CESURA, Pompeo
Nacque probabilmente all'Aquila (donde il soprannome di Pompeo dall'Aquila, o Pompeo Aquilano) da una "onorata famiglia" che diede anche alcuni scrittori durante i secoli XVI e XVII. Non è conosciuta la data della sua nascita, che deve essere avvenuta nei primi anni del sec. XVI. Solo tardi aggiunse al suo nome quello di Cesura.
Secondo una tradizione raccolta non prima della metà del Settecento egli fu a Roma, giovanissimo, alla scuola di Raffaello, al quale sarebbe forse stato presentato dal concittadino Giovan Battista Branconio. Di questo suo alunnato, tuttavia, non abbiamo alcuna prova certa: l'Antinori, il quale ne dà notizia, informa che l'artista morì nel 1571 "in Roma, giovane mentre pingeva in S. Spirito" (se fosse stato giovane nel 1571 ogni ipotesi di collaborazione con Raffaello scomparirebbe; forse per ovviare a questa contraddizione il Bindi, 1883, non si sa su quale base, affermava poi invece che il C. morì vecchissimo).
Sembra comunque logico supporre che il C. si sia realmente formato a Roma, se non su Raffaello come vorrebbe la storiografia abruzzese che certo soffre di deformazioni campanilistiche, almeno sulle opere dei suoi seguaci: un tale orientamento poteva poi rafforzarsi nella stessa città natale dove era allora visibile, nella chiesa di S. Silvestro, quella Visitazione del Prado che è un chiaro esempio delle tendenze della tarda arte raffaellesca. Ma su questo primo periodo del C. non si possono fare che ipotesi; oltretutto, nulla della sua attività giovanile rimane. Che si sia o no educato a Roma, è certo comunque che egli presto tornò all'Aquila dove passò gran parte della sua esistenza lavorando assiduamente: nel 1542 eseguì una Deposizione incisa da Orazio De Santis; negli anni seguenti affreschi e tele in gran numero, fra le quali un Miracolo di s. Antonio per S. Bernardino, un Noli me tangere per S. Pietro Coppito, una Deposizione per S. Amico; e numerose altre opere citate in antico ma già da molto tempo scomparse. Da ciò che tuttora sopravvive, nell'oratorio di S. Luigi Gonzaga e nel Museo diocesano, sembra che l'opera del C. tra circa 1540 e 1560 sia caratterizzata da un tipo di manierismo spiccatamente decorativo, privo di toni drammatici, nei modi specialmente di Perin del Vaga.
Secondo lo Zeri, il suo stile consisterebbe in un "inteligente accordo tra Daniele da Volterra, il primo Jacopino del Conte e la maniera emiliana". Secondo il Bologna, su una formazione perinesca si inserirebbe l'influsso di Francesco Salviati e soprattutto di Daniele da Volterra: "ma tutto questo calato, sia pure con pittoresco ritardo, dentro una cultura complessivamente ferma ai risentimenti della Stanza dell'incendio...". Sempre secondo il Bologna, il suo stile rammenterebbe anche "le più felici trasformazioni manieristiche degli Spagnoli" attivi a Napoli, cioè Machuca e Roviale.
Nel 1565 era all'Aquila dove dipinse tre quadri, fra i quali l'Adorazione dei pastori per la cappella Ciampella in S. Bernardino che da molti studiosi è ritenuta il suo capolavoro. In quell'epoca egli aveva già allievi, ed era virtualmente l'artista più rappresentativo della città, della quale divenne il pittore ufficiale. Nel 1567 e nel 1569, in occasione del viaggio all'Aquila rispettivamente di Marc'Antonio Colonna e Margherita d'Austria, eresse e decorò insieme con l'allievo G. P. Cardone alcuni archi trionfali. Nel 1570 era al lavoro nella chiesa dell'Annunziata. Nello stesso periodo tuttavia, e specialmente negli anni posteriori al 1565, dovette spesso far ritorno a Roma.
Probabilmente in questi anni, e a Roma, il C. eseguì le molte composizioni attraverso le quali il suo nome divenne noto nel mondo dell'incisione. Tali composizioni non erano incise dal C. stesso, come già il De Dominici ed altri dopo di lui credettero, ma da altri, e specialmente da un pittore anch'egli aquilano (e per il Bartsch forse parente del C.), Orazio de Santis, il quale operò a Roma dal 1568al 1577 ed eseguì le sue incisioni dal C. negli anni dal 1568 al 1573, e quindi anche quando il C. era già morto. Queste incisioni del De Santis sono: Sacra Famiglia con i ss. Elisabetta e Giovanni (1568); Natività,Battesimo di Cristo, Crocifissione, Discesa dalla Croce in due prove diverse, Noli me tangere, Annunciazione (tutte datate 1572); Davide, una immagine di S. Maria Maggiore, i SS. Pietro e Paolo con i ss. Rocco e Sebastiano, Sacra Famiglia in due prove (tutte datate 1573); S. Girolamo,Cristo morto con la Vergine, Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea (datate 1574); S. Giorgio che uccide il drago, Due angeli su un archivolto, Deposizione (non datate ma verosimilmente appartenenti a questi stessi anni). A questi fogli sono da aggiungere due storie della traslazione della casa di Loreto, in due fogli incisi da Filippo Tomassoni.
A Roma fu commissionata al C. (1570) - probabilmente tramite il suo conterraneo Bernardino Cirillo, che si suppone l'abbia protetto - la Deposizione già nella chiesa di S. Spirito in Sassia (documenti relativi sono presentati in De Angelis, 1963).
