Neri inizia il suo testo scrivendo: «Il fondamento di tutti i regolamenti in materia di monete consistendo nell’esattezza dei saggi […]» (Osservazioni sopra il prezzo legale delle monete, in Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi, parte antica, t. 6, 1804, p. 7).
Segue un esame delle pratiche diverse secondo le piazze monetarie. Neri richiama opere di Broggia (Trattato de’ tributi, delle monete e del governo politico della sanità, 1743), Girolamo Belloni, Jacques Savary (1622-1690); si riferisce inoltre a Guillaume Budé (1468-1540; De asse et partibus eius, 1514), Bernardo Davanzati (Lezione sopra le monete, 1588), Geminiano Montanari, Gasparo Scaruffi (Alitinonfo, 1579, ma pubblicato nel 1582) e a Charles Dumoulin (1500-1566; De mutatione monetarum). Fa riferimento inoltre anche a Nicolas Dutot (1684-1741; Réflexions politiques sur les finances et le commerce, 1735), Johann Gottlieb Heineccius (1681-1741; De reductione monetae ad iustum pretium). Infine cita l’opera di Gian Rinaldo Carli (Dell’origine e del commercio della moneta e dell’instituzione delle zecche d’Italia, 1751, poi in 4 voll., 1754-1760).
Troviamo la definizione del valore molto più avanti nel testo, nel paragrafo intitolato Difficoltà che s’incontrano nel definire i gradi del valore delle cose contrattabili per mancanza di un campione inalterabile: «il valore di tutte le cose poste nel commercio umano non è altro che la loro attitudine ad essere permutate» (Osservazioni, cit., p. 127). Da questa maggiore o minore permutabilità trae origine in proporzione contraria il maggiore o minor valore di ogni cosa.
Arriviamo alla definizione rigorosa del valore, quando Neri scrive che
la sola attitudine alla permutazione, qualità composta dalla maggiore o minore abbondanza naturale delle cose e dal più o meno universale desiderio di possederle, è la base di quel che gli uomini chiamano valore (p. 127).
Ritroviamo il paradosso dell’acqua e del diamante, ossia il paradosso del valore secondo il quale gli oggetti di maggior valore spesso sono quelli di minore utilità, sotto una forma diversa dal solito quando Neri scrive: «il latte, le castagne, il frumento dovrebbero valere più dei diamanti, e l’arsenico e la polvere da cannone dovrebbero valere molto meno del niente» (p. 128). E se il valore fosse fondato sui comodi che le cose procurano agli uomini, «l’acqua costerebbe più del vino e il ferro più dell’oro» (p. 128).
Trattando delle relazioni di prezzo tra l’oro e l’argento Neri ne parla con uno spirito fortemente metallista: la moneta è un pezzo di metallo coniato, ma questo conio non ha importanza se non dichiarativa. Neri definisce la moneta come una relazione di proporzione tra due metalli. Egli prosegue con un’attenta analisi di tutti i dati raccolti sul rapporto tra oro e argento in vari opuscoli pubblicati. L’osservazione è fatta sulle monete e non sul metallo in pasta: esplicita è la tecnica con cui si deve identificare la proporzione di oro e argento, e questa proporzione si trova «variante» (p. 29). Dopo avere stabilito il metodo da usare per fare i calcoli osserva che «si vedrà dalla detta dimostrazione che le dette proporzioni d’Italia si trovano varianti fra i due estremi di 14 2/9 e di 17 1/6» (p. 30), un dato che si fonda sulla tabella stampata nella dissertazione Dell’origine e del commercio della moneta di Carli.
Per quanto riguarda il metodo scelto rileva che il beneficio che ne risulta in più è dato dal fatto che, avendo sempre presente il prezzo del marco d’oro e d’argento fino monetato, si scoprono in ogni moneta «gli sbilanci dei diversi ingiusti valori» (p. 36) e ciò può servire come termometro che renda conto dei prezzi delle monete che hanno tra loro una relazione intrinseca. Questo è «l’unico rimedio per impedire gli abusivi traffici di monete che si fanno in danno dello stato, e li disordini che dallo sbilancio procedono come osservano il Montanari e il Dutot» (p. 36). Finisce dicendo che «questo non sia un affare ove possa cadere arbitrio, e che quando si dice fissar la proporzione non si debba intender altro che dichiarare quale sia di fatto la proporzione attualmente corrente. […] Or questo prezzo che l’attività del commercio rende sempre variante non si può con legge prefinire» (pp. 37-38).
