POMARICO VECCHIO
Abitato, talvolta erroneamente indicato con il toponimo di Castro Cicurio, situato in linea d'aria 5 km a S del comune di Pomarico Nuovo (Matera). Posto a 400 m s.l.m., occupa la sommità pianeggiante di una collina, detta anche di S. Giacomo, alla sinistra del Basento e dista 23 km dalla pòlis greca di Metaponto. L'insediamento indigeno, risalente almeno alla seconda metà del VI sec. a.C., vide il suo maggior sviluppo tra il IV e il III sec. a.C. L'area di insediamento è costituita da uno spazio piriforme di c.a 330 m in senso N-S e di c.a 200 m in senso E-O, circondato da una cinta di mura, realizzata nella seconda metà del IV sec. a.C. a doppio paramento in lastre di arenaria locale con èmplekton, in cui ai tratti di cortina (oggi in parte franati) si alternano poderose torri quadrangolari.
Questa altura isolata, che consente una visibilità completa delle vallate circostanti, offrì nell'antichità le caratteristiche ottimali per un centro abitato, permettendo un facile controllo delle vie di penetrazione verso l'interno.
Gli scavi sistematici, iniziati nel 1976, hanno riguardato dapprima le mura e una necropoli situata sul versante SO, per concentrarsi poi sull'abitato. Indizî di una presenza umana fin dalla seconda metà del VI sec. a.C. provengono dal rinvenimento di ceramica tipica di tale periodo, in particolare frammenti di coppe ioniche del tipo B2 e taluni frammenti di decorazione a fasce. Non è nota la morfologia di questo primo insediamento che, vista la limitata estensione dei saggi in profondità, si suppone di tipo sparso e discontinuo. È stato invece possibile arrivare a un certo livello di definizione delle vicende dell'antico abitato, dalla metà del IV alla metà del III sec. a.C., lo stesso periodo che ha visto un vivace sviluppo in molti altri centri indigeni della Basilicata paragonabili a P. V. e in genere conosciuti solo da necropoli e mura. Nella seconda metà del IV sec., la porzione meridionale dell'abitato (l'unica per ora scavata) venne completamente strutturata, o forse ristrutturata, seguendo il modo tipico delle città greche, basato su una regolare successione di strade parallele, attestate su altre ortogonali, che generano isolati stretti e allungati. Alla conclusione della campagna di scavo del 1993, è stato possibile individuare quattro isolati (I 1-I 4) e la probabile presenza di altri due (I 5 e I 6), divisi da strade (stenopòi) parallele.
A S di questa prima serie di isolati si trova una strada di maggiori dimensioni rispetto alle altre, larga m 4,80, che doveva rappresentare un punto nodale dell'impianto, vista la sua posizione centrale rispetto al pianoro. Al di là di questa è stata rinvenuta parte di quello che si prospetta come un grande edificio, parallelo alle altre strutture. Dei quattro isolati sinora individuati con sicurezza è stato indagato in estensione il primo (I 1), con le relative suddivisioni interne. Le strutture, conservate a livello di fondazione, mostrano una sequenza paratattica di vani di varia misura, affacciati ai due lati dell'isolato. Nonostante lo stato lacunoso dei resti e malgrado lo scavo abbia sinora affrontato soltanto i livelli superficiali, sono stati individuati tre differenti lotti, con dimensioni variabili dai 100 ai 120 m2, a connotazione abitativa. La tipologia è molto semplice, e se da un lato ricorda modelli greci, trova però anche confronti indigeni che vanno dalle case di Fondo Lucernara a Vaste, a quelle di Gravina e di Timmari e soprattutto - anche per l'inserimento in contesto regolare di strade - alle abitazioni di Muro Tenente in Messapia. Oltre agli isolati già citati, più a E, sul limite orientale del pianoro nei pressi delle mura, è stato messo in luce un complesso di tre grandi ambienti, il cui uso doveva essere connesso con quello delle mura stesse. Il vano più settentrionale (R) è caratterizzato dalla presenza di una scala di cui si conservano quattro gradini.
