Polmone
I polmoni sono organi pari, simmetricamente disposti nella gabbia toracica, che assolvono la funzione respiratoria, fondamentale per la vita dell'organismo; la respirazione consiste essenzialmente nell'assunzione di ossigeno dall'esterno e nell'eliminazione di anidride carbonica e vapore acqueo prodotti dalle attività metaboliche (v. cap. Torace, Trachea, bronchi, polmoni).
1.
Nel processo globale della respirazione si distinguono: una respirazione interna, o cellulare, consistente in un insieme di reazioni chimiche che nella maggior parte dei casi richiedono ossigeno, producono anidride carbonica e costituiscono la fonte principale di energia per la cellula; una respirazione esterna, o polmonare, che comprende gli scambi gassosi tra il sangue e l'ambiente a livello dell'apparato respiratorio. L'assunzione di ossigeno è dunque fondamentale per la sopravvivenza della maggior parte degli organismi, ma affinché esso possa essere utilizzato deve essere presente un meccanismo di trasporto a tutte le cellule del corpo. La gran parte degli organismi a organizzazione più semplice o di dimensioni minori assume l'ossigeno e rilascia l'anidride carbonica per diffusione. Una soluzione così elementare al problema degli scambi gassosi è, tuttavia, possibile solo in piccoli animali che hanno una superficie ampia rispetto al volume, o un metabolismo molto lento e quindi ridotte esigenze energetiche. Parallelamente all'evolversi di forme animali di dimensioni più grandi, spesso con tegumento impermeabile, si ebbe lo sviluppo di strutture, quali branchie e polmoni, atte ad aumentare di molto la superficie deputata agli scambi gassosi. Dato che i gas diffondono lentamente, si rese anche necessario lo sviluppo di un sistema circolatorio in grado di distribuirli ai tessuti più interni dell'organismo. L'evoluzione e il perfezionamento degli apparati respiratori sono sempre accompagnati da idonee modificazioni dell'apparato circolatorio, al fine di garantire una migliore efficienza negli scambi gassosi.
Le modalità di respirazione nei vari organismi sono determinate dalle caratteristiche dell'ambiente in cui essi vivono; i due grandi scenari dell'evoluzione animale, l'ambiente acquatico e quello terrestre, con le loro diverse caratteristiche hanno selezionato due differenti tipi di apparati respiratori: le branchie e i polmoni. Anche se svolgono la medesima funzione e hanno in comune l'ontogenesi, derivando entrambi dalla faringe, questi organi respiratori hanno strutture notevolmente differenti e hanno seguito vie evolutive separate. Le branchie nei Vertebrati acquatici primitivi avevano funzione nutritiva; in seguito alle pressioni selettive correlate soprattutto con la predazione divennero organi respiratori. Nei Pesci e negli stadi larvali degli Anfibi sono sottili strutture filamentose e permettono l'utilizzazione dell'ossigeno disciolto nell'acqua. In ambiente subaereo collassano e si seccano, diventando inutilizzabili per la vita. Invece, i Vertebrati terrestri sono dotati di polmoni la cui superficie è rivestita da un velo liquido in cui viene disciolto l'ossigeno atmosferico. Malgrado le loro differenze, le superfici respiratorie di branchie e polmoni hanno proprietà simili: ampio sviluppo, abbondante vascolarizzazione ed elevata umidità, poiché l'ossigeno deve sciogliersi in un liquido prima di poter attraversare una membrana cellulare. Mantenere l'umidità costituisce un problema per gli animali terrestri, i quali, nonostante vivano in un ambiente con un contenuto di ossigeno (21%) molto più alto di quello presente nell'acqua (0,7%) e quindi abbiano una respirazione più efficiente, corrono il pericolo di disidratazione delle superfici respiratorie, che perciò devono essere protette e umidificate. Per questo tutti gli animali passati dall'acqua alla terraferma hanno generalmente sviluppato invaginazioni della superficie del corpo e meccanismi atti a far circolare l'aria. Il polmone è il miglior esempio di soluzione adattativa efficiente per quel che riguarda la respirazione nell'ambiente subaereo. L'origine evolutiva dei polmoni non è completamente conosciuta, anche perché, essendo organi molli, non ne esistono resti fossili. Essi sono comparsi molto precocemente nella storia dei Vertebrati. Infatti, essendo l'ambiente ancestrale dei Pesci rappresentato dalle acque dolci che, in periodi di intensa siccità, potevano diventare stagnanti, esposte a rischi di prosciugamento e di regola poco ossigenate, alcuni Pesci ossei primitivi fecero ricorso all'impiego dell'ossigeno atmosferico, utilizzando sacche polmonari connesse con il cavo orale che erano in grado di riempirsi d'aria e scambiare gas con il sangue dei capillari aderenti alla loro parete.
