Politica
Opera di Aristotele, in otto libri, comprendente la parte della filosofia pratica che tratta dello stato (polis). Nel Corpus aristotelicum occupa la posizione intermedia fra le Etiche e gli Economici, che trattano rispettivamente le altre due parti della filosofia pratica, cioè i problemi concernenti il comportamento dell'individuo e quelli concernenti l'amministrazione della casa.
Nel Medioevo latino la P. fu conosciuta, in confronto alle altre opere di Aristotele, assai tardi, cioè non prima del sec. XIII. Di essa furono fatte soltanto due traduzioni latine, entrambe dal greco. La prima è la cosiddetta translatio vetus, comprendente il libro I e parte del II (fino a 11, 1273a 30), di autore anonimo, risalente probabilmente al periodo tra il 1260 e il 1274. Il suo recente editore, P. Michaud-Quantin, ritiene che essa rappresenti un primo tentativo, ancora imperfetto, compiuto da Guglielmo di Moerbeke, di tradurre l'opera. La seconda, nota come translatio nova, è sicuramente opera di Guglielmo ed è costituita, per la parte comune a entrambe, da una revisione della vetus. Fu questa seconda versione che diffuse nel tardo Medioevo la conoscenza dell'opera aristotelica. La P. fu commentata per la prima volta da s. Tommaso (il cui commento però fu portato a termine da Pietro d'Alvernia), poi da Alberto Magno, da Sigieri di Brabante, Guido Vernani e altri.
La conoscenza diretta della P. da parte di D. è stata messa in dubbio dal Gilbert, secondo il quale il poeta avrebbe conosciuto l'opera solo attraverso i commenti di s. Tommaso all'Etica e alla Metafisica e attraverso il De Regimine principum di Egidio Colonna. Indubbiamente la mediazione tomistica è innegabile in citazioni come Cv IV IV 5 quando più cose ad uno fine sono ordinate, una di quelle conviene essere regolante, o vero reggente, e tutte l'altre rette e regolate, e Mn I V 3 quando aliqua plura ordinantur ad unum, oportet unum eorum regulare seu regere, alia vero regulari seu regi, che trovano un riscontro letterale non tanto in Pol. I 5,1254a 28-31 (" Quandocumque enim ex pluribus constituta sunt, et fiunt unum aliquod commune, sive ex coniunctis, sive ex divisis, in omnibus videtur principans et subiectum ", a cui pure è lecito rinviare), quanto piuttosto in s. Tommaso (Expos. in Metaph. proem.): " Sicut docet Philosophus in Politicis suis, quando aliqua plura ordinantur ad unum; oportet unum eorum esse regulans, sive regens, et alia regulata, sive recta "; oppure Mn I XII 10 in politia obliqua bonus homo est malus civis, in recta vero bonus homo et civis bonus convertuntur, che rinvia a Pol. III 4, forse 1276b 31-35 (" civem existentem studiosum non possidere virtutem secundum quam est studiosus vir "), ma sostiene una tesi diversa da quella di Aristotele, il quale poco dopo afferma che nella città ottima tutti sono buoni cittadini, ma è impossibile che siano tutti buoni come uomini (cfr. 1277a 1-5), e deriva sicuramente da s. Tommaso Expos. in Eth. V lect. III, 296 " Sunt enim quaedam politiae, non rectae, secundum quas aliquis potest esse civis bonus, qui non est vir bonus; sed secundum optimam politiam non est civis bonus, qui non est vir bonus " (il fraintendimento del testo aristotelico sopra riferito si riscontra anche nel commento di s. Tommaso ad esso: cfr. Expos. in Pol. III lect. III, nn. 366-367).
Così è verosimile la mediazione di Egidio Colonna in Cv IV IV 1 E però dice lo Filosofo che l'uomo naturalmente è compagnevole animale, che deriva - come XXVII 3 l'uomo è animale civile - da Pol. I 2, 1253a 2-3 (" homo natura civile animal est ") o III 6, 1278b 19 (" natura quidem est homo animal civile "), divenuti ormai luogo comune. Ma l'aggettivo compagnevole, altrimenti assente in D., rivela la lettura della versione in volgare del De Regimine principum di Egidio (cfr. Egidio Romano Del reggimento dei Principi, volgarizzamento del 1288, Firenze 1858, 127: " L'uomo die vivare in compagnia naturalmente ed essere compagnevole per natura "), che D. cita in Cv IV XXIV 9.
