ALDROVANDI (non Aldovrandi), Pompeo
Nacque a Bologna il 23 sett. 1668, dal conte Ercole, di famiglia patrizia bolognese, e da Maria Giulia Albergati. Iniziò gli studi a Roma nel Collegio romano; li continuò a Siena nel collegio Tolomei per giovani nobili; passò infine a Bologna, nella cui università conseguì il dottorato in utroque iure il 10 marzo 1691.
Protetto da Innocenzo XII, nel febbraio 1696 passò a Roma, dove iniziò la carriera curiale, dapprima come referendario delle Due Segnature, poi come auditore di quella di Giustizia. Clemente XI, dopo la sua elevazione al pontificato, lo nominò luogotenente civile dell'uditore generale della Camera apostolica, che era allora A. Caprara. Quando, nel maggio 1706, il Caprara fu creato cardinale, l'A. gli successe nell'ufficio. Nello stesso arino fu nominato uditore di Rota. Il 5 ott. 1710 ricevette gli ordini maggiori; nel 1711 fu nominato prosegretario della Congregazione. delle Immunità.
A partire dal 1713 l'A. ebbe un ruolo politico di una certa importanza nella composizione del conflitto tra la S. Sede e Filippo V di Spagna, che aveva raggiunto il culmine con la chiusura del tribunale della nunziatura di Spagna nel 1709. Clemente XI, che nell'aprile 1712 aveva invocato la mediazione di Luigi XIV, inviò a Parigi come proprio delegato l'A., contemporaneamente designandolo come possibile nunzio in Spagna. L'A. arrivò a Parigi verso la fine del maggio 1713 per trattare con il rappresentante di Filippo V, G. R. Villalpaldo, che non era però munito di alcun potere effettivo, e con il ministro francese Torcy, quale mediatore.
Le trattative, che sono illustrate dalle relazioni che l'A. spediva regolarmente a Roma (conservate nella serie Nunziatura di Spagna all'Archivio vaticano), vertevano sulle condizioni dì riapertura e sulla giurisdizione del tribunale della nunziatura, sulla tassazione dei beni ecclesiastici in Spagna ed infine sull'accettazione dell'A. stesso come nunzio. Esse procedettero con estrema lentezza; alla fine del 1713 l'A. disperava del successo e si preoccupava particolarmente per il prevalere nella corte di Filippo V della influenza della corrente giurisdizionalistica, rappresentata m particolare dal fiscale del consiglio di Castiglia, M. R. Macanaz. Nell'autunno del 1714, però, l'avvento della nuova regina Elisabetta Farnese e l'incipiente fortuna dell'Alberoni, con la conseguente disgrazia della principessa Orsini, che trasse con sé il Macanaz, impressero una svolta decisiva alle trattative di Parigi; sicché nella primavera del 1715 l'A. fu invitato a Madrid per continuarvi i negoziati.
Nel corso del suo soggiorno parigino, e precisamente tra il marzo ed il maggio 1715, dopo la conclusione del trattato di Rastadt, l'A. si occupò anche di trattare con Luigi XIV le condizioni della mediazione che questi aveva chiesto al papa per un componimento della pace tra Filippo V e l'imperatore Carlo VI, mediazione che poi non ebbe luogo.
Passato in Spagna il 5 ag. 1715, l'A. apparve ben presto strettamente legato all'Alberoni ed. alla regina, e più volte si dimostrò poco ligio alle direttive della S. Sede. Nel 1716 fu incaricato da Clemente XI di sollecitare presso Filippo V un contributo alla guerra contro i Turchi. L'Alberoni appoggiò con calore la richiesta presentata dall'A., cercando al tempo stesso di ottenere come contropartita del proprio appoggio il cappello cardinalizio. A tal fine, col consenso dei monarchi, riuscì ad indurre l'A. a recarsi a Roma in missione straordinaria (agosto 1716), con l'apparente motivo di condurre le trattative per la paitecipazione spagnola alla guerra antiturca. Secondo il Pastor, Clemente XI, corrucciato per il viaggio arbitrario dell'A., non volle dapprima neppure concedergli udienza, poi lo ricevette soltanto per il timore di raffreddare lo zelo di Madrid per la guerra antiturca. È certo che l'A. non ottenne la porpora per l'Alberoni; e solo il 16 genn. 1717 ebbe un breve di indulto che permetteva al governo spagnolo di esigere un tributo dal clero per preparare un'armata navale contro i Turchi. D'altra parte, proprio durante questo suo soggiorno romano l'A. fu promosso arcivescovo di Cesarea (5 ott. 1716), poi vescovo assistente al soglio pontificio (23 nov. 1716): ciò parrebbe dimostrare come la politica svolta in Spagna non gli avesse alienato fino a questo momento il favore papale. Ripreso il cammino della Spagna con la nomina ufficiale, questa volta, a nunzio presso Filippo V (risalente al 2 genn. 1717), ma senza il cappello per l'Alberoni, l'A. non ricevette da Filippo V il permesso di varcare la frontiera, e dovette sostare a Perpignano fino a quando il papa si dimostrò incline ad accogliere le richieste spagnole (20 maggio 1717). L'A. condusse allora con l'Alberoni ed il Daubenton, confessore di Filippo V, le trattative per un concordato e, poiché un primo progetto da lui firmato insieme con l'Alberoni il 17 giugno 1717 non soddisfece Clemente XI, ne preparò una nuova redazione, adoperandosi, senza molto successo, per ottenere dal governo spagnolo le modificazioni richieste da Roma.