La presenza di questi organi ancestrali rappresentò il primo passo verso l'emancipazione dall'ambiente acquatico, consentendo di integrare la respirazione branchiale in caso di necessità e rendendo anche possibili brevi spostamenti nell'ambiente terrestre, alla ricerca di raccolte d'acqua più ospitali. Nonostante questo preadattamento all'ambiente subaereo sia stato compiuto dai Pesci ancestrali allo scopo di continuare a vivere nell'acqua, da esso ha preso avvio la colonizzazione delle terre emerse da parte dei Vertebrati. Le strutture polmonari dei primitivi Pesci ossei rimasero tali nei loro discendenti d'acqua dolce, mentre in quelli divenuti completamente marini risultarono superflue, dal momento che nelle acque del mare l'ossigeno è quasi sempre abbondante, e finirono con il perdere la loro funzione originaria, trasformandosi nella vescica natatoria, un organo che regola il galleggiamento e appare particolarmente utile nelle specie che vivono in profondità. In tale organo i dispositivi di scambio gassoso, in origine deputati alla respirazione, sono adibiti alla secrezione gassosa. Negli Anfibi adulti i polmoni, quasi sempre presenti, pur essendo più grandi e complessi di quelli dei Pesci polmonati, sono relativamente semplici, con una superficie interna poco sviluppata, e hanno un'efficienza respiratoria mediocre, integrata infatti da una valida respirazione cutanea ausiliare. In alcuni, come in certe salamandre, la respirazione è essenzialmente cutanea, anche se un minimo scambio avviene attraverso la mucosa della bocca e della faringe; altri, come il proteo delle acque sotterranee della regione carsica, presentano branchie per tutta la durata della vita, poiché non compiono mai la metamorfosi. Nelle rane i ruoli di cute e polmoni non sono fissi, ma variano nel corso dell'anno: durante l'inverno, quando la richiesta di ossigeno è più bassa, la cute assume un ruolo predominante, mentre in estate, quando il metabolismo è più elevato, aumenta notevolmente l'assunzione di ossigeno da parte dei polmoni. Negli Urodeli, nei quali si comincia a formare il collo, la via aerea dalla laringe ai polmoni si allunga e si differenziano chiaramente la laringe, la trachea e i bronchi. Poiché gli Anfibi non hanno coste e i polmoni non possono essere ritmicamente compressi dal gioco dei muscoli toracici, l'aria piuttosto che respirata viene 'inghiottita' grazie a ripetute chiusure e aperture della glottide. I Rettili, i primi Vertebrati del tutto svincolati dall'acqua, per sopravvivere sulla terraferma hanno sviluppato vari adattamenti atti a limitare la disidratazione, tra i quali la presenza di una cute molto più spessa e secca di quella degli Anfibi, inadatta alla respirazione cutanea. Gli scambi respiratori sono dunque interamente a carico dei polmoni, che nella maggior parte dei Rettili squamati sono sacciformi come negli Anfibi; ma già nei Varanidi (varani) e poi nei Cheloni (testuggini) e nei Loricati (coccodrilli) la struttura interna si complica per la presenza di setti che dividono i polmoni in numerose camere, ciascuna con ulteriori ripartizioni interne.
