POLMONE (lat. pulmo; fr. poumon; sp. pulmón; ted. Lunge; ingl. lung)
Anatomia. - I polmoni (v. respiratorio, apparato), oltre che dai bronchi intrapolmonari e dalle loro ramificazioni, risultano formati da un grande numero di elementi specifici, chiamati, lobuli polmonari, da vasi, da nervi e finalmente dal tessuto interstiziale, che serve a cementare insieme le varie formazioni.
Lobuli. - I lobuli risultano da speciali modificazioni della parte terminale delle ultime ramificazioni bronchiali, attorno alle quali si è sviluppata una ricchissima rete capillare; nel feto e nel neonato sono più facilmente separabili, perché sono circondati da un connettivo relativamente abbondante; nell'adulto, per la diminuzione di questo connettivo, vengono a più stretto contatto tra loro. Il loro numero si può calcolare di circa 800 nel polmone destro, un po' meno di 700 nel polmone sinistro. Ogni lobulo ha un volume medio di circa un centimetro cubo, ma aumenta durante l'inspirazione, diminuisce durante l'espirazione; originariamente ha la forma d'una piramide, il cui apice si continua con un bronchiolo intralobulare; però questa forma si conserva abbastanza bene nei lobuli, che sono a contatto con la superficie polmonare, mentre nei più profondi si modifica notevolmente per la pressione dei lobuli vicini. Ogni lobulo si può considerare formato nel seguente modo: il bronco intralobulare entrando nel lobulo è formato da un involucro connettivale elastico con fibre muscolari lisce e da un epitelio cilindrico vibratile monostratificato contenente pure cellule caliciformi. Quando il bronco intralobulare si divide in 10-12 bronchioli terminali, l'epitelio di questi perde le ciglia e le cellule caliciformi e diviene cubico; già prima di dare origine ai tubi alveolari comincia a presentare delle estroflessioni emisferiche, le quali non sono altro che alveoli simili a quelli che si trovano nei tubi alveolari; ai bronchioli terminali così modificati si dà il nome di bronchioli respiratori. I bronchioli respiratorî terminano con una piccola dilatazione detta vestibolo dalla quale partono 3-6 condotti, detti alveolari, terminanti con una piccola dilatazione chiamata infundibolo: le pareti dei condotti alveolari e degli infundiboli sono interamente formate dall'addossamento di numerosissime vescicole emisferiche, le quali costituiscono l'elemento respiratorio e si dicono alveoli polmonari. Gli alveoli polmonari sono tappezzati dall'epitelio respiratorio, il quale è sostenuto da una delicatissima membranella anista o leggermente striata; nell'epitelio respiratorio si riscontrano due specie di cellule: infatti una parte degli elementi, che lo costituiscono, sono cellule piccole di 7-15 μ di diametro, rotondeggianti o poligonali, appiattite, granulose, fornite di nucleo, disposte in un solo strato; le altre cellule sono più grandi, avendo un diametro di 22-45 μ, sono fortemente appiattite e prive di nucleo, per cui furono dette lamine polmonari. Nel neonato che non ha respirato vi sono solo gli elementi della prima specie; con lo stabilirsi della respirazione compaiono le lamine polmonari, le quali si trovano di preferenza in quella parte della parete alveolare, che sta a contatto con i capillari sanguigni. Gli alveoli polmonari nell'uomo adulto hanno in media un diametro di millimetri 0,2, sono più piccoli durante i primi anni della vita, più grandi nella vecchiaia. Il numero totale degli alveoli, che si trovano nei due polmoni d'un uomo adulto, sarebbe secondo E. Huschke di 1800 milioni, secondo C. Aeby invece solamente di 404 milioni. Con pazienti calcoli si è cercato di determinare la superficie totale degli alveolî di un uomo e si è trovato che questa va dai 100 ai 150 metri quadrati, crescendo nell'inspirazione, diminuendo nell'espirazione: i tre quarti di questa enorme superficie stanno in rapporto col reticolo sanguigno capillare dei polmoni, che perciò ha un'estensione di 75 a 112 metri quadrati. Poiché la massa sanguigna dell'uomo è di circa 5 litri e impiega press'a poco 27 secondi per fare l'intero giro del nostro corpo, dobbiamo ammettere che questa massa in meno d'un minuto primo subisce per ben due volte nei polmoni una specie di laminatura, cioè si riduce a una sfoglia esilissima d'un centinaio di metri quadrati di superficie, per poi riprendere immediatamente la forma, che a essa imprimono le varie parti dell'albero circolatorio.
Recentemente è sorta la teoria della costanza del mezzo respiratorio; secondo questa teoria non vi sarebbe una sostanziale differenza tra la respirazione branchiale e quella polmonare. Infatti con ingegnose esperienze si è dimostrato che la mucosa polmonare è costantemente coperta da un velo liquido, che naturalmente ha la stessa estensione di quella; perciò gli scambî gassosi non avverrebbero direttamente tra l'aria e il sangue, ma prima tra l'aria e il velo liquido e poi tra questo velo e il sangue. Comunque dobbiamo ammettere che nei nostri polmoni esiste una superficie liquida estesa per 100-150 metri quadrati, la quale non forma uno stagno, ma, a causa dei movimenti respiratorî, somiglia piuttosto a un mare tempestoso, la cui agitazione è estremamente favorevole agli scambî gassosi.