Tuttavia la conoscenza diretta della P. da parte di D. sembra essere attestata da varie altre citazioni. Alcune di queste sono, è vero, alquanto libere, come Mn I III 10 intellectu, scilicet, vigentes aliis naturaliter principari, che deriva piuttosto genericamente da Pol. I 2, 1252a 31-32 " Quod quidem enim potest mente praevidere, principans natura et dominans natura " (ma la sua somiglianza con un passo del commento tomistico alla medesima opera [Expos, in Pol. I lect. I n. 19 " ille est naturaliter principans et dominans qui suo intellectu potest praevidere "] potrebbe implicare la conoscenza di tale commento e quindi dell'opera aristotelica, il cui testo andava congiunto con quello). Caso analogo è quello di Mn II VII 2 cum homo sit pars quaedam civitatis, che sintetizza Pol. I 2, 1253a 18-19; o infine Mn II VI 7 quidam non solum singulares homines, quinetiam populi, apti nati sunt ad principari, quidam alii ad subici atque ministrare... et talibus, ut ipse dicit, non solum regi est expediens, sed etiam iustum, che sviluppa Pol. I 2, 1252a 30-b 9, e I 5, 1255a 1-3 (cfr. specialmente " quibus et expedit servire, et iustum est ").
Altre citazioni, invece, ripetono pressoché alla lettera la traduzione di Guglielmo di Moerbeke, come Mn I V 5 " Omnis domus regitur a senissimo "; et huius, ut ait Homerus, est regulare omnes et leges imponere aliis (cfr. Pol. I 2, 1252b 20-21 " Omnis enim domus regitur a senissimo ", e 22-23 " Et hoc est, quod dicit Homerus, leges statuit unusquisque pueris et uxoribus "); Mn I XII 11 non politia ad leges, quinymo leges ad politiam ponuntur (cfr. Pol. IV 1, 1289a 13-15 " Ad politias enim leges oportet poni, et ponuntur omnes: sed non politias ad leges "); Mn II III 4 Est enim nobilitas virtus et divitiae antiquae (cfr. Pol. IV 8, 1294 a 21-22 " ingenuitas enim est virtus et divitiae antiquae ", e s. Tommaso [= Pietro d'Alvernia] Expos. in Pol. IV lect. VII n. 612, nonché Alberto In Pol. IV 7, che rendono " ingenuitas " con " nobilitas ").
In aggiunta a questi, che possono essere considerati, tutto sommato, dei luoghi comuni, non sufficienti pertanto a provare la lettura diretta della P. da parte di D., si possono citare passi più complessi che per la terminologia o per la concatenazione dei concetti riprendono molto da vicino l'opera aristotelica. Si vedano, ad esempio, Mn I III 2 alius ad quem ordinat domesticam comunitatem, alius ad quem viciniam, et alius ad quem civitatem, e Cv IV IV 2 E sì come un uomo a sua sufficienza richiede compagnia dimestica di famiglia, così una casa a sua sufficienza richiede una vicinanza... E però che una vicinanza [a] sé non può in tutto satisfare, conviene a satisfacimento di quella essere la cittade, che derivano da Pol. I 2, 1252b 13-1253a 1 " Ex his... communitatibus domus prima... Ex pluribus autem domibus, communicatio prima... vicus. Maxime autem videtur secundum naturam vicus vicinia domus esse... Quare autem ex pluribus vicis communitas perfecta civitas... habens terminum per se sufficientiae ", riprendendo alla lettera il termine " vicinia ". Altrettanto dicasi di Mn I V 5-7 Si consideremus unam domum... Si consideremus vicum unum... Si vero unam civitatem, cuius finis est bene suficienterque vivere, che deriva dal passo sopra citato, riprendendo la precisazione contenuta in 1252b 29-30 " Facta quidem igitur vivendi gratia, existens [civitas] autem gratia bene vivendi " e spiegata da s. Tommaso Expos. in Pol. I lect. I n. 31 " gratia vivendi ... scilicet... sufficienter ". Analogo è il caso di Mn I XII 9, dove si classificano le costituzioni (politiae) rette, cioè reges, aristocratici e populi