L'asimmetria dei due polmoni, comune nei Vertebrati terrestri, è più accentuata nei Rettili privi di arti: il sinistro è generalmente più corto, talvolta atrofico e occasionalmente del tutto assente. Nella vipera soffiante un diverticolo di grandi dimensioni del polmone sinistro si espande nel collo e, riempendosi, lo fa gonfiare a dismisura. Anche il camaleonte, a fini di difesa, gonfia tutto il corpo servendosi di prolungamenti sacciformi dei polmoni a guisa di camere pneumatiche. I polmoni della maggior parte dei Rettili, come quelli degli Anfibi, occupano la cavità pleuroperitoneale (v. pleura), insieme agli altri visceri, mentre nei Loricati, i Rettili più evoluti, occupano le cavità pleuriche, due camere separate dal restante celoma tramite un setto. I movimenti respiratori, quando i polmoni si perfezionano, sono effettuati dai muscoli della parete del corpo che possono abbassare o innalzare le costole e quindi comprimere e decomprimere i polmoni. Nei coccodrilli, nei quali i polmoni sono posti cefalicamente a un ampio fegato bilobato, a sua volta addossato strettamente al setto obliquo che separa i due organi, una coppia di lunghi muscoli diaframmatici permette, contraendosi, di far fluire l'aria attraverso le vie respiratorie. Invece nei Cheloni, nei quali non partecipano ai movimenti respiratori le coste, perché fuse con il carapace, e la parete addominale, in quanto rigida e dotata di muscolatura vestigiale, il ruolo principale nella ventilazione polmonare è assunto dal cinto pettorale, che fa variare il volume del celoma. Gli Uccelli, animali a 'sangue caldo', a causa del lavoro muscolare imposto dal volo, hanno un metabolismo estremamente attivo e necessitano di una respirazione intensa; l'efficienza dei loro polmoni è superiore a quella di tutti gli altri Tetrapodi, Mammiferi compresi (v. bronchi). I polmoni occupano cavità pleuriche separate da un setto che partecipa passivamente alla ventilazione, quando i visceri contenuti nella cavità peritoneale vengono spostati per l'azione dei muscoli che muovono le coste e lo sterno. In relazione alla locomozione aerea, gli Uccelli presentano particolari disposizioni dell'apparato respiratorio: dato che la natura completamente ossea delle coste e il grande sviluppo dello sterno conferiscono grande solidità e una relativa immobilità alla gabbia toracica, i polmoni hanno scarsa dilatabilità; al loro interno sono presenti dei bronchi secondari che, in molti Uccelli buoni volatori, si anastomizzano tra di loro, costituendo una rete di canali all'esterno della quale si distende una rete di capillari; inoltre le cavità polmonari si continuano nei sacchi aerei, simmetricamente distribuiti in vaste zone del collo, della cavità toracica, di quella addominale e nella cavità di alcune ossa; tali sacchi, riempiendosi d'aria, funzionano da serbatoi quando l'uccello, volando, non può eseguire i movimenti respiratori per vuotare e riempire i polmoni.
Durante il volo vi è una continua immissione di aria nuova attraverso le narici, per la pressione determinata dal volo stesso, e questo rinnovamento passivo permette agli Uccelli di elevarsi a grandi altezze, senza risentire degli inconvenienti della rarefazione dell'aria. Nei Mammiferi i polmoni sono molto sviluppati e, attraverso due bronchi principali, l'aria si distribuisce in un sistema di dotti che si dividono con ramificazioni successive, andando a costituire l'albero bronchiale. Alla fine di ripetute suddivisioni, i dotti terminano in innumerevoli espansioni sacciformi, sede degli scambi gassosi respiratori. In genere i polmoni presentano più lobi, a eccezione di quelli di balene, elefanti e cavalli che non hanno lobature; in altri casi, come nei ratti, presentano lobi solo sul lato destro. La respirazione avviene mediante un sistema di aspirazione molto efficace, grazie alla presenza del diaframma (v.), un muscolo a forma di cupola tipico dei Mammiferi, che funziona come una pompa aspirante. I movimenti delle coste e del diaframma espandono il torace e, di conseguenza, le cavità pleuriche. Muscoli diaframmatici eccezionalmente robusti sono presenti nei Mammiferi marini, che cercano cibo in profondità; questi non potendo immagazzinare ossigeno con una dilatazione polmonare prima di inabissarsi, perché ciò renderebbe più difficoltosa l'immersione stessa, respirano invece in superficie e l'ossigeno dai polmoni passa in circolo, trasferendosi in una rete arteriosa che immagazzina sangue ben ossigenato, distribuito ai vari organi secondo le necessità; quindi, prima di iniziare l'immersione, viene compiuto un atto di espirazione, al quale segue il collassamento dei polmoni; il successivo atto di inspirazione può avvenire, quando gli animali riemergono, anche dopo due ore.
2.