Vasi del polmone. - I vasi che troviamo nel polmone si debbono dividere in due specie, cioè in vasi polmonari e vasi bronchiali. I vasi polmonari, che appartengono alla piccola circolazione, sono molto grandi e provvedono agli scambî respiratorî, perciò sono detti funzionali. I vasi bronchiali, invece, fanno parte della grande circolazione, sono molto più piccoli e provvedono alla nutrizione del tessuto polmonare, per cui sono detti trofici. a) I vasi polmonari sono costituiti dalle ramificazioni dell'arteria e delle vene polmonari. L'arteria polmonare, che porta sangue venoso, distaccatasi dal ventricolo destro, si dirige verso l'alto e, dopo un percorso di circa 5 cm., si divide in ramo destro e sinistro, ciascuno dei quali è destinato al corrispondente polmone; penetrato per l'ilo, ogni ramo dell'arteria polmonare si divide e si suddivide in modo corrispondente alla divisione dei bronchi, assumendo una posizione dorsale rispetto a questi; gli ultimi rami molto esili raggiungono i lobuli in corrispondenza della loro parte apicale e si sciolgono in un reticolo capillare assai fine e serrato a maglie rotondeggianti: questi capillari, il cui lume è appena sufficiente per il passaggio d'un corpuscolo rosso, stanno strettamente accollati alla parete dell'alveolo e talora ne determinano un sollevamento, che sporge entro il lume alveolare. L'intervallo, che separa il lume del capillare da quello dell'alveolo, è, secondo A. Kölliker, di 2 μ. Il sangue circolando in questo reticolo diviene arterioso e viene raccolto dalle radici delle vene polmonari, le quali oltre a questo sangue eminentemente arterioso raccolgono pure quello del reticolo venoso sottopleurale (vene pleuropolmonari di L. Le Fort) e quello del reticolo venoso, che circonda i più sottili bronchi (vene broncopolmonari di Le Fort). Tutto il sangue si raccoglie in quattro vene polmonari, due provenienti dal polmone destro e due dal sinistro, le quali sboccano nell'atrio sinistro del cuore. b) Le arterie bronchiali più importanti provengono dall'aorta toracica e sono in numero di due; altre arterie bronchiali più piccole possono provenire dai rami mediastinici anteriori dell'a. mammaria interna; queste arterie giunte presso l'ilo forniscono rami alle linfoghiandole ilari, poi penetrano nel polmone e si distribuiscono alle pareti dei bronchi, alle pareti dei vasi (vasa vasorum), al tessuto sottopleurale, al restante tessuto interstiziale del polmone; le vene bronchiali si dividono in anteriori e posteriori; hanno il loro principale sbocco nelle vene azygos ed emiazygos, ma comunicano pure con le vene dei distretti vicini e alcune sboccano direttamente nelle vene polmonari. Le due circolazioni polmonare e bronchiale non sono completamente indipendenti, poiché si hanno anastomosi tra i rami delle arterie polmonari e quelli della arterie bronchiali, come pure tra le due specie di vene.
I linfatici del polmone si dividono in superficiali o sottopleurali e profondi: tanto gli uni quanto gli altri vanno a sboccare nelle linfoglandole dell'ilo.
Nervi. - I nervi dei polmoni provengono da due plessi polmonari, distinti in anteriore e posteriore: alla formazione di questi plessi provvedono rami nervosi provenienti dal vago e dal simpatico.
Tessuto interstiziale. - Tutti i costituenti del polmone finora descritti sono tenuti insieme da tessuto connettivo lasso, il quale è più abbondante nell'età giovanile; questo tessuto connettivo forma uno strato continuo sotto la pleura, strato sottopleurale, mentre nel resto del polmone si trova diffuso; risulta formato da fasci di fibre connettivali e da numerose fibre elastiche, le quali dànno al polmone la sua grande elasticità e che, insinuandosi anche tra gli alveoli polmonari, contraggono intimi rapporti con le pareti di questi; contiene inoltre cumuli di tessuto adenoideo. Nel tessuto interstiziale si trova un' abbondante pigmentazione, specialmente attorno alle piccole arterie; tale pigmentazione generalmente compare all'epoca della pubertà e cresce con l'avanzare degli anni; si ritiene che questa pigmentazione sia autogena solo in minima parte, risultante di granuli di melanina inclusi nelle cellule fisse del connettivo; invece la maggior parte della pigmentazione è dovuta a particelle di carbone inspirate con l'aria; queste particelle dopo avere attraversato la parete alveolare sono raccolte da cellule mobili che le depositano negli interstizî del connettivo, oppure le trasportano fino ai ganglî ilari.
Anatomia patologica. - Le malattie del polmone dànno un forte tributo alla mortalità per la facilità con la quale cause fisiche, chimiche, infettive possono agire in profondità a lederlo.
Nel polmone, più che le alterazioni congenite, rare e poco importanti, interessano le malattie legate alla sua funzione, in rapporto a variazione del suo contenuto in aria. Se questa non penetra o vi è riassorbita o espulsa si ha l'atelettasia e da ciò "area atelettasica".
Si hanno varie forme di atelettasia. 1. L'atelettasia congenita, quando alla nascita l'aria non penetri in qualche tratto di polmone dove permane l'atelettasia fetale. 2. Atelettasia da compressione, quando l'aria è scacciata da qualche forza esterna (trasudati, essudati, tumori pleurici, ecc.). 3. Atelettasia da occlusione bronchiale: occluso un bronco l'aria è riassorbita nel tratto che era aerato dal bronco, gli alveoli collabiscono e il tessuto si affloscia e si fa iperemico perché la mancanza della pressione endoalveolare permette ai capillari di dilatarsi e l'area atelettasica si fa rossa scura, rientrante, cedevole, ciò che non si ha nell'atelettasia da compressione, nella quale anche i capillari sono compressi. Le atelettasie acquisite, levata la causa, si risolvono; se persiste, si produce un edema che riempie gli alveoli e il tessuto prende l'aspetto di milza (splenizzazione) o per la desquamazione infiammatoria degli epitelî alveolari le opposte pareti si saldano, si sclerotizza il tessuto interstiziale e ne viene un indurimento dell'organo (carnificazione).
