POLIDORO da Lanciano
POLIDORO da Lanciano (Polidoro de’ Renzi, Polidoro Lanzani, Polidoro Veneziano). – Nacque a Lanciano da Paolo de’ Renzi e da madre ignota, circa l’anno 1510.
Tradizionalmente fissata dalla critica al 1515, la data di nascita è probabilmente da anticipare di almeno cinque anni considerando che l’età «de anni 50», attribuita a Polidoro dal necrologio del 1565, è cifra meramente indicativa e dunque suscettibile di aggiustamenti, peraltro necessari a risolvere l’inconciliabilità dell’informazione con la notizia che la prima moglie del nostro aveva già superato i cinquanta anni nel 1555.
Nulla sappiamo dell’apprendistato di Polidoro, che dovette concludersi prima del 12 maggio 1536, quando sottoscrisse il testamento di Pasqua, figlia del «tesser» Zuan de Zorzi, qualificandosi come «depentor». Anche nei registri dell’Arte in data non precisabile compare un «Polidoro figurer», in cui si è voluto riconoscere il pittore. Preziosa è poi la condizione di decima di Paola Ferro in data 30 gennaio 1537, dove si dice che «messer Polidoro depentor» teneva in affitto per 16 ducati all’anno una casa nella parrocchia di San Pantalon, ma con annessa bottega, presentandocelo come titolare di un’attività in proprio con relativi spazi di lavoro (per tutti i documenti citati cfr. Mancini, 2001, pp. 117-119).
Le prime prove attribuite a Polidoro (Sacra famiglia con angelo adorante, Roma, collezione privata; Madonna col Bambino e s. Cecilia, Zagabria, Strossmayerova Galerija) attesterebbero un palmare confronto con prototipi di mano di Francesco Vecellio tale da far supporre un periodo di lavoro, forse di garzonato, dentro la bottega dei Vecellio. In ogni caso, per circa un decennio frequentò con esiti a volte ragguardevoli il dipinto di devozione privata, approfondendo la proposta tizianesca (Riposo durante la fuga in Egitto, Parigi, Louvre) di cui si dimostra valido interprete, intelligente, ma conciliante nei riguardi dell’alternativa sviluppata da Bonifacio de’ Pitati negli stessi anni, come si vede bene nella Sacra famiglia con s. Caterina e donatore (Kassel, Museumslandschaft Hessen Kassel).
L’occasione per emergere arrivò nel 1544 con la Discesa dello Spirito Santo delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, senz’altro il capolavoro di Polidoro.
Se da un certo punto di vista l’incarico rappresentò l’ingresso del pittore nel sistema delle commissioni pubbliche, va notato che la storia della committente Scuola dello Spirito Santo in quegli anni fu particolarmente travagliata. Faticava a riscuotere la tassa per le luminarie, non onorava i debiti con le monache della vicina chiesa, non riusciva a portare a compimento il cantiere della sede della scuola e della chiesa. Questo dissesto economico si misurava anche nella carenza di un’immagine a completamento dell’altare di sua spettanza, per cui ogni anno in occasione della loro festa i confratelli erano costretti ad applicarvi una pala disegnata su carta. Quando, il 24 ottobre 1544, si decise la realizzazione di una «bela palla de altar egual ad essa benedetta confraternita nostra» (Mancini, 2001, p. 117) era anzitutto in difesa della dignità dell’istituzione, che però era disposta ad accontentarsi di un’opera davvero economica se la somma di danaro mobilitata per l’occasione non andava oltre i 50 ducati. Fu determinante il guardian grande Andrea Zio che, dimostrando una buona intelligenza delle dinamiche di mercato, scelse di rivolgersi a un pittore emergente di buone speranze e con tanta voglia di distinguersi, confidando in questo modo di assicurarsi un prodotto di qualità a un prezzo sicuramente competitivo.
E così fu. Polidoro licenziò una grande pala di 276×195 cm, arricchita da numerosi saggi di bravura e di aggiornamento, presentando una libera interpretazione del Dio padre michelangiolesco dalla Creazione di Adamo della Sistina e offrendo la sua versione della memorabile folla gesticolante ai piedi dell’Assunta di Tiziano, di cui ricorrono tipi e figure con una precisione tale da far supporre l’uso di materiale conservato nella bottega del maestro. E tutto questo per mettere in scena un’iconografia complicata, perché segnata da scarti e irregolarità tutt’altro che trascurabili, come appunto l’inserimento di Dio padre in una Pentecoste, o la peculiare composizione del gruppo di persone attorno a Maria, dove si vedono solo otto apostoli in primo piano, sette figure maschili di sfondo caratterizzate da abbigliamento e copricapi all’orientale, quattro ritratti e ben cinque figure femminili, di cui una velata. In attesa di ulteriori approfondimenti, bisognerà ammettere che l’esito della commissione fu di quelli che non passavano inosservati.