libertatis zelatores, e quelle obliquae, cioè democratiae, oligarchiae e tyrannides, riprendendo, anche nella terminologia, Pol. III 7, 1279a 32-39, e 1279b 4-10, e usando un verbo di chiara derivazione greca, cioè politizant, che corrisponde al greco πολιτεύεσθαι, sovente tradotto da Guglielmo di Moerbeke con " politizare " (Nardi). Anche il termine politia, nel senso di costituzione, è la traslitterazione del greco πολιτεία, dovuta a Gugliemo (cfr. L. Minio-Paluello). Si vedano poi Pd VIII 113-120, dove all'affermazione che la natura non fa nulla di superfluo seguono quelle della naturale politicità dell'uomo e della necessità di distinguere gli offici, corredate dalla citazione di Aristotele (se 'l maestro vostro ben vi scrive), tutti concetti contenuti in Pol. I 2 (cfr. 1253a 9 " Nihil... frustra natura facit "; 1253a 3 " homo natura civile animal est "; 1252b 1-5 " sic enim utique perficiat optime organorum ununquodque, non multis operibus, sed uni serviens ", e s. Tommaso Expos. in Pol. I lect. I n. 21 " Natura autem sic non facit ut unum ordinet ad diversa officia, sed unum deputat ad unum officium "); VE I II 1-2, dove il possesso del linguaggio da parte dell'uomo è messo in relazione al concetto che la natura non fa nulla invano, esattamente come in Pol. I 2, 1253a 9-10 " Nihil... frustra natura facit: sermonem autem solus habet homo super animalia "; Cv IV IV 5, dove l'esempio dei vari offici nella nave e dell'unico fine, consistente nel giungere al desiderato porto per salutevole via, è ripreso da Pol. III 4, 1276b 21-27 " Nautarum autem quamvis dissimilium existentium potentia... communis quaedam [ratio] congruit omnis. Salus enim navigationis opus est ipsorum omnium: hoc enim desiderat unusquisque nautarum ".
Sembra dunque di poter concludere che D. lesse direttamente la P. e nell'unica traduzione praticamente accessibile, cioè quella di Guglielmo di Moerbeke; è abbastanza probabile inoltre che egli abbia visto anche il commento tomistico. In ogni caso il nucleo fondamentale del suo pensiero politico, sul quale s'inseriscono i noti sviluppi originali, è di derivazione aristotelica.
Bibl. - F. Susemihl, Aristotelis Politicorum libri octo cum vetusta translatione Guilelmi de Moerbeka, Lipsia 1872; G. Von Hertling, Zur Geschichte der aristotelischen Politik im Mittelalter, in " Rheinisches Museum für Philologie " XXXIX (1884) 446-457; W.L. Newman, The Politics of Aristotle, II, Oxford 1887, pp. XLI-LXVII; III, ibid., pp. VII-XXV; G. Lacombe, Aristoteles Latinus, Codices, I, Roma 1939, 74-75; II, Cambridge 1955, 786; Supplementa altera, Bruges-Parigi 1961, 21. Sui commenti medievali: M. Grabmann, Die Mittelalterlichen Kommentare zur Politik des Aristoteles, in Sitzungsberichte der Bayerische Akademie der Wissenschaften II 10 (1941); C. Martin, Some medieval commentaries on Aristotle's Politics, in " History " XXXVI (1951) 29-44; ID., The Vulgate Texte of Aquinas's Commentary on Aristotel's Politics, in " Dominican Studies " V (1952) 35-64; P. Czartoryski, Gloses et commentaires inconnus sur la Politique d'Aristote d'après les manuscrits de la Bibliothèque Jagellonne de Cracovie, in " Mediaevalia Philosophica Polonorum " V (1960) 3-44; P. Michaud-Quantin, Aristoteles Latinus, XXIX 1, Politica. Translatio Prior imperfecta, Bruges-Parigi 1961 F. Su D. e la P.: E. Moore, Studies in D., I, Oxford 1896, 99, 101; A. Gilbert, Had D. read the Politics of Aristotle?, in " PMLA. " XLIII (1928) 603-613; B. Nardi, Nel mondo di D., Roma 1944, 104-106; L. Minio-Paluello, Tre note alla ‛ Monarchia ', in Medioevo e Rinascimento, Firenze 1955, II 503-524 (specialmente pp. 511-522).