Politiche attive e servizi per l’impiego
Mediante l’esame della l. 28.6.2012, n. 92 e del processo di riordino delle province sono tratteggiate le linee fondamentali del nuovo sistema di servizi per l’impiego e di politica attiva del lavoro. Particolare attenzione è dedicata al principale aspetto di innovazione: l’intreccio tra sostegni al reddito (in caso di disoccupazione o sospensione dal lavoro per ragioni economiche) e servizi. Il rilievo che tale intreccio assume nell’economia della riforma porta l’autore a verificare quale assetto istituzionale ed organizzativo possa assicurare il rispetto del principio di adeguatezza di cui all’art. 118 Cost.
Il percorso di costruzione del sistema italiano di servizi per l’impiego e di politica attiva del lavoro sembra giunto ad una terza fondamentale tappa del suo cammino (dopo le riforme avviate con la l. 24.6.1997, n. 196 e il d.lgs. 23.12.1997, n. 469, e la successiva revisione della disciplina da parte del d.lgs. 10.9.2003, n. 276).
Nel corso del 2012 sono stati approvati provvedimenti che prefigurano mutamenti di grande rilievo in due direzioni:
a) in primo luogo vanno segnalate le innovazioni di cui è portatrice la l. 28.6.2012, n. 92. Essa persegue il potenziamento dei servizi e delle politiche attive da offrire ai disoccupati ed a coloro che beneficiano di sostegni al reddito e pone in essere regole più stringenti volte a condizionare l’erogazione dei sussidi a comportamenti attivi e cooperativi da parte dei lavoratori; in particolare va sottolineato che la seconda parte del provvedimento si regge sull’intreccio tra politiche attive e politiche passive: la riforma degli ammortizzatori sociali è immaginata come un tutt’uno con il nuovo sistema di servizi per l’impiego.
b) un secondo fronte di innovazione è rinvenibile nel processo di riordino delle province che mette in discussione l’assetto istituzionale ed organizzativo su cui, a partire dal d.lgs. n. 469/1997, si è fondato il sistema.
L’effetto congiunto di queste due riforme dovrebbe portare ad un nuovo sistema italiano di servizi per l’impiego e di politica attiva del lavoro, significativamente diverso da quello che il Paese ha conosciuto fino ad ora e modellato avendo a rifermento standard europei. L’ambizioso progetto è volto a migliorare la qualità e ad aumentare la quantità dei servizi resi disponibili ai lavoratori, a coinvolgere obbligatoriamente i percettori di sussidi in processi di rafforzamento delle competenze e di ricollocazione ed infine a modificare l’impianto strutturale del sistema (qualunque sia l’esito del processo di riordino delle province, il nuovo assetto istituzionale ed organizzativo del sistema sarà diverso da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi quindici anni).
La l. n. 92/2012, che affianca alla nuova disciplina degli ammortizzatori sociali e delle forme di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro norme volte a dare effettività alle reiterate promesse riguardanti i servizi per l’impiego, vuole sostenere i lavoratori in difficoltà occupazionale anche con interventi che possano aiutarli nella crescita professionale e nella ricerca di un nuovo posto di lavoro (ad es. mediante servizi di orientamento e per facilitare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro oppure attività di formazione professionale o, ancora, promozione di stages e tirocini o, infine, servizi di outplacement).
Più precisamente, nella legge l’offerta di servizi è orientata in una duplice direzione: per un verso è concepita a sostegno del lavoratore, per aiutare il disoccupato che cerca attivamente un nuovo lavoro a raggiungere il suo obiettivo; per altro verso è intesa quale strumento di controllo del comportamento attivo e cooperativo del disoccupato nell’attuazione dei processi posti in atto dalla pubblica amministrazione per favorire il suo rientro al lavoro. Non a caso il nuovo sussidio ai disoccupati non si chiama più «indennità di disoccupazione» ma «Assicurazione sociale per l’impiego» (Aspi): ciò chiarisce bene che la prestazione è primariamente finalizzata a sostenere il reddito del disoccupato durante la fase di ricerca attiva del lavoro e non indennizza la mera perdita del posto di lavoro. L’intreccio tra politica passiva (il sussidio) e politica attiva (i servizi) è, dunque, un tratto fondamentale della riforma. L’ambizioso disegno è perseguito, in