Durante lo sviluppo embrionale il sistema respiratorio si origina come un diverticolo ventrale mediano dell'intestino, chiamato doccia tracheobronchiale. Questa struttura appare nell'embrione di circa quattro settimane e rapidamente si separa dall'intestino anteriore, finché rimane solo una piccola comunicazione che rappresenta il primitivo adito laringeo. Mentre avviene questa separazione, l'estremità caudale del diverticolo si divide dicotomicamente in due lobi, ciascuno dei quali forma, nello sviluppo successivo, il tessuto entodermico di un bronco primario e di un polmone, mentre la parte mediana indivisa rappresenta l'abbozzo della trachea e, cranialmente, la cavità laringea. Ogni lobo terminale dell'accrescimento entodermico, insieme con il mesenchima sottostante, costituisce una gemma polmonare dalla quale deriveranno tutti i tessuti dei corrispondenti polmone e albero bronchiale. Inizialmente le gemme sono poste simmetricamente e rappresentano i due bronchi principali; le loro estremità a fondo cieco, che proliferano attivamente, formano l'albero bronchiale potenziale e l'epitelio respiratorio. Presto, tuttavia, le due gemme diventano asimmetriche, sicché la sinistra viene a essere situata trasversalmente rispetto alla destra. Ciascuna gemma a fondo cieco dà poi origine a un diverticolo ventrale e la gemma di destra anche a un diverticolo craniodorsale, che rappresenta il futuro bronco lobare superiore. A questo stadio dell'ontogenesi, dunque, la gemma del polmone destro possiede tre tubi bronchiali, quella del sinistro due. Questi tubi, che corrispondono ai rami principali dei bronchi primari, insieme al mesenchima delle gemme polmonari che li circonda, daranno origine ai lobi definitivi dei polmoni adulti. Lo sviluppo del polmone può essere suddiviso in tre stadi: fino al 4° mese di gestazione, si ha un'attiva proliferazione della massa centrale con le divisioni bronchiali; dal 4° al 6° mese, il polmone diventa fortemente vascolarizzato; dal 6° mese fino al termine della gravidanza, le anse dei capillari prendono contatto con gli alveoli in sviluppo. Al 7° mese i capillari sono sufficientemente sviluppati da permettere la vita extrauterina anche in caso di nascita prematura. I polmoni del feto non sono ancora funzionanti. Diventeranno tali solo al momento della nascita quando, con il taglio del cordone ombelicale e con l'interruzione della connessione con la placenta, l'aumento di concentrazione dell'anidride carbonica nel sangue stimolerà il centro respiratorio dell'encefalo e i polmoni cominceranno a espandersi.
1.
I polmoni sono localizzati all'interno della cavità toracica, delimitata dalla parete costovertebrale all'esterno, dal mediastino all'interno e dal diaframma inferiormente. I limiti superiori sono costituiti dalle logge sopraclavicolari, che sono in rapporto con gli apici del polmone. Il colore del polmone nel feto a termine, che non ha ancora respirato, è rosso scuro, nel bambino è roseo, e nell'adulto è grigio-biancastro; con il progredire dell'età, attorno ai 40 anni circa, si verifica una colorazione grigio-ardesiaca fisiologica, definita antracosi. Anche il volume varia a seconda dell'età, del sesso e della costituzione fisica; il polmone destro è normalmente di dimensioni maggiori del sinistro (850 cm3 contro 750 cm3 nell'adulto sano). Nonostante la consistenza spugnosa, il polmone ha una grande coesione e una notevole elasticità. La densità del polmone che non ha ancora respirato è di 1,068 g/cm3, mentre quella del polmone attivo è in media di 0,49 g/cm3; questi valori assumono importanza in medicina legale per la cosiddetta docimasia polmonare idrostatica, che ha il fine di valutare se il decesso di un neonato trovato morto sia avvenuto nell'utero o dopo la nascita. Il polmone destro è costituito da tre lobi: il superiore, che a sua volta comprende i segmenti apicale, posteriore (dorsale) e anteriore (ventrale); il medio, con i segmenti laterale e mediale; l'inferiore, con il segmento apicale (detto bronco di Nelson), il paracardiaco, il basale anteriore, il basale laterale e quello posteriore. Il polmone sinistro è formato invece da due lobi: il superiore, con i segmenti apicale, posteriore (dorsale), anteriore (ventrale) e lingula; l'inferiore con l'apicale, il basale, a sua volta distinto in laterale e posteriore, e il ventrale. Strutturalmente, in ogni emisistema bronchiale si distingue un bronco principale o di 1° ordine, dal quale si originano le diramazioni lobari o di 2° ordine (tre a destra: lobi superiore, medio e inferiore; due a sinistra: lobi superiore e inferiore), dalle quali si dipartono i bronchi segmentari o di 3° ordine, destinati appunto ai segmenti. Da questi ultimi si originano, per ramificazione ulteriore, quelli di ordine inferiore sino agli interlobulari.