Nei polmoni il contenuto gassoso (aria, di rado gas da putrefazione) può aumentare. Ciò si dice enfisema. Se il gas occupa gli alveoli si ha l'enfisema alveolare. Di questo si hanno tre forme:
1. Enfisema alveolare acuto. È il più frequente. È dato da una forzata distensione degli alveoli, che è: generale, se data da inspirazioni profonde, richieste da un maggior lavoro, o da una deficiente attività cardiaca, o dall'insorgere di numerosi focolai infiammatorî (es., tubercolosi miliare ematogena) e allora il polmone è espanso, roseo per iperemia infiammatoria acuta e l'enfisema ha il significato di enfisema vicario; parziale, e allora è sempre enfisema vicario e si forma di lato e in proporzione ad aree di polmone impervie (per atelettasia o sclerosi o alterazioni di circolo, neoplasmi, ecc.). Si trova spesso ai margini anteriori quando le basi polmonari siano impervie per congestione ipostatica. 2. Enfisema alveolare cronico o sostanziale. Fa malattia a sé, con base costituzionale ereditaria, per torace a botte e debolezza congenita delle fibre elastiche delle pareti alveolari, che si spezzettano e scompaiono, così gli alveoli si dilatano (se si rigonfiano talora fondendosi insieme si ha enfisema bolloso) e per la grande quantità di anidride carbonica dell'aria che vi ristagna sono ostacolati i processi ossidativi del polmone. Dall'usura delle pareti alveolari molti vasi si obliterano, altri sono compressi e da ciò un forte ostacolo nel piccolo circolo e ipertrofia da maggior lavoro del cuore destro che per le cattive condizioni del suo circolo stesso cade poi in scompenso, talora mortale. Macroscopicamente il polmone è molto aerato e voluminoso, con i margini copre l'area cardiaca, biancastro per l'anemia da compressione endoalveolare, di consistenza cotonosa. A produrre questo e alle cause congenite predisponenti si aggiungano diminuzioni di resistenza da malattie pregresse dopo le quali forzate inspirazioni agiscono su alveoli dilatati da inspirazioni forzate. 3. Enfisema senile. Si ha per atrofia e scomparsa di setti interalveolari e fusione di alveoli. Per la forte aerazione il polmone è biancastro ma ridotto di volume. 4. Enfisema interstiziale. In esso dagli alveoli rotti, per traumi e ulcerazioni, l'aria s'infiltra tra gli acini, i lobuli e sotto alla pleura e talora nel mediastino anteriore nel collo, e nella parte alta del torace. L'aria, se sterile, si riassorbe, se infetta, determina infezioni flemmonose e nella pleura, piopneumotorace. Si distingue dall'enfisema putrefattivo perché quest'ultimo non aumenta con insufflazioni fatte per via bronchiale.
Pneumoconiosi. - Sono malattie dovute alle inalazioni di soverchie quantità di polveri che, sovrariempiti gli alveoli, si approfondano a ledere tutto il polmone (v. pneumoconiosi).
Alterazioni di circolo. - L'iperemia attiva (il polmone si fa grosso, consistente, rosso intenso) o dipende da causa nervosa vasodilatatrice che talora può dare apoplessia del polmone, o da decompressione (toracentesi) che può essere mortale per anemia cerebrale, o da tossici batterici, o autogeni (alterazioni di ricambio) o eterogeni (veleni varî). Si nega oggi che l'iperemia attiva, la flussione degli antichi, possa da sola dare la morte. Iperemia passiva si ha per il rallentamento del piccolo circolo da vizî di cuore, da diminuzione della pressione perivascolare (atelettasia). Può essere transitoria; se permanente, altera il polmone che si fa duro, rosso rugginoso (indurimento bruno) per l'accumularsi negli alveoli di fagociti che, per avere distrutto globuli rossi, si caricano di pigmenti. Queste cellule globulifere possono poi trovarsi negli escreati e sono dette "cellule cardiache" perché frequenti nelle malattie di cuore.
Edema. - Si ha o nella stasi durevole per la più facile permeabilità dei vasi (il polmone è pesante, pallido, lascia spremere liquido chiaro aerato), o nell'iperemia attiva (e allora si spreme liquido rosso per globuli rossi che contiene), o in stati, discrasici (tipicamente nella nefrite), o per presenza di sostanze che dal sangue ledono le pareti vasali.
Trombosi ed embolismo. - Di rado la trombosi ha origine locale, più spesso si ha il trasporto embolico di una grossa massa trombotica staccatasi da vene lontane (uterine, iliache) che dal cuore destro viene spinta nella polmonare chiudendone il lume. Non pervenendo più sangue al cuore sinistro si ha morte rapida per ischemia cerebrale. Se trombi autoctoni ed embolici occludono rami minori della polmonare e coesiste stasi, si formano degli infarti emorragici (conici, scuri, consistenti) che possono risolversi o organizzarsi.
Emorragie. - Oltre quelle traumatiche e nervose, se ne hanno da caduta di sangue dalle vie aeree superiori, da ulcere (spesso tubercolari) o vicarianti a flussi mestruali, ecc. Se il sangue è sterile si riassorbe, se infetto estende i fatti infiammatorî.
Infiammazioni. - Le forme fondamentali dell'infiammazione del polmone sono la polmonite lobare e la broncopolmonite.
1. Polmonite lobare (v. polmonite), o pleuropolmonite, per la facile diffusione alla pleura data quasi sempre dal diplococco capsulato di Fraenkel che perviene al polmone o col sangue o con l'aria. Ha decorso ciclico. Se non si risolve, dall'organizzazione dell'essudato si ha la carnificazione. Il diplococco può dal polmone localizzarsi al cuore, al rene, alle articolazioni, alle meningi (meningiti cerebrospinali che talora assumono andamento epidemico).
2. Broncopolmonite (v.). - È data da microrganismi diversi, talora associati, che, lesi i bronchi, si diffondono agli alveoli terminali o circostanti nei quali sull'essudazione predomina l'esfogliazione e da ciò il nome di catarrale che si dà alla malattia. La lesione è lobulare e appare come noduli rosei granulosi sporgenti che talora confluiscono. Frequente nei bambini in forma nodulare diffusa al seguito di esantemi. Negli adulti preferisce la base dei polmoni. Si risolve lentamente, o si organizza dando splenizzazione. Se è data da caduta nei bronchi di materiale putrido è detta da deglutizione e assume spesso il tipo cancrenoso. Nell'influenza assume tipo emorragico, nella peste necrotico, nel carbonchio è contornata da un imponente edema infiammatorio che s'estende fino alla parete toracica.
