POLICLETO (Πολύκλειτος, Polycletus) il Vecchio
Scultore greco, nato ad Argo, intorno al 480 a. C., morto alla fine del sec. V, la cui attività si svolse ad Argo, Olimpia, Efeso ed Atene fra il 460 e il 420 circa; Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 55) lo dice sicionio anzi che argivo, probabilmente perché in età tarda si risapeva che la scuola policletea aveva avuto larga diffusione a Sicione. Discepolo dell'argivo Agelada, fu il più grande maestro della scuola peloponnesiaca nell'età aurea dell'arte classica, e dagli scrittori antichi è spesso menzionato insieme con Fidia e a lui paragonato. Emerito bronzista, pare non abbia mai scolpito in marmo: Plinio (XXXIV, 9) lo dice coetaneo e condiscepolo di Mirone (che tuttavia era forse un po' più vecchio), e c'informa ch'egli soleva usare la lega eginetica del bronzo, mentre Mirone si atteneva alla deliaca.
Sui caratteri dell'arte policletea le notizie tramandateci dagli antichi sono molte e diverse, benché sostanzialmente non contraddittorie: Cicerone (Brutus, 18, 70) afferma che le opere di P. erano più belle e più simili al vero che non quelle di Mirone; Plinio (XXXIV, 56) dice ch'egli portò alla massima perfezione la fusione del bronzo e perfezionò l'arte statuaria, come Fidia ne aveva rivelato le possibilità, ma riferisce che secondo Varrone le sue statue erano tozze (quadrata) e monotone, cioè troppo simili fra loro (paene ad exemplum); Quintiliano (Inst. Orat., XII, 10, 7) attesta che P. prevalse sugli altri scultori per l'accurata bellezza delle sue opere, che da molti tuttavia erano considerate prive di gravità, giacché, mentre egli riprodusse la bellezza umana non solo fedelmente, ma rendendola anche più perfetta di quanto non sia in natura, non seppe peraltro rappresentare la suggestiva severità degli dei, né andò oltre la riproduzione del tenero aspetto dei giovani; forse in questa opinione è anche adombrato il fatto, che noi stessi rileviamo dalla conoscenza delle opere di P., ch'egli subordinava l'espressione dei sentimenti e il significato della figura rappresentata al rendimento della pura bellezza formale.
Il maggior merito dell'arte di P. era dunque la somma finitezza tecnica, mentre caratteri fondamentali ne sono la simmetria, cioè le proporzioni, l'armonia, ovvero la ponderazione, e l'euritmia delle figure. Egli fu inoltre un teorico e scrisse un trattato che intitolò Canone, nel quale non dava precetti dell'arte statuaria, ma stabiliva l'ideale della figura umana.
Dello scritto sono superstiti due frammenti, tramandati da Plutarco e da Filone (ediz. e versione tedesca in H. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker,. I, 4ª ed., Berlino 1922, pp. 294-96): l'uno afferma che l'opera della plastica è soprattutto difficile quando si sia giunti alla rifinitura ad unguem, l'altro avverte come la perfezione artistica sia il risultato di un complesso di proporzioni aritmetiche, e come una divergenza anche lieve basti a distruggerne l'armonia. Si vede quindi, specie da quest'ultimo frammento, come l'idea di una perfetta canonica dell'arte derivi in P. da presupposti pitagorici, concernenti le "simmetrie" aritmetiche intrinseche alle realtà naturali.
A queste norme teoriche egli diede forma concreta in una statua divenuta famosissima nell'antichità, e presa a modello dagli scultori successivi, detta appunto canone, ma comunemente nota col nome di Doriforo, ossia portatore di lancia; unico caso di artista che crei un'opera per rappresentare l'arte stessa. La conosciamo perfettamente da varie repliche in marmo, di cui la migliore è nel Museo nazionale di Napoli, dov'è anche un'erma in bronzo firmata dallo ateniese Apollonio, la quale, per l'identità del materiale, rende più fedelmente i caratteri tecnici e stilistici della testa originale.