primo luogo, apportando modifiche al d.lgs. 28.2.2000, n. 181 (v. art. 4, co. 33, l. n. 92/2012) allo scopo di ridefinire i «livelli essenziali delle prestazioni … che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (LEP) di cui all’art. 117, co. 2, lett. m), Cost., relativi ai servizi per l’impiego1. Le misure di prevenzione della disoccupazione di lunga durata a suo tempo definite dal decreto sopra citato sono integrate da nuovi e più stringenti impegni nei confronti dei percettori di sussidi di disoccupazione o di integrazioni salariali (o altre prestazioni assimilabili). Ne emerge un quadro articolato. I LEP sono suddivisi in tre aree ad intensificazione progressiva: quella per i disoccupati; quella per i disoccupati che percepiscono sostegni al reddito e quella dei lavoratori sospesi dal lavoro e beneficiari di integrazioni salariali. Vanno lette in stretta connessione con le disposizioni sui livelli essenziali le nuove regole relative alla c.d. “condizionalità” (co. 40-47), intesa come quell’insieme di norme volto a subordinare l’erogazione di qualunque sussidio (sia in favore dei disoccupati che dei lavoratori sospesi) alla verifica di comportamenti attivi e cooperativi del lavoratore nell’attuazione del percorso definito (mediante il patto di servizio) al fine di rafforzare la sua “occupabilità” e/o di promuovere il suo reinserimento al lavoro. L’esito complessivo di questo duplice intervento (ridefinizione dei LEP e più puntuali regole di condizionalità) configura un “codice” volto a regolare organicamente il rapporto tra il disoccupato e la pubblica amministrazione, con la definizione puntuale degli impegni reciprocamente assunti. Per favorire la circolazione delle informazioni tra le istituzioni coinvolte nella erogazione dei sussidi e dei servizi, per l’esercizio di fondamentali attività di monitoraggio e per consentire la verifica dell’erogazione dei servizi in misura non inferiore ai livelli essenziali, la legge (v. art. 4, co. 35-39) prevede l’attivazione di procedure e strumenti di tipo informatico (ad es. la costruzione di una banca dati telematica): entro il 30.6.2013 l’Inps deve mettere a disposizione dei servizi competenti una banca dati telematica in cui confluiranno i dati individuali dei beneficiari di ammortizzatori sociali mentre i servizi competenti di cui all’art. 1, co. 2, lett. g), d.lgs. n. 181/2000 devono inserire nella stessa banca dati i riferimenti essenziali concernenti «le azioni di politica attiva e di attivazione svolte nei confronti dei beneficiari di ammortizzatori sociali». Inoltre le regioni e le province sono tenute a mettere a disposizione dell’Inps «le informazioni di propria competenza necessarie per il riconoscimento di incentivi all’assunzione, ivi comprese le informazioni relative all’iscrizione nelle liste di mobilità» (v. art. 4, co. 39). Viene inoltre riattivata (e prorogata per l’ennesima volta) la delega al Governo per il riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego, politiche attive del lavoro ed incentivi all’occupazione (v. art. 4, co. 48-50), originariamente prevista dall’art. 1, co. 30, l. 24.12.2007, n. 2472. La delega può essere esercitata entro sei mesi dalla entrata in vigore della legge mediante intesa in sede di Conferenza permanente tra Stato, regioni e province autonome. Il legislatore delegato è chiamato a completare il disegno di riforma attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi: valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e agenzie private; attivazione del soggetto che cerca lavoro; promozione del patto di servizio; revisione e semplificazione delle procedure amministrative; programmazione ed attivazione di misure per l’invecchiamento attivo; qualificazione professionale dei giovani che entrano nel mercato del lavoro e riqualificazione degli espulsi; collocamento di soggetti di difficile inserimento al lavoro. Infine, la legge tende ad innescare una competizione virtuosa tra le regioni nell’attuazione della riforma. È previsto che, mediante accordo in sede di Conferenza unificata ed in coerenza con i documenti di programmazione degli interventi cofinanziati con Fondi strutturali europei, venga definito un sistema di premialità per la ripartizione delle risorse del Fondo sociale europeo, legato alle prestazioni di servizi per l’impiego e politiche attive del lavoro (v. art. 4, co. 34).