A questi seguono i bronchioli lobulari, che rappresentano la penultima struttura bronchiale, in senso distale, a funzione puramente conduttrice. Quindi si ha il bronchiolo terminale, aperto nei bronchioli respiratori, strutture nelle cui pareti si affacciano già gli alveoli polmonari che sono quindi in grado di svolgere una funzione di scambio gassoso. Le vie aeree situate distalmente al bronchiolo terminale costituiscono il cosiddetto lobulo polmonare, la vera entità funzionale del polmone. I lobuli polmonari hanno forma grossolanamente piramidale o poliedrica e sono separati tra loro da sottilissimi setti connettivali. Gli alveoli hanno un diametro di 190-280 µm, variabile in rapporto alle diverse fasi del ciclo respiratorio. Sono complessivamente in numero di circa 600 milioni, e la superficie respiratoria che offrono è di circa 100-150 m2. Gli alveoli hanno un rivestimento esterno continuo di cellule: i pneumociti di I tipo coprono oltre il 92% della superficie alveolare e hanno un ruolo importante nel trasporto gassoso; i pneumociti di II tipo sono deputati alla sintesi e secrezione del surfattante, anche se questa non sembra essere l'unica loro funzione; i pneumociti di III tipo, o brush cells, sulla cui esistenza nell'uomo non esiste un completo accordo, avrebbero una funzione più articolata, essendo elementi contrattili, deputati principalmente all'assorbimento. Tutte queste cellule poggiano su una sottile membrana basale, costituita da due foglietti strettamente accollati che racchiudono elementi stromali, fibre connettivali ed elastiche e cellule interstiziali di probabile natura istiocitaria. Sul lato esterno, queste cellule sono in rapporto con il letto capillare polmonare (circa 70 m2, la maggiore estensione vascolare dell'organismo umano), le cui cellule endoteliali sono caratterizzate da una ricchissima attività metabolica (trasporto attivo di serotonina, noradrenalina, prostaglandine, adenosina; idrolisi di superficie di alcuni enzimi quali angiotensina I, bradichinina, nucleotidi; sintesi di prostaciclina, nucleotidi, elastina, fibronectina, collagene e fattore VIII). Anche le cellule endoteliali poggiano su una sottile membrana basale; queste due strutture, insieme al connettivo interstiziale, alla membrana basale delle cellule alveolari e alle cellule epiteliali alveolari stesse, costituiscono la membrana alveolocapillare, fondamentale per lo scambio gassoso.
La citologia polmonare è molto ricca, contandosi attualmente almeno 30 tipi cellulari specifici. L'irrorazione polmonare è sostenuta da una duplice rete arteriosa: quella bronchiale e quella polmonare. Le arterie bronchiali sono deputate alla nutrizione dell'organo e sono in genere tre, una a destra e due a sinistra. Esse seguono le diramazioni dei bronchi, attraversando perpendicolarmente, con le loro più fini ramificazioni, la parete muscolare bronchiale, per dar luogo nella sottomucosa a un fine plesso capillare irrorante la mucosa. In corrispondenza del bronchiolo terminale, dove le arterie bronchiali si arrestano, il plesso capillare sottomucoso si mischia con i capillari irrorati dalle arterie polmonari, venendo a creare i presupposti di un mescolamento tra i due sistemi arteriosi. Il versante venoso comprende le vene prossimali che provengono dai grossi bronchi e sono tributarie a destra della azygos e a sinistra della emiazygos inferiore, e le vene distali che drenano tutto il sistema bronchiale più piccolo e sono tributarie del sistema venoso polmonare. Il circolo funzionale è fornito dall'arteria polmonare, che porta sangue venoso deputato all'ematosi e si diparte dal ventricolo destro, dividendosi pochi centimetri dopo la sua origine nei tronchi destro e sinistro, destinati ai rispettivi polmoni. Da essi si distaccano successivamente tanti rami quante sono le divisioni dell'albero bronchiale, sino a dar luogo alle arteriole terminali che irrorano gli acini e i cui capillari costituiscono una fitta rete a cestello disposta attorno agli alveoli, nei setti interalveolari. Sul fronte venoso si trovano le quattro grosse vene polmonari, che convogliano il sangue ossigenato nei lobi. Tra sistema bronchiale e polmonare esistono numerose anastomosi, che aumentano ancor più in situazioni patologiche. Il sistema linfatico dei polmoni è modesto rispetto a quello che drena il circolo sistemico, ciò si verifica nonostante l'intera gettata cardiaca attraversi i polmoni e questi possiedano una ricca rete linfatica. L'innervazione è data da due plessi polmonari, l'anteriore e il posteriore, da cui si dipartono le fibre che penetrano nell'ilo e si diramano alla periferia dell'organo. I plessi sono costituiti da fibre vagali e rami simpatici. Importante è il nervo frenico, destinato a innervare il diaframma. Il polmone è circondato da una membrana sierosa, la pleura (v.), costituita da due foglietti che delimitano una cavità virtuale, lo spazio pleurico.