Ma come sono stabiliti i prezzi relativi dell’oro e dell’argento tra loro? La risposta è che il commercio ritocca da sé la proporzione «senza bisogno di legge, e la riduce, anzi la tiene sempre nel suo giusto livello» (p. 41).
La legge dell’offerta e della domanda del commercio fa sì che, a seconda dei Paesi, la proporzione tra oro e argento cambi: «È notorio che le miniere d’America rimettono in Europa più quantità d’argento che d’oro, onde hanno occasionato l’incremento di proporzione che l’oro ha ricevuto dallo scoprimento dell’America all’età nostra. È notorio altresì che il commercio d’Oriente, e specialmente quello della China estrae dall’Europa più argento che oro» (p. 45). Importante è il fatto che il centro di gravità del commercio sia passato dal Mediterraneo all’Atlantico, dal che segue che l’Italia non potrà più ritrovare il «primitivo canale del Mar Rosso e dell’Egitto» (p. 47) e non potrà più risultare il centro del traffico. Gli Stati non possono fissare arbitrariamente il valore nominale del denaro. Così il commercio ha mantenuto il proprio carattere sovranazionale a dispetto di ogni dimensione politica.
La sua proposta è quella di un sistema monetario, bimetallico, allargato a un insieme di Stati italiani tra i quali la Lombardia e il Piemonte. Il suo ragionamento è che se la «dieta europea», cioè un nuovo sistema politico basato sul piano di pace universale elaborato dall’abate di Saint-Pierre nel 1712, era stata impossibile (Stapelbroek 2005, pp. 79-110), gli Stati italiani del centro, Venezia, Milano, Torino e Genova potevano comunque nel loro interesse accettare le stesse basi monetarie e i rapporti tra oro e argento. Neri non credeva a un mercato unico europeo e si sforzava invece di definire i caratteri specifici di quello degli Stati italiani. Ma era una vana illusione credere che i governi potessero rinunciare alla loro sovranità per associarsi in un’unione monetaria, mentre avevano la responsabilità di governare le loro economie attraverso la politica monetaria. In realtà, ognuno di questi Stati continuò a fare per conto proprio anche se le difficoltà che incontrò l’operazione monetaria torinese del 1655 dimostrarono che era sbagliato cercare di fare da soli. Neri credeva in una moderna nazione commerciale e in una naturale tendenza verso il commercio universale del genere umano che spingesse tutta la società in un’unica repubblica universale. Il suo sistema poggiava su cinque punti:
1. poter «dividere in gradi uguali in proporzione del loro peso» le monete (Osservazioni, cit., p. 133);
2. «avere una materia suscettibile delle più minute divisioni, e che dividendosi conserva in ciascheduna particella il proprio valore proporzionale», cioè l’oro e l’argento (p. 133);
3. «poter fissare il campione di questi gradi di valore» (p. 133);
4. «scegliere una materia perpetuamente conservabile, facilmente custodibile e facilmente trasportabile da un luogo all’altro» (pp. 133-34);
5. e che sempre l’oro e l’argento facciano «insomma oltre l’uffizio di misura anche l’uffizio di pegno» (p. 134).
Per quanto riguarda le politiche di svalutazione, la prima difficoltà che si incontra è il fatto che le parole usate in quei secoli per indicare le variazioni monetarie inducevano confusione nella mente della gente (Einaudi 1953). I vocaboli sembravano usati «a posta per confondere il significato delle parole e le naturali idee che il buon senso con esse esprime» (p. 168). Bisogna distinguere l’unità di conto, che Neri chiama unità monetaria di contrattazione, dal mezzo di pagamento.
L’unità di conto, a quel tempo, era la «moneta immaginaria» chiamata in ogni luogo lira. Questa moneta immaginaria non era altro per Neri che una quotazione delle monete reali che effettivamente si coniavano, cosicché la «lira corrente non esiste in natura e non è che una quota delle monete che oggi si coniano» (p. 125).
