politica fiscale
Intervento, di natura discrezionale o realizzato sulla base di principi stabiliti, di regolazione (aumento o riduzione) da parte dell’operatore pubblico delle imposte e della spesa pubblica per beni, servizi e trasferimenti (➔ anche politica di bilancio), al fine di modificare le condizioni congiunturali o strutturali del sistema economico nazionale, in vista di obiettivi di breve e medio periodo (obiettivo della stabilità; ➔ anche politica di stabilizzazione) o di lungo periodo, obiettivo dello sviluppo economico. (➔ sviluppo p)
L’obiettivo della stabilità, con cui si mira a contenere gli squilibri congiunturali tra domanda e offerta, si manifesta sulla domanda aggregata (➔) attraverso la riduzione della disoccupazione dei fattori di produzione, e in particolar modo del lavoro, fino al limite minimo possibile (obiettivo di pieno impiego); mediante il contenimento dell’aumento generalizzato del livello dei prezzi (obiettivo della stabilità dei prezzi; ➔ anche stabilità monetaria) e della volatilità nei mercati finanziari (➔ stabilità finanziaria); favorendo le esportazioni e riducendo le importazioni (obiettivo dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti). Secondo l’idea originariamente sviluppata da J.M. Keynes (➔), posto che l’economia si trovi in condizioni di sottoimpiego e non vi siano strozzature dal lato dell’offerta, una manovra espansiva della spesa pubblica, finanziata con il prestito che raccoglie risparmio inoperoso (deficit spending), dato il livello delle imposte, tramite il meccanismo del moltiplicatore (➔), genera un aumento del reddito nazionale e un surplus nella bilancia dei pagamenti. Nel modello IS-LM (➔) questo coincide con uno spostamento della curva IS verso destra. La stessa manovra è attuabile con una riduzione delle imposte, mantenendo inalterata la spesa pubblica. In quest’ultimo caso se si riduce l’imposta personale sul reddito, provocando un incremento nel reddito disponibile e si accrescono i consumi, oppure se si diminuisce l’IVA, si abbattono i prezzi, aumentando il potere di acquisto delle famiglie. Contraendo la spesa o appesantendo le imposte si realizza invece una manovra fiscale restrittiva che, al contrario, punta a contenere i consumi e, quindi, l’inflazione.
L’obiettivo dello sviluppo economico (➔ anche politiche per lo sviluppo), con cui si mira a intervenire strutturalmente nel sistema economico di lungo termine, richiede lo stimolo degli investimenti privati e pubblici e la formazione del risparmio. Secondo la relazione I=S+(T−E), che lega gli investimenti I al risparmio privato S e all’avanzo di bilancio o risparmio pubblico (T−E), in cui T indica le entrate ed E le uscite, l’incremento degli investimenti può essere realizzato aumentando, per es., l’avanzo pubblico. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il settore pubblico adotta una manovra per contrarre un disavanzo di bilancio già esistente, attraverso il minor ricorso all’indebitamento e l’innalzamento del prelievo fiscale: si può solo cercare in questo stato di cose di utilizzare imposte che non ostacolino la crescita. L’alternativa a tale manovra consiste nell’incremento del risparmio privato, attraverso agevolazioni tributarie, diminuzione delle imposte, esenzione temporanea del profitto dalla tassazione.
Nell’ambito del dibattito sul ruolo della p. f., stimolato dai monetaristi e dagli esponenti della macroeconomia neoclassica, si è sostenuto di dover superare il punto di vista keynesiano che, a sua volta, aveva contraddetto il principio della neutralità della p. f. a cui si ispirava la finanza pubblica prima degli anni 1940. Nel dibattito si sottolinea l’inefficacia o la limitata efficacia della p. f. espansiva, a causa degli effetti di spiazzamento della spesa privata (crowding out; ➔ spiazzamento); degli effetti negativi di lungo periodo provocati da persistenti disavanzi; a causa dell’impossibilità di una accurata regolazione (➔ fine tuning) del mercato, dovuta alla complessità dei meccanismi di trasmissione delle decisioni o, in altri termini, di un’adeguata sincronizzazione tra la manovra economica e la fase congiunturale, per cui una politica espansiva potrebbe esplicare i suoi effetti in ritardo dando luogo a inflazione. Il Trattato di Maastricht (1992), imponendo agli Stati membri regole di convergenza per la p. f., con contenimento dei deficit pubblici sotto il 3% del PIL e dei debiti pubblici al 60% del PIL o in sistematica diminuzione, ha accolto questa nuova prospettiva non keynesiana.