POLIANDRIA
. È la condizione matrimoniale di una donna che diviene di diritto moglie di più uomini. Se ne distinguono due forme: la prima è detta poliandria "fraterna": in essa, quando il figlio maggiore di una famiglia prende moglie, la sposa è sottoposta ai diritti maritali di tutti i fratelli che convivono col maggiore. Questo rimane il capo della casa, è il solo padrone riconosciuto degli averi e il solo erede del patrimonio familiare (Tibetani). L'altra forma è la poliandria "libera", per cui una donna può sposare più uomini non congiunti da vincoli familiari, che vanno quindi a convivere nella casa di lei o si alternano nel visitarla secondo turni prestabiliti (Nair e Toda dell'India meridionale): forma molto meno diffusa, anzi assai rara, e connessa a un'elevata posizione sociale ed economica della donna, sia come caso individuale, sia come condizione normale del gruppo. Infatti mentre la poliandria fraterna si associa in genere a uno statuto patriarcale del diritto familiare e di successione (pur conservando la donna, com'è logico, notevole indipendenza e autorità morale), la poliandria libera è quasi sempre congiunta alla discendenza matrilineare e al matriarcato propriamente detto.
La famiglia poliandrica è andata scomparendo quasi dappertutto, nei tempi più recenti, specialmente per l'influsso della cultura europea e per la decadenza dei gruppi indigeni che la praticavano. Ma secondo le osservazioni fatte negli ultimi secoli, essa è stata constatata in varie regioni etniche della terra. L'Asia centrale e l'India sembrano esserne il maggior centro di sviluppo e anche di persistenza. I Tibetani praticano tuttora comunemente (sebbene esistano tra essi anche la famiglia monogamica e poliginica) la poliandria fraterna. Gruppi poliandrici sono stati segnalati da antichi storici cinesi anche fra nazioni turco-mongole e tracce ne esistono ancora tra le tribù dell'Asia nord-orientale (Ghiliaki, poliandria fraterna con patriarcato; Camciadali, poliandria libera con resti di matriarcato). L'India meridionale (Toda, Nair, Kurumba, Muduvar e varie caste paria) è forse il maggiore centro storico, con notevoli persistenze attuali, della poliandria libera. Questa, congiunta alla famiglia matriarcale, è stata constatata anche in alcuni gruppi insulari della Polinesia, specialmente nelle Isole Marchesi, tra gli Americani del NO. (Aleuti, Tlingit) e gl'Irochesi e in qualche popolazione dell'Africa negra (Congo) o camitica (Guanci delle Isole Canarie). Tra i Singalesi occorre sporadicamente la poliandria fraterna.
Alla poliandria sono state attribuite origini di ordine economico: si è detto cioè che essa è sorta in paesi poveri di risorse per la necessità di mantenere intatto il patrimonio familiare e di ridurre l'incremento della popolazione. Questi sono indubbiamente gli effetti della poliandria, ma essi vengono raggiunti più facilmente, anche nei popoli a cultura media, con altri mezzi. E in molti casi non esiste affatto la povertà del paese o del gruppo. Non c'è dubbio, invece, che essa rappresenta una deviazione nello sviluppo dell'istituto familiare, deviazione che non sembra doversi inserire molto in basso nella storia di quello, perché nessun gruppo primitivo è poliandrico. Il clima sociale più adatto al suo sviluppo è stato quello rappresentato dalle forme superiori del matriarcato nelle società agricole tropicali o subtropicali o, comunque, dalle società nelle quali la donna acquistava autorità e indipendenza. Ma anche tra queste la poliandria dovette essere un'eccezione, perché la famiglia matriarcale, per il prevalere degl'istinti naturali della donna, è raramente poligamica. Ancora oggi le società rimaste matriarcali tendono alla monogamia, com'è nei Tuareghi del Sahara, fatto assai notevole in un popolo musulmano. È naturale poi che la poliandria fraterna abbia ricondotto al patriarcato, per l'influenza della gerarchia naturale rappresentata dall'età fra i congiunti.
Casi di matrimonio poliandrico, nelle sue diverse forme, sono attestati per varie e fra loro lontane regioni del mondo antico; ma questo costume non fu mai molto diffuso, anche per le speciali condizioni sociali che esso presuppone. La testimonianza più esplicita è quella di Polibio (XII, 6 b, 8) per gli Spartani: "Presso gli Spartani è costume che tre o quattro uomini, e anche di più se sono fratelli, abbiano una sola moglie, e i figli di costoro sono comuni. Ed è costume lodato che se uno ha avuto figli in numero sufficiente, ceda la moglie ad un amico". E ciò che le fonti dicono della libertà di costumi delle donne spartane, mostra che non si aveva in Sparta un concetto rigido della fedeltà coniugale. Un caso di cessione della moglie è attestato anche in Roma, fra Catone Uticense e Ortensio (Plut., Cat. min., 25, 52); Strabone, che vi accenna ricordando lo stesso costume presso i Tapuri del Caspio (XI, 9,1), lo dice un antico uso romano. Per i Britanni abbiamo la testimonianza di Cesare (De bello gall., V, 14): uxores habent deni duodenique inter se communes et maxime fratres cum fratribus parentesque cum liberis; sed si qui sunt ex his nati, eorum habentur liberi, quo primum virgo quaeque deducta est. Ma mentre sembra che Cesare parli di poliandria poliginica, cioé di gruppi di uomini che hanno in comune parecchie donne, altre fonti parlano di vera poliandria dei Britanni (Bardesane, in Eusebio, Pr. ev., VI, 10, 28) e altre ancora di promiscuità sessuale degl'Irlandesi e dei Caledoni. Questi castumi sono fatti però risalire alla popolazione pre-indoeuropea delle isole britanniche. Strabone ricorda poi la poliandria per i Medi (XI, 13, 11, dove molte edizioni hanno alterato il testo facendogli dire l'opposto) e per i Sabei dell'Arabia Felice (XVI, 4, 25): " (I maschi di una famiglia) hanno una moglie in tutti, e chi primo entra, pone il suo bastone alla porta e sta con lei; ma la moglie passa la notte col più vecchio dei fratelli. Perciò sono tutti fra loro fratelli e si uniscono anche con le madri. L'adultero è punito con la morte ed è ritenuto tale chi è di altra stirpe". Pare che questo uso sia confermato dalle iscrizioni sabee e tracce di poliandria si sarebbero notate anche nell'antica Babilonia e presso altri Semiti.
Bibl.: A. E. Post, Giurisprudenza etnologica, trad. P. Bonfante e C. Longo, Milano 1906, pp. 49 e 124; E. Meyer, Geschichte des Altertums, I, 2ª ed., Stoccarda 1907, par. 11; J. Hastings, Encycl. of Religion and Ethics, VIII, Edimburgo 1915, s. v. Marriage, p. 467; E. Westermarck, The history of human marriage, 5ª ed., III, Londra 1925, pp. 144, 154. V. anche famiglia.