Egli compie un’attenta analisi storica dell’origine e degli effetti di questa moneta immaginaria. Di fronte al disordine monetario, al caos della frammentazione degli Stati europei, era stato immaginato dai mercanti uno strumento che permettesse di superare il disordine delle monete reali creando una moneta immaginaria di due tipi: moneta immaginaria di banco e moneta immaginaria corrente. Neri afferma che il primo tipo di moneta definita in una quantità fissa di metallo, e libera da ogni abuso sia politico sia legislativo, o civile, espressa in una quantità fisica con un campione inviolabile è l’ancora che deve essere scelta per creare un sistema monetario razionale e favorevole allo sviluppo economico. Inoltre aggiunge che la moneta in ogni Paese può essere costituita di un metallo o di un altro, puro o misto purché nel definire l’unità di conto si rispettino le regole: 1) osservare «la proporzione attualmente vegliante tra l’oro e l’argento, e tra l’argento e il rame»; 2) osservare «l’uguaglianza aritmetica che deve trovarsi tra il tutto e le sue parti onde ciascheduna moneta sia prezzata in proporzione della quantità di metallo che in se contiene, acciò si trovi in tutte che il prezzo al prezzo stia come la quantità alla quantità» (p. 157).
Si trattava di eliminare la confusione nei conteggi, confusione generata dalla coesistenza di diverse monete che si riferivano a unità di conto diverse. Ma detto questo, Neri deve affrontare il problema delle manipolazioni monetarie dei principi. Egli analizza le diverse forme di alterazione delle monete e scrive: «A tre sommi capi si possono ridurre, cioè o con la falsificazione privata, o con la riduzione legale della moneta, o con l’aumentazione legale del prezzo consueto di essa» (p. 158). Egli nota le conseguenze di queste alterazioni sui prezzi delle merci scrivendo che «per arrivare all’equipollenza bisogna aggiungerne dieci o dodici più per cento secondo le circostanze» (p. 161).
L’altro grande tema di dibattito tra i diversi autori è la ricerca delle cause dell’aumento dei prezzi, cioè dell’abbassamento del potere d’acquisto della lira. Tra le spiegazioni di questo aumento dei prezzi vi era l’arrivo di quantità enormi di argento e di oro dalle colonie spagnole in Sudamerica. Nelle tavole dei cambi si vede che la lira scemava molti secoli prima della scoperta dell’America che non può quindi avere prodotto altro effetto se non quello di modificare la proporzione tra l’oro e l’argento. La causa della perdita del potere d’acquisto delle monete e dell’aumento dei prezzi deve essere ricercata nella «depravazione delle monete istesse» (p. 176).
Per concludere Neri riassume le sue proposte per ricostruire il sistema monetario degli Stati italiani del Centro-Nord.
È necessario «fissare il campione della lira corrente di Milano» e «ancorarlo a una parte quotitativa dell’oncia d’argento», in modo che questa misura unica serva «a prezzare tutti i generi delle merci e tutti i metalli e tutte le monete reali» (p. 227); bisogna «tenere fisso questo campione» (p. 227); occorre non portare alcuna alterazione alla quantità di metallo fino delle monete di oro e di argento che si trovano nella circolazione monetaria; occorre escludere completamente dal commercio tutta la moneta forestiera; bisogna «richiamare alla zecca tutta la moneta nazionale di rame o di bassa lega per rifonderla e prezzarla a proporzione del metallo fino che contiene» (p. 228); è necessario che la «moneta di rame o di bassa lega [...] non abbia corso che nello Stato» (p. 229); nonché che ogni sorta di moneta approvata [...] si riceva nel pagamento dei pubblici tributi e non possa rifiutarsi» (p. 229); infine, che ogni moneta approvata non si possa ricusare in pagamento di qualsiasi contratto eccetto per il pagamento delle lettere di cambio, e che non si possa pretendere di ricevere le monete approvate a minor somma della tariffa legale.
L’idea di unione monetaria costituiva un piano di riforma che aveva lo scopo di assicurarsi che l’Italia settentrionale non scivolasse ulteriormente indietro in uno stato di sottosviluppo economico. In ogni caso, il governo piemontese non venne persuaso dagli argomenti di Neri e decise di mantenere i propri standard, in modo da essere in grado di trarre profitto finanziario dal vantaggio geografico della sua collocazione tra la Francia e il resto d’Italia.
Osservazioni sopra il prezzo legale delle monete e la difficoltà di prefinirlo e di sostenerlo. Presentate a Sua eccellenza il signor Conte Gian-Luca Pallavicini, consigliere attuale intimo di Stato delle loro maestà imperiali, gentiluomo di camera, eccetera, … sotto il dì di 30 settembre 1751, Milano 1751 (anche in Scrittori classici italiani di economia politica, a cura di P. Custodi, parte antica, t. 6, Milano 1804).
Memoria di Pompeo Neri sopra la materia frumentaria, scritta nel 1767, in G. Fabbroni, Dei Provvedimenti annonarj, Appendice, Firenze 1804, 18172.
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