MOLMENTI, Pompeo Marino
– Nacque a Motta di Livenza l'8 nov. 1819 da Francesco, ingegnere, e Anna (ritratti dal M. in un dipinto precoce il primo, e intorno agli anni Cinquanta la madre; entrambi in collezione privata). Morto il padre nel 1834, il M., che ebbe sempre come punto di riferimento il fratello maggiore Ettore, padre di Pompeo Gherardo, si trasferì a Venezia; già quell'anno risulta frequentare i corsi all’Accademia di belle arti, avendo come docenti Ludovico Lipparini, Odorico Politi e Michelangelo Grigoletti.Tra i suoi studi all'Accademia si deve porre forse un bozzetto in collezione privata, con l'Uccisione di Cesare. Le sue prime prove si collocano in provincia, e sono legate alla committenza del conte Spiridione Papadopoli e della sua consorte Teresa Mosconi, che a Villanova, vicino alla casa dei Molmenti, avevano consistenti possedimenti terrieri e una villa, oggi Rietti-Rota, venduta nel 1914; qui, nella chiesetta gentilizia consacrata a S. Anna, il M. eseguì tra il 1835 e il 1840 la decorazione della lunetta d’ingresso con una Madonna con Bambino, debitrice della cosiddetta Madonna Giovanelli di Giovanni Bellini. Per la contessa realizzò quindi una S. Teresa (esposta all'Accademia nel 1838, perduta), e per la parrocchiale di San Polo di Piave, non lontano da Motta, dove i Papadopoli, banchieri veneziani, avevano una residenza estiva, un S. Paolo (esposto nel 1841, distrutto nel 1917 per il crollo del campanile fatto saltare dal genio civile; nella stessa chiesa doveva esserci anche una Conversione di s. Paolo, pure del M.).
Di un qualche rilievo l’incontro con il duca Saverio di Blacas, che lo scelse per farsi accompagnare nel suo viaggio in Siria tra il 1843 e il 1844: a testimonianza di quell’esperienza, che condusse il M. anche in Grecia, stavano un gruppo di studi dal vero passati a Napoleone III, ma anche un certo numero di opere di soggetto arabo presenti in un elenco di dipinti pubblicato da Cesare Augusto Levi nel 1895 e basato su un catalogo redatto dallo stesso M., ma non più esistente; alcune sono andate perdute (Arabi nel deserto, commissionato dallo stesso Blacas; Preghiera araba, per il conte Matteo Persico che pure aveva proprietà a Villanova e per il quale il M. avrebbe realizzato un S. Matteo, anch'esso perduto, già nell'oratorio di famiglia a Cavasagra, presso Castelfranco; Arabo alla fontana, per la contessa Teresa Mosconi Papadopoli; due versioni di Un bagno di ninfe, eseguite una per un tal signor Coen di Venezia, dove fu esposto nel 1852, e un'altra per il conte Angelo Papadopoli), altre, in collezione privata, furono molto apprezzate dalla nobiltà veneziana per il gusto esotico caratteristico delle ambientazioni e dei costumi delle scene: La partenza di Tobia con Rachele dalla casa di Labano fu realizzato per la residenza di San Polo di Piave di S. Papadopoli, mentre Sara che dà Agar in moglie ad Abramo fu voluto dalla famiglia Treves de' Bonfili – mercanti di origine ebrea che avevano avuto il titolo di baroni da Napoleone – che aveva richiesto altri dipinti con episodi della storia di Giacobbe a Grigoletti e a Francesco Hayez. Presentato all'Accademia nel 1852, il dipinto del M. ha una replica fedele nella collezione Breda a Padova (Millozzi).
Firenze e Roma, tra il 1846 e il 1848, Parigi, all’inizio degli anni Cinquanta, ma anche Monaco di Baviera nel 1858 in rappresentanza dell'Accademia di Venezia al congresso degli artisti tedeschi, furono tappe fondamentali di un percorso formativo che portò il M., grazie anche al contatto con le correnti puriste al di qua e al di là delle Alpi, a dipingere secondo i principî di una estrema perizia formale che i contemporanei riscontrarono nelle opere di questo periodo. Nel 1850 furono esposti all'Accademia tre dipinti del M. che registrano un momento di riflessione su Raffaello, mediata dalle istanze puriste: oltre a Cimabue scopre in Giotto il genio della pittura – perduto, forse realizzato a Roma ma ancora per S. Papadopoli e per il palazzo veneziano a S. Chiara, dove avrebbe trovato sede la Morte di Otello – una Sacra Famiglia dalla Madonna della seggiola, ancora per i Papadopoli, una Vergine con il Bambino di ubicazione ignota, e la S. Orsola per l'omonima chiesa di Conegliano, ora in deposito del duomo, debitrice della S. Cecilia.