L’accreditamento era riuscito, e Polidoro di lì a poco, probabilmente intorno al 1550, dovette ricevere la commissione di un’altra pala d’altare ambiziosa. Questa volta si trattava di un’Assunta. La grande pala, che ora fa bella mostra di sé sull’altare maggiore nella cappella del Castello di Moritzburg, presenta un pittore capace di recepire anche recentissime proposte tizianesche come quelle della Pentecoste per il convento agostiniano di Santo Spirito in Isola. Rimane da chiarire la destinazione dell’opera, probabilmente rivolta al contesto veneziano, e forse identificabile con l’Assunta ricordata da Ridolfi (1648, 1914, pp. 226 s.) nella chiesa veneziana di S. Maria della Misericordia.
In questi anni Polidoro dovette continuare a gravitare nell’universo della ditta Vecellio, affiancandola in qualità di collaboratore esterno. E potrebbe essergli stata mediata da quel contesto la prestigiosa commissione – stipulata il 21 aprile 1552 – del gonfalone processionale della Scuola di S. Teodoro, che proprio in quell’anno era stata elevata al rango di Scuola grande.
La ricezione di elementi salviateschi insieme all’aggiornamento del brano di paesaggio sulle coeve ricerche di Lambert Sustris, suggeriscono di fissare agli anni Cinquanta anche la Madonna col Bambino, s. Lucia, s. Giuseppe e un donatore che presenta un bambino (Dresda, Staatliche Kunstsammlungen), che è stato riferito dalla critica (Mancini, 2001, pp. 148 s.) a un’iniziativa di committenza di Marcantonio Pisani figlio di Lorenzo, all’epoca residente nel confinio di San Pantalon, marito di Paola Loredan (1537) e padre di Alvise. Proprio allo scopo di celebrare la nascita di quest’ultimo, avvenuta il 22 maggio 1554, il pittore sarebbe stato invitato a inserire nell’immagine la figura dell’infante nudo, offerto congiuntamente da Marcantonio e da s. Giuseppe alla Vergine. La commissione dell’ambizioso telero confermerebbe l’accreditamento di Polidoro presso certo patriziato veneziano, conservativamente affezionato a una pittura dai caratteri linguistici e tipologici in stretta continuità con la proposta di Tiziano degli anni Trenta e Quaranta. Alla luce di questo, si potrebbe intendere nel senso di un bilanciamento dell’alternativa romana la scelta dei giudici del Proprio di affiancare Polidoro a Battista Franco nella stesura dell’inventario dei dipinti conservati nel ‘portego’ del palazzo di Chiara Sanudo il 31 luglio 1556. D’altra parte, che il pittore offrisse la garanzia di una perfetta istruzione sui requisiti retorici e sui vincoli simbolici e iconografici previsti dalla cultura veneziana – e per di più a prezzi contenuti – è evidente nella Madonna col Bambino, s. Pietro e Simone Lando (Berlino, Staatliche Museen).
Commissionato da Lando a sigillo di una felicissima congiuntura che lo portò nel giro di due anni all’investitura di cavaliere cesareo (1558) e alla promozione a notaio ordinario della cancelleria ducale (1559), il piccolo telero esibisce, in piena conformità retorica e contenutistica all’immaginario politico e istituzionale veneziano, il perfetto ritratto dell’umile servitore dello Stato, sempre attento a ricercare la compagnia di patroni importanti (in questo caso il santo eponimo Simon Pietro) e abbondantemente benedetto dal cielo.
Frattanto, l’11 luglio 1555 era morta la prima moglie di Polidoro, Angelica, che aveva sposato probabilmente intorno alla metà degli anni Trenta e da cui aveva avuto un figlio di nome Zuan Paolo.
Nel 1559 ricevette il pagamento per lavori di pittura sull’organo di S. Giovanni in Bragora dal prete Giovanni Pietro Bonaccorso, per un ammontare complessivo di 50 ducati.