2.1 Riordino delle province e nuovo assetto istituzionale ed organizzativo
Le modifiche al quadro normativo derivanti dall’attuazione della delega, pur utili, non sembrano sufficienti a dare efficacia ed efficienza al sistema se non sono sorrette anche da interventi sull’assetto istituzionale-organizzativo del sistema stesso. Particolarmente rilevante è il processo in atto riguardante la nuova configurazione delle province, in quanto l’istituzione provinciale è stata indubbiamente protagonista dell’esperienza di costruzione del sistema italiano di servizi per l’impiego e di politica del lavoro. È evidente che le modifiche al ruolo ed alle funzioni delle province sono destinate ad incidere significativamente sull’attuale sistema. In proposito è noto che il legislatore ha avviato un percorso non privo di incertezze e ripensamenti. Accantonato l’ambizioso progetto di riforma costituzionale volto alla «Soppressione degli enti intermedi»3, ha ripiegato, in prima battuta, sul ridimensionato delle funzioni spettanti alle province. L’art. 23, co. 14, l. 22.12.2011, n. 214 ha circoscritto infatti l’attività delle province esclusivamente all’esercizio di «funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività dei comuni nelle materie e nei limiti indicati in legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze». Il co. 18 del medesimo articolo ha previsto, inoltre, che lo Stato e le regioni, con propria legge, debbano provvedere, entro il 31.12.2012, a trasferire ai comuni «le funzioni conferite dalla normativa vigente alle province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle regioni». In questo quadro, al fine di scongiurare l’alternativa drastica tra affidamento alla regione oppure ai comuni, è consentito ai comuni di istituire Unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi (v. il co. 21). A completamento del disegno perseguito sul piano delle funzioni, i co. 15, 16 e 17 della norma citata, modificano gli organi delle province, onde armonizzare il quadro organizzativo con le nuove (ridotte) funzioni. Più precisamente, trasformano la provincia in un ente di secondo livello, il cui Consiglio, composto da non più di dieci componenti, è eletto non dai cittadini ma dagli organi elettivi dei comuni che ricadono nel territorio provinciale; il Presidente è eletto dal Consiglio e non può essere affiancato da una Giunta. La normativa ora descritta è stata impugnata davanti alla Corte costituzionale da molte regioni, in quanto ritenuta «lesiva delle competenze degli enti locali previsti direttamente dalla Costituzione e, di conseguenza ma anche direttamente, lesiva delle attribuzioni legislative regionali, delle stesse prerogative regionali costituzionalmente garantite, e in generale, dell’autonomia regionale»4. In particolare i ricorrenti pongono in luce come il legislatore ordinario persegua obiettivi che solo una riforma della Costituzione potrebbe legittimare. A Costituzione invariata, invece, la limitazione delle funzioni delle province a meri compiti di «indirizzo e coordinamento» e la recisione del legame di rappresentanza diretta dei cittadini, violerebbe punti fondamentali della disciplina costituzionale riguardante gli enti locali; ciascuno ente locale, in quanto ente costitutivo della Repubblica (art. 114 Cost., co. 1 e 2), «ha funzioni proprie di autonomo soddisfacimento degli interessi pubblici della comunità rappresentata» e deve essere «direttamente rappresentativo della propria comunità popolare di riferimento»5. In attesa della pronuncia della Corte, la “pressione” delle regioni non è rimasta comunque senza esito. Il legislatore statale è recentemente ritornato sull’argomento, mutando significativamente indirizzo, in occasione del provvedimento noto come “Spending review” (v. in proposito gli artt. 17 e 18 del d.l. 6.7.2012, n. 95, convertito in l. 7.8.2012, n. 135). In sede di conversione del decreto legge, il Parlamento ha riqualificato la riforma delle province indicando quale obiettivo il loro “riordino”, da effettuarsi sulla base di requisiti minimi. L’esito più tangibile di questo processo sarà la “riconferma” o la “nascita” di province di medio-grandi dimensioni6 e l’istituzione delle città metropolitane. Lo scostamento dell’art. 17 della l. n. 135/2012 dall’art. 23 della l. n. 214/2011, è rinvenibile, in particolare, laddove il citato art. 17 modifica sostanzialmente l’approccio al tema dell’assegnazione delle funzioni. Alle nuove province, intese quali enti con funzioni di area vasta, sono affidati, non solo compiti di «indirizzo e coordinamento delle attività dei comuni» (come previsto dalla sopra citata l. n. 214/2011) ma anche alcune funzioni amministrative. In parte tali funzioni sono già individuate dallo Stato (v. art. 17, co. 10) ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. p, Cost.)7; in parte saranno identificate dalle regioni con riferimento alle materie di loro competenza esclusiva (residuale) od alle materie a competenza concorrente8. Il co. 6 dell’art. 17, infatti, supera la previsione del co. 18 dell’art. 23 della citata l. n. 214/2011 (che, come detto, imponeva il trasferimento ai comuni, entro il 31.12.2012, delle «funzioni conferite dalla normativa vigente alle province») e si limita a disporre, invece, il trasferimento ai comuni solo «delle funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato fino alla data di entrata in vigore del presente decreto e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione». Orbene, nelle materie che non rientrano nella competenza esclusiva dello Stato, l’allocazione delle funzioni ai diversi livelli istituzionali sarà effettuata dalla regioni (art. 17, co. 11). Riportando queste considerazioni ai temi oggetto del presente contributo, possiamo affermare che anche le funzioni amministrative in materia di collocamento, servizi per l’impiego e politiche attive, a suo tempo affidate alle province dal d.lgs. n. 469/1997 e pacificamente riconducibili ad una materia a competenza concorrente (cioè la materia «tutela e sicurezza del lavoro»), rientrano nell’alveo delle funzioni che dovranno essere riallocate da parte delle regioni, attenendosi ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, di cui all’art. 118 Cost9. Molte, in astratto, le opzioni possibili: le citate funzioni potrebbero essere affidate dalle regioni ai comuni oppure alle Unioni di comuni o ad organi di raccordo dei comuni (operanti in «ambiti ottimali» definiti dalla regioni ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 267/2000), o, ancora, alle “nuove” province o, infine, potrebbero essere accentrate in capo alla stessa regione. Si riapre, dunque, la questione riguardante l’allocazione delle funzioni amministrative nella materia in esame e ciò offre l’opportunità per ridisegnare l’assetto istituzionale ed organizzativo del sistema.