Tubercolosi. - È data dal bacillo di Koch che fa ammalare il polmone pervenendovi specialmente per via dell'aria. Di rado è congenita. Si ammette che tutti i bambini ne ammalino e che le prime lesioni si abbiano nei lobi inferiori con diffusione alle ghiandole ilari (complesso primario) che guarendo lascino una certa immunita per quanto, dai reliquati, l'infezione possa riaccendersi. In maggior età si può avere la reinfezione e le prime lesioni si hanno all'apice e possono anche cicatrizzare, o possono diffondersi a gran parte del polmone per via bronchiale, o linfatica, o sanguigna e dalla varietà delle vie di diffusione dipende la grande varietà del reperto anatomico dei polmoni tubercolosi. Le alterazioni date dal bacillo di Koch sono o proliferative, quale reazione difensiva dei tessuti, e da ciò il caratteristico granuloma "il tubercolo", o essudative, le une e le altre possono cicatrizzare (sclerosi, calcificazione), come possono progredire conducendo alla mortificazione (caseosi) e all'ulcerazione, con formazione di caverne, pericolose per le gravi emorragie che determinano, e per le alterazioni degenerative (grassa e amiloide) che determinano in varî organi per l'assorbimento dei prodotti tossici (endo- ed esotossine) che vi sono contenuti e prodotte o dai bacilli di Koch o da altri microorganismi che ne coadiuvano l'azione distruttiva (in specie gli stafilococchi). La tubercolosi ulcerativa del polmone è detta "tisi", se a svolgimento rapido "tisi galoppante". Nei vecchi ha decorso lento, conduce a forme indurative ed è più frequente di quanto si creda. Dal polmone la tubercolosi per via ematogena può diffondersi all'organismo determinandovi una tubercolosi miliare acuta o cronica. Della acuta è temibile complicazione la meningite basilare con idrocefalo interno (v. tubercolosi).
Altre infiammazioni specifiche nel polmone sono date dalla sifilide (a forma interstiziale come nei neonati: polmonite alba o a forma gommosa), dall'actinomicosi, dalla lebbra, dalla morva, ecc., ognuna delle quali ha delle caratteristiche istologiche proprie che ne permettono l'identificazione.
I tumori nel polmone sono rari. Connettivali benigni sono i lipomi, i miomi, i fibromi, gli encondromi. Maligni, i sarcomi. Di epiteliali benigni si ha l'adenoma bronchiale che può trasformarsi in cancro e poi dall'ilo per i linfatici si diffonde a tutto il polmone. Altri cancri derivano dall'epitelio alveolare e possono assumere forma massiva. Più spesso per via sanguigna o linfatica si hanno nel polmone metastasi di cancri o di sarcomi di altri organi.
Parassiti. - Tra i parassiti del polmone è da ricordare l'echinococco idatideo che spesso vi perviene dal fegato attraverso il diaframma e nel polmone produce una grossa cisti, che, rompendosi, può svuotarsi nei bronchi, o, persistendo, suppurare. Rarissimo nel polmone il distoma polmonare.
Per altre lesioni anatomo-patologiche del polmone (ascesso, cancrena, echinococco, micosi), v. sotto. V. anche emottisi.
Patologia. - Ricorderemo brevemente le affezioni polmonari più importanti.
Ascesso polmonare. - Processi suppurativi del tessuto polmonare si possono avere o per emboli infetti che si fermino nel polmone, a punto di partenza da una trombosi settica delle vene o da una endocardite (ascesso embolico), oppure in seguito a penetrazione di corpi estranei nelle vie aeree, o come complicazione di gravi polmoniti e broncopolmoniti. Talvolta l'ascesso polmonare può essere dovuto a localizzazione nel polmone dell'ameba istolitica.
L'ascesso embolico s'inizia con brivido e febbre che assume tipo intermittente accompagnata da sudori profusi e dolori toracici. Nell'ascesso conseguente a polmonite, invece di aversi la risoluzione del focolaio, perdurano i segni dell'infiltrazione e la febbre elevata. Se la fusione purulenta del tessuto polmonare è estesa, sopravviene in breve l'esito letale. Se invece il processo resta circoscritto, può durare a lungo sempre con febbre alta di tipo intermittente e gravi fenomeni generali (emaciazione) finché il pus non si fa strada nei bronchi o nella pleura. Quando l'ascesso si apre nei bronchi il suo contenuto viene emesso sotto uno sforzo di tosse o di vomito (vomica) e nell'espettorato, schiettamente purulento, sono contenute fibre elastiche, indice della distruzione del parenchima polmonare; la febbre diminuisce e può seguire la guarigione spontanea. Quando si svuota nel cavo pleurico produce empiema o pio pneumotorace.
Per la cura dell'ascesso polmonare, oltre a sostenere le forze dell'ammalato, si consigliano l'uso di sostanze balsamico-antisettiche per inalazione o per via interna, iniezioni endovenose di neo-salvarsan, e di septojod; vaccinoterapia con autovaccino o con vaccini antipiogeni polivalenti; emetina per iniezioni se l'ascesso è di origine amebica. Se le cure mediche falliscono si ricorra senza perdere troppo tempo all'intervento chirurgico, che è poi assolutamente indicato quando sia avvenuta l'apertura dell'ascesso nella cavità pleurica.
Cancrena polmonare. - È un processo di necrosi e di decomposizione putrida del polmone dovuto ai batterî della putrefazione (Proteus, Leptothrix, Bacillus fluorescens putridus, ecc.) che agiscono solo quando trovano nel tessuto polmonare condizioni favorevoli. La cancrena polmonare si può sviluppare per penetrazione nel polmone di corpi estranei, soprattutto particelle alimentari, o aspirazione di materie infette provenienti da processi ulcerosi e icorosi della bocca, della faringe, della laringe; negli stati di grave denutrizione o marantici (per diabete, alcoolismo, malaria, ecc.); talvolta in seguito a bronchite fetida, bronchiettasie, polmonite acuta e cronica, e infine, per via embolica quando arriva nei polmoni un embolo da un altro focolaio cancrenoso (per es., cancrena di un arto, endocardite icorosa, ecc.).
Clinicamente la cancrena polmonare si manifesta con febbre irregolare accompagnata da brividi, prostrazione e dimagramento rapido: è caratterizzata dal fetore insopportabile dell'alito e dello sputo. La tosse è insistente e l'escreato, molto abbondante, è formato di materiale viscido, di colore bruno sporco o verdastro, talvolta sanguinolento, molto fetido, che raccolto in un bicchiere si deposita in tre strati (v. bronchiettasia). In esso si rinvengono frammenti di tessuto polmonare. I segni fisici della cancrena polmonare sono dapprima quelli di un'infiltrazione e in seguito quelli di un'escavazione. L'esito più frequente è la morte, ma si può avere la guarigione se il focolaio è circoscritto e accessibile alla cura chirurgica, a cui si deve sempre ricorrere se non ci sono controindicazioni. Altri mezzi terapeutici che possono riuscire vantaggiosi sono: il pneumotorace artificiale, l'uso di sostanze disinfettanti e balsamiche per inalazioni o per via interna (creosoto, trementina, terpinolo, ecc.), le iniezioni endovenose di neo-saharsan, i sieri anticancrenosi. Inoltre si sosterranno le forze dell'infermo con una buona alimentazione e si faciliterà l'emissione dell'escreato facendo assumere al paziente adatte posizioni.