Del 1853, data in cui fu esposta a Venezia, è invece Pia de’ Tolomei (Verona, Musei civici), commissionata dal conte veronese Giacomo Franco.
Si tratta di fatto del primo dipinto in cui il M. si andò cimentando con un soggetto «storico», così diffuso a quella data, tratto dal fortunato poemetto di Bartolomeo Sestini del 1822, denso di suggestioni medievaleggianti. Vicina al testo, oltre alla scelta del momento rappresentato (Pia condotta dal consorte in Maremma) e all'ambientazione (il paesaggio lagunare e desolato), anche la resa psicologica dei due protagonisti: la gelosia trattenuta a stento di Nello, colto con il volto fosco e un cavallo quasi imbizzarrito, e la rassegnazione di Pia, su un cavallo calmo e dimesso, descritta nel dettaglio dell’abito e dell’acconciatura. Nel bozzetto, in raccolta privata, è già definita la composizione, ma Pia, anziché volgere in basso gli occhi come nella redazione finale, guarda Nello, seguendo la lezione di Sestini.
Nell'ambito della pittura «di storia» si deve collocare soprattutto l’Arresto di Filippo Calendario, in collezione privata padovana. Eseguito a partire dal 1849 su commissione della principessa Maria Burri Giovanelli, fu esposto nel 1854 all'Accademia veneziana e venne accolto con grande entusiasmo dalla critica per la resa naturalistica degli effetti di luce derivati dall'espediente della lanterna che amplifica il chiarore dell'alba; in ciò, e per essere un dipinto di storia che coniugava istanze realistiche, si poneva come novità assoluta nell’orizzonte artistico contemporaneo, in anticipo di qualche decennio sulle tendenze realistiche della pittura veneziana degli anni Ottanta, certo influenzata dai suoi insegnamenti. Suoi allievi all’Accademia di belle arti – dove il M. fu professore di elementi di figura dal 1851, e dal 1867 fino alla morte professore ordinario di pittura – furono infatti Giacomo Favretto, che lo immortalò in Una lezione anatomica (1873, Milano, Pinacoteca di Brera), Luigi Nono, Ettore Tito, Guglielmo Ciardi: ovvero coloro che di quella stagione sarebbero stati i protagonisti assoluti. Del telero, per molto tempo ritenuto disperso, esistono, oltre a un'antica foto di Naya (n. 412), due incisioni al Museo Correr di Venezia (Pavanello, 1983, p. 151). Significativo il fatto che, a distanza di qualche tempo, quando l'opera fu riproposta all'Esposizione parigina del 1867, venne considerata già datata e sostanzialmente vecchia, negli assunti pittorici e nelle stesse istanze accademiche di cui si ritenne ancora portavoce (Dall'Ongaro).