2.
Lo scambio di ossigeno e anidride carbonica, nel quale consiste la respirazione (v.), ha la sua sede anatomica nella barriera alveolocapillare ed è reso possibile dall'esistenza, per ogni singolo gas, di un gradiente di pressione tra l'aria alveolare e il sangue dei capillari polmonari. Il rinnovamento dell'aria polmonare necessario per lo scambio avviene in quanto esiste una ventilazione, ossia un certo volume di aria viene metabolizzato dal polmone nell'unità di tempo. L'entità della ventilazione è data dalla somma della ventilazione alveolare (la quantità di gas che entra ed esce dal compartimento alveolare) e di quella dello spazio morto (il volume di gas che nell'unità di tempo lava ciclicamente le vie aeree comprese tra la radice del naso e gli alveoli), non propriamente coinvolta nello scambio respiratorio. La ventilazione polmonare avviene in due fasi alterne, che costituiscono il ritmo respiratorio: l'inspirazione, che fa penetrare l'aria ambientale nel polmone, e l'espirazione, che fa uscire l'aria impoverita di ossigeno e arricchita di anidride carbonica e vapor acqueo. Durante l'inspirazione, la gabbia toracica si dilata, la pressione nello spazio compreso all'interno dei due foglietti pleurici subisce una diminuzione, che si trasmette alla superficie esterna del polmone e ne provoca la distensione, e l'aria dall'ambiente viene risucchiata nelle vie bronchiali. A questa fase segue l'espirazione, con fenomeni analoghi (anche se di segno opposto) a quelli descritti nella fase inspiratoria.
Nel corso dell'espirazione, il volume del polmone diminuisce e la pressione pleurica diventa meno negativa, fino a quando viene raggiunto il punto di equilibrio che precede l'inizio dell'inspirazione successiva. Con lo spirometro è possibile registrare i principali volumi polmonari: il volume corrente, che viene ventilato in condizioni di respiro tranquillo; il volume di riserva espiratoria, cioè la massima quantità di aria che il soggetto può espellere; il volume di riserva inspiratoria, ovvero la massima quantità di aria che il soggetto può inspirare. La somma dei tre volumi dà la capacità vitale, mentre la capacità funzionale residua è la quantità di aria che rimane alla fine di un'espirazione tranquilla e il volume residuo quello che resta nei polmoni alla fine di un'espirazione forzata, e che sommato al volume di riserva espiratoria esprime la capacità funzionale residua. Il volume massimo espiratorio espulso in un secondo e i flussi ai bassi volumi polmonari sono altri parametri che possono essere ottenuti per mezzo della spirometria e che permettono di valutare l'efficienza della respirazione. La gabbia toracica viene mobilizzata dall'azione dei muscoli ventilatori: diaframma, muscoli intercostali e muscoli accessori. Il primo, costituito da due porzioni, costale e crurale, aventi differente natura embriologica e funzionale, è responsabile del 75% circa dell'attività respiratoria corrente. I muscoli intercostali si suddividono in esterni, che innalzano le coste e sono responsabili dell'inspirazione, e interni, che abbassano le coste promuovendo l'espirazione; essi svolgono una buona azione vicariante in caso di paralisi bilaterale del diaframma. I muscoli accessori partecipano alla ventilazione in situazioni di emergenza o durante movimenti respiratori volontari; comprendono gli scaleni, gli sternocleidomastoidei e gli addominali, e possono avere un'attività sia inspiratoria sia espiratoria. Tutti i muscoli respiratori sono controllati da alcune formazioni nervose situate nel sistema nervoso centrale e che costituiscono nel loro complesso il centro respiratorio: questo può essere suddiviso nei centri inspiratorio, espiratorio apneustico e pneumotassico, tra loro collegati da vie nervose e dotati di attività specifica propria, condizionata peraltro da stimoli provenienti da altre formazioni (centri del vomito e della deglutizione) o da variazioni della composizione chimica del sangue arterioso (anidride carbonica, ossigeno, ioni idrogeno).