La figura è da completarsi con la sola aggiunta della lancia nella mano sinistra, sulla testimonianza di un rilievo di Argo e di una gemma: essa mostra un ritmo chiuso entro la linea di contorno e insieme il perfetto equilibrio bilanciato del movimento, cioè il chiasmo fra le parti del corpo, mentre sono ben distinte la ripartizione dello sforzo e le due diverse funzioni delle gambe: la funzione di sostegno, ossia di reggere il peso del corpo, e quella di movimento, ossia di far avanzare la figura. Alla gamba destra portante si contrappone la sinistra scarica del peso e arretrata, mentre al braccio destro tutto rilasciato corrisponde il sinistro energicamente contratto, e infine la testa è rivolta verso destra, lato del braccio in riposo. Tipici sono, dunque, per l'arte del maestro argivo, il sistema di ponderazione e il ritmo chiastico (cioè a rispondenza incrociata delle membra), e affatto caratteristico è il trattamento anatomico dalle singole masse muscolari nettamente delimitate, e quello dei capelli.
Quest'opera, che è il capolavoro di P., e, per così dire, compendia in sintesi le sue concezioni, si può datare fra il 450 e il 440.
Quanto alle altre opere di P., delle quali abbiamo cognizione, in ordine cronologico sono da ricordare: la statua del fanciullo Xenocle, vincitore nei giuochi prima del 484; se ne è ritrovata ad Olimpia la base, rinnovata nel sec. IV, che rivela per le impostature dei piedi, ambedue poggiati saldamente con tutta la pianta, un sistema di ponderazione anteriore al Doriforo, ciò che induce a datare in via d'ipotesi la statua al 460 circa. Contemporaneo doveva essere per l'identica posizione dei piedi il Discoforo, che conosciamo in ventiquattro repliche, le quali mostrano caratteri rigorosamente severi; di poco posteriore è l'Ermete, il cui tipo ci è meglio attestato da un bronzetto di Annecy: aveva la destra protesa nel gesto oratorio, mentre è da credersi che nella sinistra reggesse il caduceo. A questo punto dell'attività di P. è da porsi il Doriforo, e subito dopo la statua dell'atleta Cinisco di Mantinea, della quale si è scoperta ad Olimpia la base: nelle impostature di questa si adattano i piedi di un tipo statuario di stile policleteo serbato in varie repliche, di cui la più nota è il cosiddetto Efebo Westmacott nel British Museum; riconosciamo, dunque, il Cinisco in questa figura, che per la ponderazione, l'anatomia e tutti i particolari della trattazione è molto simile al Doriforo, tenuto conto dell'età più giovanile del personaggio e il gesto che esso compiva con la mano destra, che era probabilmente quello di porsi sul capo la corona della vittoria. Molto prossimo al Doriforo, ma un po' posteriore, secondo dimostra il rendimento delle forme che già rivela l'influsso attico, è l'Eracle, che conosciamo da riproduzioni in monumenti delle arti minori e da buon numero di repliche, delle quali la migliore, di piccolo modulo, è nel museo Barracco di Roma: l'eroe dalle forme possenti appare in attitudine di riposo, con la mano destra appoggiata alla clava e la sinistra addossata al fianco corrispondente. Nel periodo dell'attività attica del maestro cade secondo ogni probabilità la creazione dell'Amazzone ch'egli fece per il santuario di Efeso in gara con Fidia, Cresila e Fradmone; varî sono i tipi di Amazzone a noi serbati, sicché l'identificazione di quello da riferire a ciascuno degli scultori è stato oggetto di molte discussioni, ma, poiché P. vinse la gara, è probabile che la sua opera sia stata più spesso riprodotta; e quindi in base a tale criterio e all'altro, invero più attendibile, dei caratteri stilistici, quasi tutti gli archeologi concordano ormai nel riconoscere il tipo policleteo in quello meglio rappresentato da una statua di Berlino, ma serbato in moltissimi esemplari e riprodotto in un rilievo di Efeso. Si ritrovano in questa statua tutti gli elementi (ritmo, ponderazione, anatomia) dello stile policleteo e lo stesso carattere osservato già nel Doriforo, ma si sorprendono peraltro sicuri segni di un'ulteriore evoluzione, sia nel rendimento del viso sia nella maggiore libertà dei movimenti, non più costretti entro gli angusti limiti di uno schema così rigoroso, se pure rispondenti al medesimo principio: si notino il braccio destro sollevato sul capo e il sinistro appoggiato al pilastro. All'ultimo periodo della vita di P. (430-20) appartiene un'altra sua celebre statua efebica detta il Diadumeno, perché rappresentava un delicato adolescente nell'atto di cingersi il capo con un nastro: l'ideale policleteo della pura bellezza è qui portato alla massima perfezione, mentre l'armoniosità del ritmo rivela l'influsso della scuola attica; data la corrispondenza della posizione dei piedi, si era pensato a identificare il Diadumeno (che è da credersi statua di un vincitore nei giuochi, sebbene la replica di Delo sia adattata a rappresentare Apollo mediante l'aggiunta della clamide e dell'arco) col Pitocle statua di agonista menzionata da Pausania e di cui si è rinvenuta ad Olimpia la base; ma questa ipotesi è prevalentemente esclusa.