Tra i suoi dipinti a soggetto sacro si devono ricordare quelli per le chiese di provincia di Fontanelle, nel Trevigiano (una perduta Consegna delle chiavi del 1852); di Carlino, nell’attuale provincia di Udine, con un S. Rocco ancora in loco, colto nel tradizionale gesto di scoprire le piaghe, risalente al 1857; di Vidor, nel Trevigiano, con un Martirio di s. Filomena, non più esistente, probabilmente danneggiato durante la prima guerra mondiale che distrusse il paese; di Carpenedo, con la Beata Vergine Immacolata, pure in loco, del 1893. Inoltre, i dipinti per la nuova chiesa arcipretale di Malo, nel Vicentino, dove sono tuttora conservati: una Beata Vergine Immacolata del 1855, soggetto scelto in relazione alla proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione l'8 dic. 1854, consegnata dopo una lunga esposizione all'Accademia veneziana e che di fatto non è che una delle numerosissime varianti ottocentesche dell'Assunta di Tiziano (della pala esiste uno studio per la testa della Vergine a Venezia, Ca' Pesaro); e le due pale per decorare gli intercolumni, una S. Cecilia (1862) e un Apostolo Paolo, consegnato nel 1859, che indubbiamente si pone quale omaggio alla tradizione quattro-cinquecentesca lagunare. Ascrivibile al M. è pure una Madonna con Bambino e santi sull'altare di S. Francesco nella chiesa di S. Giuseppe ad Adria, frazione di Baricetta. Il dipinto, di straordinaria qualità tecnica, è un omaggio alla pittura veneta del primo Cinquecento: Bellini nella Madonna e di nuovo il Tiziano dell'Assunta nel gruppo degli apostoli in basso. Non è escluso che per questa pala, databile alla metà dell'Ottocento, intermediari furono ancora i Papadopoli che avevano nella zona di Adria vastissime proprietà.
Il M. fu apprezzato dai suoi contemporanei ed è tutt’oggi noto per la sua produzione ritrattistica.
I primi dipinti risentono ancora di un’impostazione romantica, come l’Autoritratto del 1839 circa, noto da una fotografia e perduto, e il Ritratto d'uomo (collezione privata: Ievolella, 2002, p. 236). Di questo periodo sono anche i due ritratti ad acquerello del Museo Correr, raffiguranti l'Ammiraglio Leone Graziani, comandante della marina veneziana ed esponente del triumvirato costituitosi a Venezia nel 1848 (anche il M. partecipò attivamente agli avvenimenti di quei mesi arruolandosi come volontario con il fratello Ettore), e di Lorenzo Graziani, figlio di Leone. Sempre più, nel corso del tempo, il M. sviluppò nei suoi ritratti un’attenzione realistica alla descrizione dell’abbigliamento e degli interni fin nei più piccoli particolari. Straordinario esempio di questa tendenza è il Ritratto di Vespasiano Muzzarelli del 1846 (Bassano del Grappa, Museo civico), che nella resa attenta dei dettagli e nella perizia formale della pittura sembra sfidare gli esiti del nuovo mezzo di rappresentazione del reale: la fotografia (Cinelli, 1989, pp. 249 s.). Suoi sono altri due ritratti della famiglia Muzzarelli degli anni Ottanta: il Ritratto di Angelo Muzzarelli, medico primario dell’ospedale di Brescia (Brescia, Musei civici di arte e storia); e il Ritratto di Giuseppina Muzzarelli, moglie di Vespasiano, colta nobildonna con grande gusto collezionistico. Anche in questi casi la resa fotografica è notevolissima, grazie alla grande puntualità fisionomica con cui nell’ovale emergono, pastello su carta, le figure dei due ritrattati.
Alla metà del secolo si pongono i ritratti per alcuni esponenti della famiglia Mioni, originaria di San Polo di Piave dove il loro palazzo era confinante con i possedimenti dei Papadopoli, probabili mediatori del legame con il M.: il Ritratto di Elena Mioni Fracasso, di Caterina Mioni Pezzi e di Teresa Adami Mioni del 1849 (collezione privata), che risentono ancora dell’influenza di Grigoletti; e il Ritratto di signora di Ca’ Pesaro, databile al 1850 circa, molto raffinato nella resa del bianco dell’abito e dei gioielli che indossa la nobildonna, che evoca nella forma e nei colori il cammeo. Successivi sono il Ritratto di Maria Boldrin Marchesi – la sposa di Gustavo Boldrin, segretario generale del Comune di Venezia, con il quale il M. ebbe durevoli rapporti – realizzato tra il 1865 e il 1875 (mercato antiquario), con evidenti attenzioni alla pittura francese e in particolare agli esiti raggiunti in quegli stessi anni da D. Ingres; e un gruppo di ritratti (anni 1870-80, collezione privata) per la famiglia Ferrari e Braida, con cui il M. entrò in contatto verosimilmente ancora grazie ai Papadopoli per i quali Nicolò Braida, marito di Nina Ferrari ritratta dal M., lavorava nella tenuta di Villanova prima e a San Polo di Piave poi: dunque il Ritratto di Nina Ferrari, un tributo e una «dipendenza» dalla secolare tradizione del colorismo veneziano; il Ritratto di Angelo Ferrari, padre di Nina, acuto nella resa psicologica; quelli di tal Monsignor Ferrari e del cosiddetto Zio Ferrari, ancora un ovale, attento nella descrizione fisionomica.