I meccanismi che regolano i vari livelli a cui una ventilazione può avvenire sono molto complessi e hanno come fine ultimo quello di permettere all'organismo una respirazione cellulare soddisfacente: per es. quando la concentrazione di anidride carbonica nel sangue arterioso si eleva oltre un certo livello, i centri nervosi rispondono aumentando la ventilazione, in modo da eliminarne il più rapidamente possibile l'eccesso; quando invece si somministrano delle miscele gassose contenenti ossigeno in concentrazione troppo alta, si verifica all'opposto una depressione della ventilazione. Tuttavia, questi meccanismi sono in gran parte sconosciuti nelle varie situazioni fisiologiche e patologiche, e quindi vengono solo ipotizzati: per es., non è ancora noto il motivo dell'ingente incremento della ventilazione in caso di sforzo fisico. Certamente non possono essere chiamati in causa né la diminuzione dell'ossigeno arterioso, che viceversa aumenta, né l'aumento dell'anidride carbonica, che si verifica unicamente in caso di esercizi strenui. È stata allora ipotizzata l'esistenza di stimoli nervosi a partenza dalle strutture muscolari in movimento, che sarebbero in grado di giungere ai centri nervosi che regolano il livello della ventilazione, come pure di stimoli rappresentati dal parziale incremento della temperatura corporea che si verifica in questa condizione. Lo stimolo costituito dall'abbassamento dell'ossigeno arterioso, tipico dei soggetti che vivono ad alta quota, da un lato induce una maggiore crescita dei polmoni, rispetto a quelli di individui nati e vissuti a livello del mare, e una migliore capacità di diffusione alveolocapillare dell'ossigeno, e dall'altro condiziona in molti casi l'aumento della pressione arteriosa nel distretto polmonare e l'abbassamento di quella sistemica.
3.
È molto difficile l'identificazione dei vari meccanismi che entrano in gioco nelle malattie del polmone, molti dei quali restano ancora ignoti. Esiste innanzitutto una serie di malattie che interessano non propriamente il polmone, ma i centri nervosi del respiro, le strutture di conduzione nervosa degli stimoli e la gabbia toracica, e che sono in grado di condizionare la ventilazione nelle sue differenti fasi. Le malattie del sistema nervoso centrale, in rapporto a lesioni anatomiche e ad alterazioni funzionali, possono essere secondarie a traumi cranici, accidenti vascolari cerebrali, processi infettivi, assunzione di farmaci ad attività deprimente sul sistema nervoso centrale stesso, sindrome di Pickwick, sindrome di Ondine (v. apnea) ecc.; quelle che condizionano la trasmissione nervosa ai muscoli respiratori sono principalmente la sclerosi laterale amiotrofica, la poliomielite bulbare, la sclerosi multipla, la miastenia grave; le affezioni che interessano le strutture ossee sono principalmente la scoliosi grave, un gibbo importante o traumi costali multipli; infine, le principali malattie dei muscoli scheletrici sono rappresentate dalla distrofia muscolare di Duchenne e da quella miotonica. Tutte queste patologie bloccano la componente effettrice dinamica dell'apparato toracopolmonare, impedendo il sollevamento delle coste, l'allargamento degli spazi intercostali e l'incremento dei diametri trasversale e anteroposteriore, e tanto più limitano la ventilazione, quanto più interessano il diaframma. Anche i foglietti pleurici possono subire fenomeni patologici infiammatori o tumorali: alcuni gruppi cellulari possono secernere anche diversi litri di liquido che vanno a occupare la cavità pleurica (che da virtuale diventa reale), esercitando un'azione compressiva sul polmone, che vede così limitate le sue escursioni. La pleurite secca (v. pleura) e le calcificazioni pleuriche possono invece ostacolare la dinamica respiratoria perché formano un involucro rigido attorno al polmone. Il mediastino può essere la sede di forme tumorali che esercitano, se voluminose, una compressione estrinseca sul polmone. Il sistema linfatico assume notevole importanza quando sono presenti tumori toracici (per es. della mammella) che determinano un'ipersecrezione di linfa che ostacola gli scambi gassosi.