La commissione seguiva di pochi anni i lavori di restauro eseguiti sullo strumento dall’organaro Vincenzo Colombi, che dovettero comportare interventi di qualche importanza anche sulla struttura lignea. A Polidoro si chiedeva di dipingere «quattro quadri de l’organo» (Mancini, 2001, p. 118), destinati a decorarne la cassa o la cantoria. Non è noto se al pittore, in altra circostanza, fossero state commissionate anche le portelle, poiché l’apparato decorativo dell’organo della Bragora fu disperso in seguito al rifacimento del 1698-99.
Entro la fine degli anni Cinquanta Polidoro si unì in matrimonio con Elena Buzzacarina di Padova, vedova di un certo Zuan Maria Trevisan. La donna aveva un figlio di primo letto, Vittorio, nato forse poco prima del 1550, che probabilmente fu istruito all’arte nella bottega di Polidoro e ne divenne assistente per poi condurre, alla morte del patrigno, una dignitosa carriera da ‘dipintor’ a Lanciano.
Il 20 luglio 1565 Polidoro convocò nella casa di San Pantalon il notaio veneziano Girolamo Parto per dettare le sue ultime volontà.
Al momento di testare disponeva di beni mobili in città e di altri beni mobili e stabili a Lanciano, tra cui una casa in parrocchia di San Giovanni e una vigna nella contrada detta ‘delli Cianchoni’. Indubbiamente non versava in floride condizioni economiche, ma esigeva che la moglie amministrasse oculatamente quel poco patrimonio a vantaggio di tutti e quattro i loro figli. Non pare riconducibile alla miseria del pittore, invece, la clausola rara e sorprendente con cui si chiude il breve documento: «Altro non voglio ordinar perché non ho da lassar a preti né a frati né a hospedali» (p. 119). Possibile che non fosse nella condizione di fare un lascito, anche modesto? O non siamo piuttosto di fronte a un caso di drastico rifiuto del complesso ipocrita di cerimonie e investimenti pro anima, in linea con una religiosità di tipo spirituale che l’artista potrebbe aver incontrato frequentando la bottega di Tiziano? Considerato che il testamento non contiene alcuna disposizione in merito alla sepoltura o alle messe di rito, il sospetto appare più che fondato.
Polidoro morì nella contrada di San Pantalon, dove aveva trascorso tutta la sua trentennale stagione veneziana, il 21 luglio 1565, dopo una febbre durata sei mesi (Mancini, 2001, p. 119).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, p. 532; C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte (1648), a cura di D. von Hadeln, I, Berlin 1914, pp. 226 s.; F. Sansovino - G. Martinioni, Venetia città nobilissima, Venezia 1663, p. 378; M. Boschini, Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, cc. b4r, [b7v-b8r]; A.M. Zanetti, Della pittura veneziana, Venezia 1771, pp. 236-238; G. Ludwig, Bonifazio di Pitati da Verona, eine archivalische Untersuchung, I-II, in Jahrbuch der Koniglich Preussischen Kunstsammlungen, XXII (1901), pp. 196-198; G. Gronau, Über die Herkunft des Malers Polidoro Veneziano, in Repertorium für Kunstwissenschaft, XXXIII (1910), pp. 545 s.; V. Balzano, P. de’ Renzi di Lanciano pittore, in Rassegna d’arte degli Abruzzi e del Molise, I (1912), 1, pp. 20-26; B. Berenson, Opere attribuite a P. de Renzi di Lanciano, ibid., 2, pp. 33 s.; C. Marciani, P. da L.: pittore in soffitta (1514-1565), in Rivista abruzzese, IV (1951), 4, pp. 117-121; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance, I, Venetian School, London 1957, pp. 142-144; C. Marciani, P. da L.: sua patria e suoi familiari, in Arte veneta, XI (1957), pp. 181-185; H.E. Wethey, Polidoro Lanzani. Problems of Titianesque attributions, in Pantheon, XXXIV (1976), pp. 190-199; V. Mancini, P. da L., tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, a.a. 1983-1984 (relatore A. Ballarin); Id., P. da L., Lanciano 2001; G.J.M. Weber, ‘L’Assunta della Regina de’ Cieli’. A rediscovered masterpiece by P. da L., in Studi Tizianeschi, II (2004), pp. 48-56; G. Tagliaferro et al., Le botteghe di Tiziano, Firenze 2009, in partic. pp. 85 s., 112-130; C. Corsato, La devozione di Simone Lando e la pittura di genere in Jacopo Bassano, in Venezia Cinquecento, XXIII (2013), 45, pp. 139-178.