Affinché l’esito dei due processi di riforma descritti nelle pagine precedenti risulti apprezzabile per efficacia ed efficienza, è necessario che essi siano messi in atto avendo attenzione alla loro confluenza ed integrazione all’interno di un disegno organico.
Più precisamente è necessario che il nuovo assetto istituzionale ed organizzativo del sistema di servizi per l’impiego e di politica attiva sia idoneo a supportare l’intreccio tra politiche attive e politiche passive che, come si è detto, è il tratto distintivo della l. n. 92/2012. La sostanziale autonomia con cui, fino ad ora, hanno proceduto i due filoni della riforma, non tranquillizza in proposito. Occorre essere consapevoli che non vi è un’automatica corrispondenza sinergica tra le due riforme. La l. n. 92/2012 richiede sistemi regionali di servizi per l’impiego e di politica attiva del lavoro più coesi rispetto al passato, in quanto garanti, nei confronti dello Stato, del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni, degli standard di qualità dei servizi resi, dell’effettivo intreccio delle politiche attive con i sussidi ed, infine, del rispetto dei principi di “condizionalità”. Se questo è l’obiettivo perseguito, allora va detto che non tutte le possibili opzioni riguardanti l’allocazione da parte delle regioni delle funzioni amministrative in materia appaiono rispondenti a questo disegno e, quindi, rispondenti al principio di «adeguatezza» richiesto dall’art. 118, Cost.
1 Sui LEP in materia di servizi per l’impiego v. Ales, E., Diritto all’accesso al lavoro e servizi per l’impiego nel nuovo quadro costituzionale: la rilevanza del “livello essenziale della prestazione”, in Diritti, lavori, mercati, 2003, 9; Varesi, P.A., Riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego, in Magnani, M.-Pandolfo, A.-Varesi, P.A., a cura di, Previdenza, mercato del lavoro, competitività, Torino, 2008, 248-252.
2 I termini di scadenza della delega erano stati già prorogati dall’art. 46, co. 1, lett. b), l. 4.11.2010, n. 183. Permanendo lo stato di mancata attuazione della norma, la l. n. 92/2012 ripropone, con alcune modifiche, la delega indicata.
3 Cfr. d.d.l. costituzionale «Soppressione degli enti intermedi», approvato dal Consiglio dei ministri in data 8.9.2011.
4 Così il ricorso alla Corte costituzionale della Regione Piemonte n. 18/2012. La questione di legittimità costituzionale della norma in esame è stata sollevata da molte regioni: dalla Regione Lombardia (ricorso n. 24/2012), dalla Regione Veneto (ricorso n. 29/2012), dalla Regione Molise (ricorso n. 32/2012), dalla Regione Lazio (ricorso n. 44/2012), dalla Regione Campania (ricorso n. 46/2012), dalla Regione Sardegna (ricorso n. 47/2012), dalla Regione Friuli Venezia Giulia (ricorso n. 50/2012).
5 Cfr. ricorso Regione Friuli Venezia Giulia, cit.
6 Il Consiglio dei ministri in data 20.7.2012 ha definito, ai sensi dell’art. 17, co. 2, d.l. 6 .7.2012, n. 95, i criteri per il riordino delle province, stabilendo che i nuovi enti debbano avere almeno 350.000 abitanti ed una superficie territoriale non inferiore a 2500 chilometri quadrati. A questi criteri, la legge di conv. del d.l. (n. 135/2012) ha aggiunto anche il criterio della continuità territoriale.
7 Lo Stato, esercitando la propria potestà legislativa esclusiva in materia di individuazione delle «funzioni fondamentali» delle province (art. 117, co. 2, lett. p, Cost.) ha individuato le seguenti funzioni: a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente per gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale nonché costruzione, classificazione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; c) programmazione provinciale della rete scolastica e gestione dell’edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie di secondo grado.
8 Il legislatore si limita a disporre il trasferimento ai comuni «delle funzioni amministrative conferite alle Province con legge dello Stato fino alla data di entrata in vigore del presente decreto e rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione» (v. art. 17, co. 6, d.l. 6.7.2012, n. 95).
9 Per l’affermazione di questo principio, dopo la riforma del titolo V della Cost., v. C. cost., 28.1.2005, n. 50.