Essendosi iniziata frattanto la guerra contro i Turchi, l'A. si affrettò a rassicurare Clemente XI sui preparativi militari spagnoli, tanto che il papa si decise finalmente a concedere la tanto desiderata porpora all'Alberoni (12 luglio 1717).
Quando, neppure un mese dopo, apparve chiaro che la flotta spagnola non era di-retta contro i Turchi, ma contro gli Imperiali, alla volta della Sardegna, la condotta dell'A. divenne oggetto di forti sospetti presto la S. Sede, benché egli affermasse di essere stato tenuto completamente all'oscuro dei progetti spagnoli. Non migliorò la sua posizione il fatto che egli si ostinasse a sostenere presso il papa l'innocenza dell'Alberoni. L'A., ormai evidentemente invischiato nella politica dell'Alberoni, commise nei mesi seguenti gravi atti di insubordinazione: consegnò al re i brevi di indulto per l'esazione dei tributi dal clero, benché il papa, con ovvia reazione al voltafaccia della Spagna, ne avesse ordinato la sospensione; passò sopra all'ordine di Clemente XI di cancellare dalla nuova redazione del concordato l'articolo riguardante la tassazione dei beni del clero. Inoltre parve voler sistematicamente tacere alla S. Sede ogni fatto che potesse costituire un elemento d'urto con la Spagna. Tuttavia il 2 apr. 1718 fu costretto a consegnare a Filippo V una lettera autografa del papa, che richiedeva la sospensione dei preparativi di guerra contro l'imperatore. Peggiorata ancora la situazione, verso la fine di giugno l'A. ricevette da Roma l'ordine di pubblicare il breve di sospensione di tutti gli indulti concessi dal papa per la tassazione dei beni ecclesiastici, e tale pubblicazione ebbe come risposta immediata la chiusura del tribunale della nunziatura. L'A. abbandonò allora improvvisamente la Spagna senza neppure congedarsi ufficialmente dal re, che diede ordine di arrestarlo. Tale ordine però non ebbe seguito ed il nunzio poté raggiungere Avignone.
Secondo alcuni, tra cui il Pastor, l'A. avrebbe abbandonato il suo posto intempestivamente, contro il volere di Clemente XI; secondo altri, come il Castagnoli, invece un corriere speciale del papa avrebbe portato all'A. l'ordine di partire già il 21 giugno 1718, anche se Clemente XI, alcuni mesi dopo, giudicò opportuno negare di aver inviato alcun ordine di questo genere all'Aldrovandi. Comunque il nunzio indisciplinato, al suo ritorno in Italia, venne relegato a Bologna, dove restò fino alla morte di Clemente XI (1721).
Con l'avvento di Innocenzo XIII l'A. fu reintegrato nella carica di uditore di Rota, entrò a far parte della Congregazione dei Riti e fu nominato reggente della Penitenzieria. Da Benedetto XIII (1724) fu nominato consultore del S. Uffizio ed esaminatore dei vescovi. La sua candidatura alla segreteria di stato, avanzata per un momento da N. Coscia, uomo di fiducia di Benedetto XIII, fu invece rapidamente accantonata. Il 23 marzo 1729 l'A. fu creato patriarca di Gerusalemme. Anche sotto il pontificato di Clemente XII, l'A. godette della costante stima del papa e rafforzò la propria posizione nella Curia. Il 30 ott. 1733 fu nominato governatore di Roma; il 24 marzo 1734 ricevette la porpora cardinalizia, con il titolo di S. Eusebio, ed entrò a far parte di tutte le principali Congregazioni: dei Vescovi e dei Regolari, del Concilio tridentino, della Sacra Consulta, della Visitazione Apostolica e di Propaganda Fide. Il 9 luglio 1734 gli fu affidata la diocesi di Montefiascone e Corneto; nel settembre dello stesso anno si dimise dalla carica di governatore di Roma e si ritirò nella sua diocesi.
Nel 1740, durante il lunghissimo conclave che portò all'elezione di Benedetto XIV, l'A. fu per più di un mese candidato alla tiara, sostenuto dai cardinali creati da Clemente XII e da quelli borbonici di Francia e di Spagna. In più votazioni mancarono soltanto due voti perché fosse eletto. Ad un certo punto, però, A. Albani, che capeggiava il gruppo dei cardinali di vecchia nomina, ostile all'A., riuscì a screditarlo, ottenendo da lui profferte scritte di amicizia, di cui poté servirsi per accusarlo di essere un accaparratore di voti. Profilatasi la candidatura Lambertini, l'A. si ritirò spontaneamente. Il Lambertini, che gliene fu grato, una volta pontefice lo nominò prodatario. L'A. esercitò una discreta influenza su Benedetto XIV, durante i primi anni del suo pontificato, non solo nell'amministrazione dello stato, ma anche nella politica religiosa della S. Sede.
Nel 1740-41 fu incaricato di prender parte ai lavori per il concordato con il Regno di Napoli, e nel gennaio 1741 fu lui a presentare al papa il piano completo di compromesso. Messo però gradatamente da parte, l'A. nel 1743 rinunciò alla Datana. All'inizio del 1744 succedette al cardinale Marini nella legazione di Ravenna, ufficio che sostenne per sei anni consecutivi. In questa sede portò a compimento lavori di bonifica idraulica iniziati, nel corso della sua legazione, dall'Alberoni. Spirato il periodo della legazione, l'A., dopo breve soggiorno a Bologna, si ritirò nella sua diocesi di Montefiascone, dove moù il 6 genn. 1752. Fu sepolto nella chiesa di S. Petronio a Bologna, nella quale aveva fatto costruire una cappella ed a cui legò parte della sua fortuna.
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