Echinococco polmonare. - La localizzazione dell'echinococco nel polmone ha una frequenza di circa il 10% dei casi di echinococcosi. Per lo più il parassita perviene secondariamente nel polmone da altri organi o per mezzo del circolo sanguigno o dal fegato attraverso il diaframma. Pervenuto nel polmone l'echinococco dà luogo, come in altri organi, alla formazione d'una ciste idatidea, per lo più unica. Talvolta il parassita muore e allora si può avere la guarigione spontanea della ciste; in altri casi la ciste può suppurare, non raramente si rompe versando il suo contenuto in un bronco o nel cavo pleurico.
All'inizio la malattia decorre subdolamente o con manifestazioni simili a quelle della tubercolosi polmonare iniziale: dolori toracici, tosse, talvolta con espettorato sanguigno, dispnea, e poi rialzi termici irregolari, dimagramento, ecc. I segni fisici sono: ottusità circoscritta, fremito vocaletattile indebolito, murmure vescicolare abolito, sintomi cavitarî dopo lo svuotamento della ciste. Dati preziosi per la diagnosi fornisce l'esame con i raggi X. Ai sintomi suddetti vanno aggiunti i segni di reazione generale dell'organismo che sono comuni a tutte le echinococcosi e che sono rivelati dalla spiccata eosinofilia del sangue, dalla sieroreazione di Ghedini, dall'intradermoreazione alla Casoni. Se la ciste si apre in un bronco si ha espettorazione di abbondante materiale denso, purulento o no, talvolta sanguigno, in cui si rinvengono uncini del parassita e frammenti di membrana; segue per lo più allora la guarigione. Questa in qualche caso si può avere anche senza svuotamento della ciste per morte spontanea del parassita e riassorbimento della ciste stessa. Quando la ciste si apre nella pleura dà luogo a una pleurite o a un piopneumotorace. La cura medica è puramente sintomatica. Risultati eccellenti può dare l'intervento chirurgico, specie se la ciste è localizzata alla periferia del polmone.
Edema polmonare. - Consiste nella trasudazione di un abbondante liquido sieroso dai vasi sanguigni negli alveoli e nel tessuto interstiziale dei polmoni. Può comparire: per infiammazione dei polmoni (in casi di polmoniti acute); per stasi venosa nell'insufficienza cardiaca specialmente del ventricolo sinistro; nell'idremia da nefrite acuta o cronica, infine per un troppo rapido svuotamento di un copioso versamento pleurico (edema ex vacuo).
Si manifesta con improvvisa e intensa dispnea, pallore, cianosi, tosse breve e ostinata con escreato abbondante liquido e schiumoso; ipofonesi timpanica, rantoli numerosi, diffusi, a piccole e medie bolle. Il suo esito nei casi gravi è la morte per asfissia. La terapia deve proporsi soprattutto di sostenere l'energia del cuore con iniezioni ipodermiche di caffeina, canfora, arabaina, o endovenose di preparati digitalici. A meno di speciali controindicazioni, si farà un generoso salasso. Giovano pure le affusioni fredde in un bagno tepido; gli espettoranti e la somministrazione di purganti, diuretici e diaforetici per ottenere un'ausiliare derivazione intestinale, renale o cutanea.
Embolia e infarto polmonare. - Le condizioni più frequenti che producono embolismo della polmonare sono: il rallentamento della corrente sanguigna per insufficienza del cuore destro in seguito a vizî valvolari o a miocardite; le tromboflebiti d'origine infettiva, le varici alle gambe, le trombosi delle vene uterine (durante il puerperio) o di altre vene (in seguito a operazioni chirurgiche o ad alterazioni discrasiche del sangue). Finalmente vegetazioni endocardiche delle valvole tricuspide o polmonari possono dare luogo a embolie polmonari.
L'occlusione di un ramo dell'a. polmonare produce un infarto emorragico perché i rami della polmonare sono "arterie terminali", cioè ciascuno di essi si dirama in un sistema capillare proprio che non ha con i rami vicini quasi alcuna comunicazione, sicché non si può ristabilire una circolazione collaterale quando il ramo venga ostruito. In tal caso il rispettivo distretto polmonare non riceve più sangue arterioso e si forma l'infarto. Quando l'embolo è così grande da occludere un ramo principale dell'arteria polmonare, si ha la morte improvvisa (apoplessia polmonare). Se viene occluso un ramo di medio calibro si ha un accesso d'intensa dispnea, il polso si fa piccolo e frequente e può sopravvenire la morte dopo qualche giorno. Quando l'infermo rimane in vita si produce, come sopra si è ricordato, l'infarto emorragico, che consiste in un focolaio cuneiforme la cui base raggiunge la superficie del polmone e l'apice è diretto verso l'ilo: detto focolaio è di colore rosso bluastro perché infarcito di globuli rossi.
L'infarto polmonare dà luogo a dispnea, dolore puntorio nella regione colpita, espettorato muco-ematico, transitorio rialzo termico. Se è di notevole dimensione dà ottusità circoscritta con rantoli crepitanti e respiro bronchiale. Per lo più è accompagnato da un versamento pleurico. Nel tempo il tessuto infarcito si trasforma in un tessuto cicatriziale. Se l'embolo contiene germi patogeni perché proveniente da una zona infetta, arrivando nel polmone vi produce un ascesso embolico.
La cura è puramente sintomatica (riposo, iniezioni di morfina, inalazioni di ossigeno, ecc.). Dal punto di vista profilattico si deve proibire il movimento alle puerpere, agli infermi di trombo-flebite degli arti inferiori e a tutti quelli in cui si sia prodotta una trombosi d'un vaso venoso, e inoltre agli ammalati di endocardite acuta e ai cardiaci scompensati.