La scoperta più significativa è comunque costituita dall'evidenza di un piano urbanistico progettato in un unico momento. Questo almeno suggeriscono l'orientamento costante delle strutture, l'omogeneità della tecnica edilizia, e l'uniformità di dimensioni di strade e isolati. Sembra perciò lecito ipotizzare un intervento pubblico di notevole impegno e l'esistenza di un'autorità di rilievo, in grado di garantire la realizzazione dell'impianto stesso. Il numero di persone che occupavano lo spazio relativamente ridotto del pianoro, c.a 5 ha, poteva crescere comprendendo quello delle aree esterne alla cinta muraria, nelle quali possiamo immaginare piccoli nuclei sparsi, agglomerati ridotti o fattorie, come sembrano suggerire, p.es., alcuni rinvenimenti (òstraka) nella vicina località di Lama di Palio.
Venendo ai ritrovamenti, il numero più rilevante di reperti risalenti al IV-III sec. a.C. è costituito dalla ceramica. Quella di tipo fine è rappresentata soprattutto da forme aperte, sia di piccole che di grandi dimensioni: piccole patere, coppe, skỳphoi nelle due varianti attica e corinzia; non mancano però talune forme chiuse, come pelìkai, askòi e unguentari. Si tratta in sostanza di un materiale che, in analogia con quello degli altri centri lucani finora noti, si uniforma alle tendenze morfologiche e tecniche della produzione delle pòleis greche della costa, così come avviene del resto anche per il vasellame comune e da fuoco.
Il numero rilevante di pesi da telaio rinvenuti testimonia inoltre la diffusione della tessitura.
Spunti sulle forme di religiosità degli abitanti sono offerti da alcuni frammenti coroplastici, simili a quelli delle vicine pòleis greche, che testimoniano culti connessi al mondo ctonio, riflessi da figure recumbenti, sileni e grandi busti femminili.
Nella seconda metà del IV sec., gli elementi indigeni sono ormai assorbiti da una completa ellenizzazione, rilevabile sia dall'organizzazione generale, dello spazio del pianoro che dalle caratteristiche dei materiali rinvenuti. Questa tendenza è confermata anche dai numerosi ritrovamenti effettuati in area di necropoli, anche se i reperti dei vecchi scavi, conservati in prevalenza nei musei di Matera, Potenza e Metaponto, non possono essere attribuiti con certezza all'area di P. V. o al comune di Pomarico Nuovo, certo sede di un secondo abitato indigeno, non più leggibile a causa delle strutture moderne. Particolarmente degni di menzione, accanto ad altri materiali di corredo, sono numerosi vasi italioti a figure rosse, in prevalenza di scuola tardo-apula, ascrivibili alla cerchia del Pittore di Dario e del Pittore degli Inferi.
Dati significativi sono offerti dagli scavi sulle balze orientali della collina di P. V. che hanno messo in luce quindici tombe in fossa terragna, coperte con lastre di arenaria. I corredi, che presentano materiali in prevalenza di tipo greco, mostrano tuttavia un persistere delle tipologie del mondo italico, con la posizione rannicchiata degli scheletri, di tradizione locale.
L'abitato, abbandonato nella seconda metà del III sec. a.C., vide una nuova occupazione, per ora documentata solo da una tomba e da materiale ceramico, in età medievale.
Bibl.: Relazioni di scavo: E. Bracco, Pomarico. Rinvenimenti di sepolcri di età greca, in NSc, 1947, p. 154 ss; E. Lattanzi, in Locri Epizefiri. Atti del XVII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1976, Napoli 1977, pp. 861-863; A. De Siena, in StEtr, LIV, 1986, pp. 538-539; M. Barra Bagnasco, in BA, IV, 1990, pp. 98-103; ead., in La Magna Grecia e il lontano Occidente. Atti del XXIX Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1989, Taranto 1991, pp. 571-577; ead., in I Messapi. Atti del XXX Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1990, Taranto 1991, pp. 567-572; ead., in Atti del XXXI Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1991, Taranto 1993, pp. 291- 294. - V. inoltre: E. Lattanzi, Il Museo Nazionale Ridola di Matera, Matera 1976, pp. 99, 147; S. Macchioro, Dati storico-archeologici sul territorio di Pomarico in Basilicata durante l'età preromana, in Acme, XXXIV, 1981, 3, pp. 513-533, ead., Ceramica apula a figure rosse da Pomarico nel Museo Nazionale Ridola di Matera, in NumAntCl, XIII, 1984, pp. 49-64.