Discorso a parte va fatto in merito ai dipinti per Augusto Buzzati, l’erudito bellunese, autore della Bibliografia bellunese: il M. era spesso ospite nella residenza estiva di San Pellegrino dove Buzzati aveva raccolto una delle più ricche biblioteche dell'epoca, nella quale figuravano anche schizzi, disegni e ritratti. Per l'ala est della villa, riprogettata su volere di Buzzati in stile neogotico dal M., lo stesso pittore realizzò entro il 1868 Due ninfe danzanti, su fondo rosso a finto mosaico. All'interno, eseguì la tempera su muro che decora la sala da pranzo con il Conflitto tra la reale truppa e i briganti in una campagna meridionale. Al 1849 circa risale poi il Ritratto di famiglia con il pittore (collezione privata) – un dono del M. a Buzzati in occasione delle nozze con Angelina Rossi (1849) – caratterizzato da un'ambientazione domestica, nella cornice di un parco incantato; mentre del 1868, anno in cui venne presentato all'Esposizione della Società veneta pomotrice di belle arti, è la Villeggiatura di Augusto Buzzati (collezione privata) nella villa di famiglia a San Pellegrino, che grazie alla resa di un paesaggio familiare e del minuto realismo in cui il M. si intrattiene, restituisce, oltre alle suggestioni derivate dal viaggio a Monaco di Baviera di qualche tempo prima, anche il tema caro agli impressionisti della conversazione in giardino.
A partire dal 1866 il M. fu impegnato nella realizzazione della Morte di Otello, oggi a Ca’ Pesaro, commissionato dai Papadopoli per il loro palazzo a S. Chiara.
Numerosi studi preparatori nelle collezioni capesarine (lo studio per la testa di vecchio; quello per la testa di ragazzo; l’olio su vetro con Emilia svenuta; un bozzetto della scena secondo una composizione diversa dalla redazione finale, in cui Otello è senza turbante, manca l’altarolo, Emilia si scorge appena; una ulteriore versione, più vicina al dipinto finito) stanno a indicare un percorso di messa a punto del soggetto e della composizione molto attento che lo coinvolse per più di un decennio. L’opera fu esposta nel 1879 a Venezia e nel 1880 a Torino, con qualche perplessità da parte della critica che dovette giudicare il dipinto poco aggiornato rispetto alle nuove tendenze della pittura, ormai lontane dalla macchinosa teatralità nella rappresentazione dei soggetti storici: «l'effetto della verità manca ed il soggetto... pare proprio avvenga sul palcoscenico, anziché nella vita reale» (Filippi, p. 65). Il grande telero, cm 259 x 335, riassume a questa altezza cronologica in maniera quasi paradigmatica le componenti principali della pittura del M. e le tradizioni cui egli si rende debitore: l’esperienza del mondo arabo nelle vesti del Moro, che ai margini del dipinto e in una zona colpita dalla luce è ancora agitato per la violenza del suo gesto; il gusto per l’arredo veneziano, quasi un omaggio all’arte industriale che proprio in quegli anni a Venezia, come altrove, si stava coltivando, nelle preziose trine del letto a baldacchino, della porta che appena si intravede sulla parte opposta, e del tabernacolo sullo sfondo, che ospita una Crocifissione; l’attenzione per il dettaglio negli abiti, soprattutto del gruppo degli astanti, a corredo di un dipinto che si dichiara «pittura di storia»; il particolare di Emilia, la donna che, sdraiata sul ricco tappeto leggermente rialzato, al centro della composizione, ricorda troppo da vicino esempi straordinari della storia artistica come la S. Cecilia di Stefano Maderno nella chiesa omonima romana, distanziandosene per quella chioma di un rosso, invece, molto veneziano.
Il M. fu per decenni anche uno dei protagonisti delle scelte in materia di tutela del patrimonio artistico veneziano.