Enfisema polmonare (dal gr. ἐμϕυσάς "insufflo"). - Consiste in una considerevole e permanente dilatazione degli alveoli polmonari dovuta a perdita di elasticità delle loro pareti per alterazioni atrofiche di esse. La malattia è più frequente nell'età avanzata e si svlluppa in seguito a bronchite cronica, asma bronchiale, pertosse, ecc., e in quegli individui che per necessità professionali sono obbligati di continuo a sforzi espiratorî (soffiatori di vetro, suonatori di strumenti a fiato, ecc.). Peraltro è dubbio se in questi casi l'enfisema polmonare costituisca una malattia professionale, poiché da alcuni autori si pensa che lo stabilirsi della malattia sia legato a un fattore predisponente costituzionale (debolezza congenita del tessuto elastico).
Il torace degli enfisematosi è permanentemente in posizione inspiratoria, disteso e come sollevato, cosicché il collo appare corto, le coste assumono un decorso quasi orizzontale, lo sterno è spinto in avanti e in alto e il diametro sterno-vertebrale è aumentato: la cassa toracica prende una forma a botte. Inoltre essa è rigida, perché le cartilagini costali sono in gran parte ossificate, ciò che ostacola ancora di più i movimenti respiratorî. Si comprende, quindi, come gli enfisematosi abbiano una respirazione superficiale, e come vadano soggetti facilmente a dispnea in seguito a ogni sforzo muscolare, dispnea che nelle forme gravi è continua con esacerbazioni accessionali asmatiformi. La percussione del torace dà suono chiaro iperfonetico, i margini polmonari inferiori arrivano più in basso che di norma e non si spostano nemmeno nelle profonde inspirazioni, l'aia di ottusità cardiaca è molto impicciolita perché coperta da tessuto polmonare. Il fremito vocale tattile è indebolito e così pure il murmure vescicolare; spesso si sentono ronchi e fischi dovuti a bronchite concomitante. Anche la funzione cardiaca viene danneggiata e si hanno a lungo andare fenomeni di insufficienza del ventricolo destro.
La malattia permette anche una lunga sopravvivenza ma rende i pazienti inabili al lavoro. Essa non può guarire e quindi la terapia si rivolge principalmente a combattere la concomitante bronchite cronica che aggrava i disturbi. Bisogna sorvegliare anche il cuore.
Si può agevolare l'espirazione dell'enfisematoso comprimendo ritmicamente il torace con le mani o servendosi della sedia respiratoria di Rossbach. Molti consigliano la cura pneumatica che consiste nel fare respirare per qualche tempo gl'infermi in aria rarefatta ottenuta mediante speciali apparecchi. Si è tentato anche di ottenere per via chirurgica una maggiore cedevolezza della cassa toracica con la resezione delle cartilagini delle coste superiori. Si consiglierà poi agli enfisematosi un clima moderato.
Micosi polmonare o pneumomicosi (dal gr. μνεύμων "polmone" e μύκης "fungo"). - Alcune forme morbose polmonari piuttosto rare sono prodotte da funghi microscopici, agenti di speciali malattie degli animali, da cui possono essere trasmesse all'uomo per via diretta o indiretta.
Tra questi funghi patogeni i più comuni e più noti sono: l'Actinomyces (della famiglia delle Streptotricee), e l'Aspergillus fumigatus e niger (della famiglia degli Ifomiceti).
L'actinomicosi polmonare rappresenta una tra le varie localizzazioni di questa malattia parassitaria (v. actinomicosi). L'Actinomyces (o fungo raggiato) in natura si trova specialmente sulle piante (graminacee) e pertanto la malattia si riscontra quasi esclusivamente negli erbivori. L'uomo può infettarsi o mettendo in bocca casualmente reste di grano o forse anche per inalazione di polveri di graminacee. Clinicamente l'actinomicosi polmonare si presenta con segni simili a quelli di una broncopolmonite tubercolare (dolori toracici, tosse, escreato abbondante e purulento, talvolta ematico). La malattia ha tendenza a passare dai polmoni alla pleura (pleurite) e da questa alla parete del torace dove produce un'infiltrazione caratteristica dei tessuti con formazione di tragitti fistolosi. Nel pus e nell'escreato si rinviene il fungo parassita (granuli giallastri o grigiastri). La malattia ha come esito frequente la morte. La terapia si avvale delle irradiazioni con i raggi X, dei preparati iodici per via interna ad alte dosi. Del resto la cura sarà sintomatica. Per la profilassi: evitare di mettere in bocca fuscelli di paglia, reste di grano, ecc.
L'aspergillosi polmonare si riscontra prevalentemente negli allevatori di colombi e nei pettinatori di capelli che si infettano per inalazione del fungo. Si manifesta con emottisi, tosse, espettorazione purulenta, accessi asmatici, deeperimento generale; il quadro anatomo-patologico è quello di una bronco-polmonite cronica. Quanto alla terapia si consigliano i preparati iodici, inalazioni di trementina o di soluzioni fenicate. Si farà inoltre un trattamento sintomatico e una cura tonico-ricostituente per sostenere le forze degli infermi.
Oltre all'Aspergillus altri Ifomiceti (Oidium, Mucor, Eurotium, ecc.) possono riscontrarsi nei polmoni, ma raramente vi si sviluppann in modo primitivo: per lo più s'impiantano dove preesistono fatti patologici (bronchiectasie, caverne, ascessi, focolai cancrenosi, infarti e talora focolai pneumonici) e in tali casi si ritrovano generalmente nello sputo.
Tubercolosi polmonare: v. tubercolosi.
Polmonite: v. polmonite.
Chirurgia. - La chirurgia nel campo delle lesioni polmonari è andata assumendo un'importanza sempre maggiore col progredire della tecnica e il moltiplicarsi delle osservazioni e degli interventi. (Per la tecnica generale degli interventi sull'apparato respiratorio, v. respiratorio, apparato).
Nei casi di lesioni traumatiche del polmone l'intervento chrirurgico può avere naturalmente varia portata a seconda che si tratti di ferite penetranti o di lesioni di altro genere. Generalmente in questi casi la chirurgia è chiamata a dominare il fatto emorragico, ad allontanare le cause vulneranti, o a curare le complicazioni seguite alla lesione traumatica. Contro la perdita di sangue che può verificarsi all'esterno, attraverso i bronchi (emottisi) o nel cavo pleurico (emotorace), la chirurgia può agire facendo l'emostasi diretta e cioè andando ad allacciare il vaso polmonare, sanguinante e suturando la ferita polmonare, o per mezzo della compressione del polmone fatta col pneumotorace. In tali casi si parla di pneumotorace emostatico e il meccanismo d'azione di esso consiste essenzialmente nella retrazione dei vasi aperti e sanguinanti che è la necessaria conseguenza della compressione del polmone. In linea di massima si può dire che il metodo della sutura diretta della ferita polmonare è adottato quando si tratta di ferite lacere e vaste e quello del pneumotorace emostatico nei casi di ferite semplici o perforanti.