Questa opera, che, già citata dall'Alveri e dal Titi, è stata qualche volta data perduta nell'Ottocento e ancora nel 1962 (Lavagnino), esiste, e poiché è tutto ciò che del C rimane in luogo facilmente visibile, è il metro sul quale egli è stato spesso conosciuto e giudicato. È opera che rivela come nel suo stile tardo il C. si sia adattato ad un certo clima lugubre della pittura controriformata romana, secondo gli esempi del tardo Iacopino, di Siciolante, del Venusti e fors'anche del Vasari.
Il C. lasciò non solo quadri e affreschi. Suoi disegni a penna e acquarello erano comunemente visibili, e lodati (tuttora un gruppo che va sotto il suo nome si trova nella collezione Ferri agli Uffizi). Egli scolpì in legno diverse cose, fra le quali un S. Sebastiano per la chiesa di S. Benedetto, una Addolorata per la chiesa omonima, un S. Equizio per la chiesa di S. Margherita, ed altri rilievi, poi scomparsi, per l'altar maggiore di S. Maria di Collemaggio; tutto all'Aquila. Un suo S. Pietro Celestino in legno veniva portato a Roma durante l'anno santo del 1600. Il C. avrebbe anche lasciato uno scritto sul disegno, mostrando con quest'opera teorica di essere artista letterato. Ebbe una scuola all'Aquila, e fra i suoi allievi furono G. Paolo Cardone, Giulio Cesare Bedeschi, Giovan Paolo Mausonio, Ottavio del Rosso. L'allievo più prestigioso, Giuseppe Valeriano, fualla sua, scuola nel 1542, ma non sembra che il C.riuscisse a influenzarne lo stile in modo significativo.
Il C. morì nel 1571, mentre lavorava a Roma in S. Spirito. Un'iscrizione commemorativa fu posta nella chiesa di S. Massimo all'Aquila.
Nessuna informazione sul C. ci viene da fonti a lui contemporanee. La prima notizia si deve infatti all'Orlandi, che nella sua opera del 1704 afferma che è "scordato dagli Autori", e che su di lui egli non puòriferire nulla se non di aver visto a Roma, oltre alla Deposizione in S. Spirito, suoi "bellissimi disegni a penna, e acquarello", e all'Aquila suoi affireschi, condotti con "pratica di gran Maestro". Le stesse cose ripete il De Dominici pochi anni dopo, aggiungendo alcune parole sulla attività del C. nel campo dell'incisione. Negli stessi anni andava raccogliendo materiale documentario sul C. l'Antinori, la cui opera servirà poi di base alle compilazioni del Bindi, del Rivera e di altri, e in pratica ancora costituisce tutto ciò che noi conosciamo sul pittore. Il C. appare costantemente ignorato o quasi dalla storiografia moderna. Trascurato dagli storici dell'arte romana come da quelli dell'arte napoletana, egli appare troppo isolato per poter essere immesso in una corrente qualsiasi; gli unici suoi esegeti rimangono eruditi locali.
Fonti e Bibl.: G. Alveri, Roma in ogni stato, II, Roma 1664, p. 274; F. Titi, Studio di pittura..., Roma 1674, p. 32; P. A. Orlandi, Abecedario pittor., Bologna 1704, p. 328; B. De Dominici, Vite de' pittori ... napolitani, II, Napoli 1743, p. 165; L'Aquila, Bibl. provinciale: A. L. Antinori, Notizie su artisti aquilani [ms., sec. XVIII]; P. F. Basan, Dict. des graveurs anciens et modernes..., II, Paris1767, p. 444; A. Bartsch, Le peintre graveur, XVII, Leipzig 1870, pp. 5-14; C. Minieri Riccio, Mem. stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 95;A. Leosini, Monumenti...della città d'Aquila..., I, L'Aquila 1848, pp. 32-40, 67, 92, 117, 140, 200 s., 233 e passim; A. Signorini, La diocesi di Aquila descritta e illustrata, II, L'Aquila 1868, pp. 246, 311 s.; V. Bindi, Artisti abruzzesi, Napoli 1883, pp. 90-96; Id., Mon. stor. ed artistici degli Abruzzi, Napoli 1889, pp. 819, 824; H. Voss, Die Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz, Berlin 1920, p. 578; L. Rivera, Raffaello e varie mem. attinenti all'Abruzzo e a Roma, in Bull. della R. Deput. abruzzese di storia patria, XI-XII (1920-22), pp. 243, 286-88, 294-300 e passim; V. Balzano, O. de Santis, incisore aquilano, divulgatore delle opere di P. C., in Albia, I (1924), 4, pp. 226-31; L. Rivera, Mecenati e artisti abruzzesi a Roma fino a tutto il sec. XVI, in Roma, IX (1931), pp. 292 s., 299-303; Invent. degli oggetti d'arte d'Italia, M.R. Gabrielli, Provincia d'Aquila, Roma 1934, ad Indicem; A. E. Popham-J. Wilde, The Italian Drawings of the XV and XVI Centuries... at Windsor Castle, London 1949; M. Moretti, Guida al castello cinquecentesco e al Museo naz. d'Abruzzo in L'Aquila, s.i.t., pp. 83 s.;F. Zeri, Pittura e Controriforma, Torino 1957, ad Indicem; F.Bologna, Roviale Spagnolo e la pittura napoletana del Cinquecento, Napoli 1959, pp. 57, 96; E. Lavagnino, La chiesa di S. Spirito in Sassia, Roma 1962, pp. 106, 110; P. De Angelis, Una "Deposizione" creduta smarrita e ritrovata, in L'Urbe, XXVI (1963), pp. 33-37; V. Chierici, La basilica di S. Bernardino a L'Aquila, Genova 1964, p. 33; M. Rotili, L'arte del Cinquecento nel Regno di Napoli, Napoli 1972, pp. 106, 110; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 318 (con bibl.).