Accademico di rilievo, fece di diritto parte della Commissione di sorveglianza al riordino dei dipinti antichi, organo interno all’Accademia di belle arti, che, senza mai sostituirle, funzionò ben al di là della creazione delle commissioni provinciali di tutela volute nelle sedi periferiche dal governo centrale già dal 1866. A essa ci si rivolgeva per qualsiasi problema relativo ai dipinti (restauro, acquisti, esportazioni, copie), sia a livello ministeriale sia da parte dei singoli organismi responsabili delle opere d’arte in oggetto: un sistema legittimato fino al 1882, quando si stabilì l’istituzione di una Direzione di nomina governativa competente sulle Gallerie, sottratte di conseguenza al controllo diretto dell’Accademia. Ciò non significò, tuttavia, il misconoscimento delle competenze dei professori accademici, che facevano parte anche delle commissioni provinciali. La presenza del M. è ben attestata fin da una data precoce, e altrettanto presto, benché non da subito, il suo contributo arricchì anche le riunioni, e le decisioni, delle commissioni governative presiedute dal prefetto: la Commissione consultiva di belle arti, istituita il 2 dic. 1866, nella quale il M., prendendo il posto che era stato dall’inizio di Grigoletti, figura a partire dal 1871; e la Commissione conservatrice che dal 1876 soppresse e sostituì la prima, della quale il M. risulta esponente di spicco fino alla morte. In queste commissioni egli ebbe un compito importante ed esclusivo: in qualità di professore di pittura all’Accademia di belle arti, fu anche unico consulente – si rammenti che il ruolo di queste commissioni fu sempre di natura consultiva, laddove le decisioni erano prese dai funzionari dell’amministrazione centrale – in materia di dipinti, e fece parte di numerose sottocommissioni, appositamente istituite per vagliare le diverse questioni relative al patrimonio artistico veneziano che di volta in volta si prospettarono, spesso con i caratteri dell’urgenza: il restauro degli affreschi del Veronese (Paolo Caliari) a S. Sebastiano (1874: Sarti, 2004, p. 26); il parere sull’applicazione del metodo Pettenkofer di rigenerazione dei dipinti antichi (1875-76: Id., 2002); il caso della Tempesta di Giorgione (Giorgio da Castelfranco), allora a rischio di vendita al mercato straniero, e passato su sollecitazione ministeriale alla proprietà del principe Giuseppe Giovanelli (1876: Id., 2001-02, pp. 38 s. n. 86); la valutazione della richiesta di spostare in luogo migliore l’Annunciazione di Tiziano della Scuola di S. Rocco per la copia del pittore americano Charles H. Moore (ibid., pp. 100 s.); il restauro del Martirio di s. Lorenzo di Tiziano ai Gesuiti (relazione del 1877; Sarti, 2004, pp. 151-157); lo stato di degrado dei dipinti muranesi, in particolare della cosiddetta Pala Barbarigo di Giovanni Bellini (1877: ibid, pp. 65-86); la condizione conservativa della Via Crucis di Giandomenico Tiepolo a S. Polo, per la quale il M. vergò di proprio pugno un resoconto dettagliato (1878: Sarti, 2001-02, pp. 46-48); i restauri della basilica di S. Marco, e la decisione da prendere in merito alla «lucidatura o tinta armonizzante» eventualmente da dare ai marmi della facciata sud (1879-80: ibid., pp. 30-32); gli interventi sui dipinti del soffitto dell’oratorio della chiesa dei Gesuati, oggi S. Maria della Visitazione (1880: ibid., p. 48 n. 111); la vicenda del restauro della Pala Pesaro di Tiziano ai Frari, in occasione della quale l’allora prefetto Luigi Sormani Moretti ebbe a riconoscere con il ministro che il M. «è troppo caricato di lavoro anche per essere l’unico pittore che fa parte della Commissione conservatrice dei monumenti» (1881: ibid., pp. 48 s. n. 112); il sopralluogo a Torino per giudicare circa l’acquisto della collezione di Giacomo Burco, offerta in vendita al Ministero e acquistata poi dalle Gallerie fiorentine (1882: ibid., pp. 115 s.); la scoperta di alcuni dipinti nella cattedrale di Torcello, con relazione dello stesso M. (1888: ibid., pp. 101 s.).
Il M. morì a Venezia il 17 dic. 1894.
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