La chirurgia può svolgere anche opera utile quando si tratti di lesioni della parete toracica e specialmente delle costole che siano state cause della ferita pleuro-polmonare. In tali casi l'intervento chirurgico serve a riparare la ferita viscerale e a correggere quella parietale in modo che non possa più essere lesiva del polmone. Può accadere che l'agente vulnerante (come un proiettile) rimanga nello spessore del polmone e allora un intervento chirurgico può allontanarlo nel modo più conveniente, che generalmente si ammette debba essere la estrazione sotto il controllo dei raggi X e con speciali strumenti. Nei casi di contusione polmonare con successiva formazione di focolai di necrosi, la chirurgia potrà essere utile per trattare direttamente tali complicazioni delle contusioni e gli eventuali fatti di suppurazione o di cancrena.
Lo stesso scopo ha il trattamento chirurgico nei casi di infiammazioni polmonari che abbiano dato luogo a formazione di focolai ascessuali o cancrenosi. Gli ascessi del polmone possono fare seguito a infiammazioni del tessuto polmonare ed essere cioè l'esito di polmoniti o di broncopolmoniti, oppure possono avere origine embolica per l'arrivo nel polmone attraverso la rete venosa di trombi settici provenienti da un focolaio purulento esistente in qualche altra parte dell'organismo. Possono anche aversi ascessi del polmone per propagazione diretta, per contiguità, da infezioni che abbiano colpito regioni vicine; più frequentemente per penetrazione di corpi estranei o per inalazione nelle vie aeree o attraverso perforazioni nelle vie aeree di processi suppurativi o neoplastici contigui. Il trattamento chirurgico deve tenere presente la causa dell'ascesso polmonare per poter agire eventualmente anche su essa (allontanamento di un corpo estraneo, trattamento di un focolaio suppurativo lontano); può dare buone speranze di guarigione quando si tratti di focolai suppurativi ben delimitati.
I metodi seguiti dai chirurghi nella cura degli ascessi polmonari sono varî e consistono principalmente nell'apertura della cavità ascessuale per drenare all'esterno il contenuto o nell'immissione nella cavità di sostanze medicamentose atte a far guarire il processo infiammatorio polmonare. Tali sostanze possono venire portate nella cavità ascessuale con una puntura attraverso la parete toracica e il tessuto polmonare sano, oppure facendovele giungere dalle vie aeree per mezzo di un tubo di gomma spinto nella trachea o con la puntura della trachea stessa. Nel caso della puntura attraverso la parete toracica e il polmone si va incontro al rischio della propagazione dell'infezione al polmone circostante e alla cavità pleurica; in ogni caso il trattamento locale dell'ascesso polmonare con sostanze medicamentose è reso incerto dal fatto che, attraverso le vie aeree, con la tosse, tali sostanze vengono espulse insieme con il contenuto purulento ascessuale. Perciò normalmente il trattamento chirurgico più utile resta quello dell'apertura della cavità. Questa si fa generalmente mediante una resezione costale praticata nel punto più vicino a quello dov'è stata localizzata la raccolta ascessuale. Se l'ascesso polmonare ha sede verso la periferia del polmone, la presenza di esso può avere provocato aderenze tra i foglietti pleurici e allora l'apertura, nella zona delle aderenze, può essere di facile esecuzione; se, invece, l'ascesso polmonare ha sede centrale può essere utile di eseguire l'intervento in due tempi, limitandosi nel primo tempo a fissare la superficie pleuro-polmonare vicina all'ascesso alla pleura parietale in modo che, quando poi viene aperta la raccolta, non accada che il pus si versi nel cavo pleurico aperto, dando luogo alla formazione di un piopneumotorace. L'incisione del tessuto polmonare per giungere alla cavità ascessuale può essere causa di emorragia e perciò va fatta con termocauterio o col coltello diatermico o anche procedendo nel tessuto polmonare fra suture emostatiche.
Quello che s'è detto per gli ascessi polmonari vale anche per la cancrena polmonare, tenendo presente che nei casi di cancrena, trattandosi di malattia più grave, l'intervento dev'essere anche più precoce.
Sono abbastanza frequenti in Italia le cisti parassitarie del polmone, da echinococco; anche per il trattamento chirurgico di queste valgono le stesse direttive e le stesse osservazioni fatte per la chirurgia degli ascessi polmonari. Nelle cisti d'echinococco, anche più che in qualunque altro intervento chirurgico polmonare, è necessario che l'atto chirurgico sia molto cauto e tenga presenti i pericoli gravi che possono verificarsi per lo svuotamento rapido nell'albero bronchiale del contenuto liquido delle cisti e dei fatti tossici generali gravi (anafilassi) che può dare l'immissione in circolo del liquido cistico. In tali casi perciò l'intervento chirurgico deve tenere presente in modo particolare le possibilità di questi rischi proprî della speciale malattia e cercare di evitarli.
Indicazioni chirurgiche possono offrire quelle lesioni broncopolmonari che sono state chiamate bronchiettasie, quando non sono bilaterali, perché in tal caso è fuori di luogo parlare d'intervento chirurgico. Quando si tratti di bronchiettasie unilaterali possono essere tentati, senza dare molte garanzie, varî processi chirurgici tendenti a obliterare le cavità bronchiali e peribronchiali che costituiscono la base della malattia. I processi chirurgici per tale indicazione vanno dalla pneumotomia semplice all'estirpazione di un lobo polmonare: è necessario però sapere che questo è il campo più difficile e ingrato di tutta la chirurgia polmonare. In questi casi dopo l'intervento si può considerare costante la presenza di una fistola bronchiale, che del resto è anche frequente negli altri casi ricordati; e cioè come esito degli ascessi, cancrene ed echinococchi del polmone. (Per il trattamento chirurgico delle fistole bronchiali, v. respiratorio, apparato). La possibilità e la probabilità della formazione d'una fistola bronchiale, e cioè d'un tramite che fa comunicare direttamente con l'esterno lo sbocco di uno o più rami bronchiali e quindi tutto il sistema bronco-polmonare, esponendo i malati a rischi di vario genere, costituisce uno dei principali motivi che giustificano i tentativi di cure mediche prima di procedere all'intervento chirurgico nei casi ricordati.