Gli scrittori antichi menzionano altre opere di P. e non sole statue di atleti, bensì anche figure che potremmo dire di genere (apoxyomenos, fanciulli che giocano agli astragali, canefore) e almeno un ritratto (di Artemone lo sciancato), ma i varî tentativi per identificare l'una o l'altra di esse sono tutti ipotetici. L'unico grande idolo di culto, del quale abbiamo nozione, è l'Era, maestosa figura crisoelefantina in trono, eseguita da P. per il tempio di Argo, costruito da Eupolemo subito dopo l'incendio del 423-2 e quindi databile al 420 circa o poco dopo: sul luogo è stata ritrovata soltanto la base, ma il periegeta Pausania (II, 17, 3) ci dà una minuta descrizione della figura, che è inoltre riprodotta su monete argive contemporanee (la sola testa) e di età romana; infine una testa in marmo del British Museum si può forse considerare replica semplificata dell'opera di P. Quanto all'Afrodite in Amicle, che era sostegno di un tripode dedicato dopo la battaglia di Egospotami, si è pensato di attribuirla a P. il giovane, sembrando la data del 405 troppo bassa per l'attività del primo scultore, mentre si può ben ammettere che sia opera della sua estrema vecchiezza.
Come s'è accennato, P. ebbe molti alunni e continuatori, di alcuni dei quali la tradizione letteraria ci riferisce i nomi, mentre molte sculture a noi giunte si possono attribuire alla sua scuola; questa si protrasse nel sec. IV, finché Lisippo rinnovò con la genialità della sua arte, l'indirizzo della scuola argiva.
V. tavv. CXLI e CXLII.
Bibl.: Principalmente: A. Mahler, Polyklet u. seine Schule, Atene 1902; C. Anti, Monumenti Policletei, in Monum. dei Lincei, XXVI (1920), p. 501 segg.; G. Richter, Sculpture a. sculptors of the Greeks, 2ª ed., Oxford 1930, p. 244 segg.; M. Bieber, Polykletos, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, Lipsia 1933, pp. 224-229. Per i brani di scrittori classici relativi alle opere e all'arte di P.: J. Overbeck, Schriftquellen, ipsia 1868, n. 929 segg. Per il Doriforo v. elenco delle republiche in Anti, op. cit., p. 628 segg.; per le basi di Olimpia, cfr. M. Bieber, op. cit.; per il Discoforo, Anti, op. cit., p. 549 segg.; K. Blümel, Der Diskosträger Polyklets, 90° Winckelmannsprogramm, Berlino 1930; per l'Ermete di Lisimachia, Anti, p. 580 segg., figg. 28 e 93; per l'Eracle, id., p. 509 segg.; per l'Amazzone di Berlino, K. Blümel, Kat. griech. Skulpt... Staatl. Mus. Berlin, Berlino 1928, p. 38 segg.; K 176, tavv. 67-70; per il Diadumeno, oltre all'Anti, p. 632 segg., K. Blümel, op. cit., K 154; per le altre opere di P. e quelle riferite a lui o alla sua scuola v. bibl. nei volumi già cit.