Per quanto concerne poi il polmone vero e proprio, si possono distinguere una fisiopatologia delle vie aeree bronchiali, del parenchima e del circolo polmonare. Le prime possono essere frequentemente occupate da manifestazioni patologiche proliferanti che colpiscono i bronchi di calibro maggiore e possono provocare gravi alterazioni della ventilazione fino all'atelettasia. Il lume bronchiale può essere inoltre sede di manifestazioni infiammatorie croniche ipersecretive (bronchiti croniche) che possono determinare un ristagno di secreti al suo interno e, successivamente, alterazioni caratteristiche della mucosa bronchiale e delle strutture mucosecernenti, così da ridurre progressivamente il calibro delle vie aeree e da ostacolare in parte gli scambi respiratori; su questa ostruzione cronica si sovrappone frequentemente un broncospasmo, cioè una contrazione della muscolatura liscia della parete bronchiale. Questo, oltre a rappresentare una complicanza delle bronchiti croniche, costituisce il momento patogenetico fondamentale dell'asma bronchiale, le cui cause scatenanti sono ancora in gran parte oscure. L'eccitabilità della muscolatura liscia bronchiale dipende infatti da fenomeni allergici, infiammatori, nervosi simpatici e parasimpatici e dalla composizione ionica intra- ed extracellulare della fibrocellula muscolare, che possono coesistere e avere espressioni diverse e più o meno rilevanti nello stesso soggetto. Il calibro delle vie aeree subisce una riduzione quando il polmone è affetto da enfisema, patologia che determina principalmente una rottura degli elementi fibroconnettivali cui è deputato il mantenimento della pervietà della struttura alveolare. Il parenchima polmonare può essere colpito da patologie infiammatorie, quali la broncopolmonite, infettive, come la tubercolosi, o tumorali, che possono compromettere non soltanto la ventilazione, ma anche la perfusione dell'organo, con riflessi fisiopatologici molto complessi.
Esiste poi un gruppo di malattie caratterizzate dal coinvolgimento della membrana alveolocapillare, che può presentarsi ingombrata da un eccesso di liquidi di natura infiammatoria, tumorale o congestizia (cardiogena), i quali agiscono come ostacolo meccanico alla diffusibilità dell'ossigeno. Quest'ultima può essere inoltre severamente compromessa, e portare al coma, nel caso di intossicazione da ossido di carbonio, gas dotato di un coefficiente di solubilità circa 200 volte superiore a quello dell'ossigeno e quindi altamente competitivo nello scambio. Inoltre, la membrana alveolocapillare può essere ispessita e/o infarcita di vari elementi cellulari nella sarcoidosi, nelle fibrosi polmonari in genere, nella silicosi ecc. In questi casi l'ossigeno non può diffondere liberamente dall'alveolo al sangue arterioso, il che comporta ipossiemia, una condizione patologica peculiare anche di altre patologie polmonari (asma grave, bronchite cronica ed enfisema) che consiste in un deficit dell'ossigeno disciolto nel sangue e si manifesta clinicamente con una sensazione di affaticamento (dispnea), in occasione di sforzi anche molto lievi o, nei casi più gravi, anche a riposo. Il livello di ipossiemia è valutabile per mezzo della emogasanalisi arteriosa, cioè di un piccolo prelievo di sangue eseguito dall'arteria radiale o dal lobo dell'orecchio. Un altro riscontro emogasanalitico di grande importanza fisiopatologica è rappresentato dall'ipercapnia, cioè dall'aumento eccessivo dell'anidride carbonica nel sangue arterioso dovuto al fatto che gli alveoli non sono più in grado di portarla all'esterno per una compromissione principalmente della fase espiratoria. L'asma bronchiale e la bronchite cronica di rilevante entità, l'obesità di alto grado e un'ascite imponente sono condizioni che possono comportare l'insorgenza dell'ipercapnia. Ipossiemia e ipercapnia definiscono l'insufficienza respiratoria cronica, che caratterizza gli stadi avanzati delle principali malattie del polmone. Quando si sia instaurata questa condizione, oltre all'incremento della ventilazione legato soprattutto all'aumento della frequenza respiratoria, e quindi all'affaticamento dei muscoli respiratori, si verificano anche una serie di risposte di adattamento da parte dell'organismo sottoposto a una condizione patologica protratta.
La policitemia, per es., è il risultato della iperproduzione di globuli rossi caratterizzati dalla presenza di alte concentrazioni di difosfoglicerato, molecola in grado di far liberare una maggiore quantità di ossigeno dagli stessi globuli, e rappresenta una sorta di adattamento all'ipossiemia cronica. Tuttavia la carenza di ossigeno nel sangue arterioso determina a lungo andare un restringimento del sistema arterioso polmonare, che si traduce in un aumento della pressione a tale livello, condizionando l'insorgenza del cuore polmonare cronico. Infine, il circolo polmonare può essere interessato da alterazioni del calibro dei vasi conseguenti a varie malattie della loro parete; queste alterazioni possono condizionare un aumento dei valori pressori, come nell'ipertensione polmonare primitiva oppure in quella secondaria a stimolo ipossico, che rappresenta la fase finale delle principali patologie polmonari croniche. Il circolo polmonare può essere anche sede di emboli a partenza dallo stesso polmone, ovvero fungere da filtro di emboli provenienti da altri distretti corporei.
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