Considerazione a parte merita quel complesso di interventi di vario tipo che oggi si raggruppano sotto la qualifica di chirurgia della tubercolosi polmonare. Nella tubercolosi polmonare la cura chirurgica può essere radicale, cioè tendente, come nelle altre forme cosiddette di tubercolosi chirurgica, all'asportazione del focolaio malato, oppure coadiuvante, rientrando nel campo della collassoterapia, tendente a mettere il polmone nelle condizioni più favorevoli per la guarigione e cioè nell'immobilità più completa possibile.
Il tentativo chirurgico dell'asportazione di focolai polmonari tubercolari comprendenti anche interi lobi polmonari è stato fatto più volte, ma con risultati poco soddisfacenti dovuti principalmente ai rischi connessi con l'atto operativo, di gravità rilevante per sé e gravato di molte incertezze e riserve per gli esiti. La medicazione diretta delle lesioni polmonari tubercolari fu proposta fin dal sec. XVII da G. Baglivi, ma non ha avuto seguito per le complicazioni a cui può dare luogo. S'è sviluppato invece largamente e va sempre più sviluppandosi quel complesso di pratiche chirurgiche che si chiama collassoterapia o anche retrattiloterapia. Per arrivare allo scopo di mantenere nella massima immobilità il polmone è necessario afflosciarlo nel modo più completo possibile. Questo si può ottenere con mezzi chirurgici che vanno dal pneumotorace semplice alle vaste toracoplastiche che oggi spesso si praticano. Volendo ricordare tutte le varietà tecniche di tali mezzi chirurgici di lotta contro la tubercolosi bisogna cominciare dal pneumotorace, che si ottiene insufflando nel cavo pleurico aria o gas a pressione tale che comprima il parenchima polmonare fino a tenerlo in uno stato di relativa immobilità. Per ottenere il pneumotorace più completo può essere necessaria la sezione di aderenze esistenti tra i foglietti pleurici e questo si può fare o direttamente o con speciali strumenti con i quali è possibile agire nell'interno del torace senza aprirlo largamente. La compressione del polmone può essere ottenuta anche agendo al difuori del cavo pleurico (collassoterapia extrapleurica), e cioè distaccando dalla parete toracica il foglietto pleurico parietale e comprimendo il polmone dall'esterno di esso. Si può ottenere la compressione e l'immobilità polmonare, specialmente delle zone inferiori, provocando la paralisi del diaframma che costituisce la parete inferiore del cavo toracico. Questa si ottiene sezionando il nervo frenico, da un solo lato o anche dai due lati, o meglio estirpandone un tratto (frenico-exeresi) per evitare che attraverso rami collaterali possa sussistere o ripristinarsi l'innervazione e quindi la funzione diaframmatica.
Interventi assai più complessi e gravi sono le toracoplastiche. Per mezzo di tali interventi si ottiene lo scopo di comprimere il polmone eliminando la normale rigidità della cassa toracica per mezzo della sezione o della resezione di più costole e anche di tutte le costole. In tale modo tutta la parete toracica, non più rigida, viene spinta addosso al polmone per ottenerne l'immobilizzazione. È necessario dire che tali interventi sono di gravità notevole, producono deformazioni permanenti assai rilevanti e quindi devono esserne ben vagliate le indicazioni.
I metodi sopra elencati possono in pratica venire associati variamente fra loro ogni volta che l'uno o l'altro di essi presenti indicazioni più nette per ottenere la compressione del polmone nelle varie zone: così può essere associata toracoplastica e frenico -exeresi, pneumotorace e toracoplastica parziale, pneumo-torace e frenico-exeresi. È opportuno ricordare che tutti questi atti chirurgici mirano allo scopo di creare al polmone malato condizioni che facilitino la sua guarigione: hanno cioè il valore che può avere un apparecchio gessato immobilizzante nelle cure di una artrosinovite tubercolare; quindi in realtà debbono essere considerati soltanto come un elemento coadiuvante della cura della tubercolosi polmonare: purtroppo non è sempre vero che nei casi di tubercolosi il riposo e la immobilizzazione d'un organo significhi sicurezza di guarigione e perciò non bisogna considerare la cosiddetta chirurgia della tubercolosi polmonare dello stesso valore risolutivo che si attribuisce agli atti chirurgici in genere.
Come un vero trionfo della chirurgia moderna deve essere invece considerato nel campo della chirurgia polmonare l'intervento proposto e più volte eseguito con successo nei casi di embolia dell'arteria polmonare (F. Frendelenburg). Questo intervento è stato considerato per lungo tempo come un atto di audacia e di bravura privo di valore pratico, ma, quando il numero dei successi è andato aumentando, si è dovuto ammettere da tutti che si tratta in realtà d'una preziosa conquista della chirurgia moderna, atta a salvare casi veramente disperati. L'embolia dell'arteria polmonare è uno di quegli eventi fatali che purtroppo dà un quoziente d'incertezza a qualunque intervento chirurgico. L'atto chirurgico capace di estrarre dall'arteria polmonare i trombi che l'hanno chiusa, restituendo al malato la vita, è di quelli che certamente richiedono, per il successo, tutta una serie di casuali combinazioni favorevoli, ma è anche di quelli che dimostrano bene a quali limiti lontani sono giunte le possibilità della chirurgia moderna.
Possono offrire indicazioni chirurgiche i tumori del polmone. Nella grande maggioranza dei casi i tumori del polmone sono secondarî, riproduzioni di tumori esistenti in altre parti dell'organismo: naturalmente in tali casi la chirurgia non può portare nessun aiuto efficace. Può essere invece utile in casi di tumori del polmone primitivi, ma anche in tali casi ben raramente possono verificarsi le condizioni che permettano di accertare la diagnosi e dare l'indicazione quando ancora l'asportazione chirurgica possa essere tecnicamente praticabile con criterî di utilità. Si può dire perciò che la chirurgia dei tumori del polmone ha tuttora un valore pratico molto limitato.