POLARIZZAZIONE
. Polarizzazione elettrica e magnetica. Tutte le volte che un mezzo fisico si presenta perturbato in modo che in un suo punto generico riveli proprietà speciali in una data direzione e in dato verso (che divengono proprietà opposte se si riferiscono al verso opposto) si dice che è polarizzato. Esempî: una soluzione acquosa di HCl, sottoposta all'azione di un campo elettrico diciamo che si polarizza, in quanto che gli atomi di H tendono a portarsi verso il catodo, quelli di Cl verso l'anodo; un magnete si dice polarizzato perché ogni sua particella lasciata libera tende a orientarsi in modo particolare nel campo terrestre, e quindi entro di essa si possono rintracciare la direzione e il verso di proprietà particolari che si riassumono sotto il nome di magnetizzazione.
Un filo teso non si dice invece polarizzato, nel senso stretto della parola; esso ha bensì proprietà particolari lungo una direzione determinata, ma queste proprietà non sono dotate di verso: rimangono le medesime, non mostrano effetti di rovesciamento, quando il filo venga rovesciato portando ognuno dei suoi estremi nella posizione dove era l'altro. Quindi non dànno luogo all'identificazione di un polo positivo e di uno negativo.
Nei casi più semplici e tipici, la polarizzazione è misurata da una grandezza tale che, presa insieme con la direzione e il verso, forma un vettore da cui sono rappresentati tutti i dati matematici della polarizzazione stessa. Così è il caso citato del magnete. In questo caso il vettore che rappresenta l'entità dello stato si chiama vettore della polarizzazione o anche polarizzazione senz'altro. In altri casi la polarizzazione deve essere rappresentata da enti matematici più complessi di quello che sia un vettore.
I due esempî più importanti di polarizzazione che s'incontrano in natura sono quelli dei campi elettrici e magnetici.
Tutte le volte che un mezzo fisico viene sottoposto all'azione di un campo di forze elettrico, o magnetico, esso viene a trovarsi in uno stato di perturbazione particolare (deviazione dallo stato neutro o di riposo) che prende il nome di polarizzazione elettrica e rispettivamente magnetica; e in conseguenza il mezzo fisico si carica di energia. Ciò avviene non solamente nei corpi materiali, ma anche nello spazio vuoto di materia ponderabile; il che mostra che lo spazio che noi chiamiamo vuoto, non è un semplice spazio matematico, ma ha proprietà fisiche, e deve essere considerato come un mezzo fisico. Anzi, la polarizzazione elettrica o magnetica che si verifica in uno spazio vuoto, si presenta, per la sua semplicità, come un fenomeno primordiale della natura, attraverso lo studio del quale si arriva a potere investigare i fenomeni più complessi che avvengono nei corpi materiali.
Secondo le vedute moderne, lo studio della polarizzazione dello spazio vuoto o spazio-etere può essere impostato come segue. Diciamo anzitutto del caso magnetico, che è più semplice a trattare. Considerando nello spazio vuoto una linea rientrante qualunque, si lascia definire in corrispondenza di essa linea quella quantità scalare Φ a cui si dà il nome di flusso magnetico; ricordiamo che questo flusso si misura per mezzo dell'impulsione elettromotrice (integrale della forza elettromotrice preso rispetto al tempo) indotta in un circuito esploratore formato da un circuito conduttore che segua detta linea, quando esso circuito viene improvvisamente contratto fino a ridursi a un punto (uso della bobina esploratrice e dell'apparecchio detto "flussometro"). Definito per ogni linea chiusa tracciata in un campo il flusso magnetico che le compete, si deduce, coi procedimenti noti, per ogni punto del campo un vettore B tale che l'integrale di superficie o flusso di questo vettore sopra un'area qualunque eguagli il flusso magnetico associato alla linea di contorno dell'area. Questo vettore B (induzione magnetica) è quello che misura lo stato di polarizzazione dello spazio-etere, punto per punto. Come vettore-polarizzazione si assume questo B senz'altro (sistemi di unità moderni) oppure un altro vettore uguale a 4πB (sistemi di unità antichi). Dall'uno e dall'altro si distingue per la sua natura fisica il vettore H (forza magnetica) il quale viene definito dalla condizione che quando l'induzione subisce una variazione δB, il lavoro immagazzinato nell'unità di volume dello spazio sia espresso da HδB, ovvero da
secondo il sistema di unità scelto (v. elettricità). Questo vettore si presenta come la causa di quella perturbazione che noi chiamiamo campo magnetico, mentre il vettore-polarizzazione misura l'effetto. Poiché nello spazio libero, in assenza di campi gravitazionali intensi, i due vettori H, B sono proporzionali fra loro secondo un rapporto fisso, vi sono sistemi di misura e di equazioni, in cui ad entrambi si sostituisce un unico vettore M (vettore magnetico), la cui grandezza si può definire come = √HB; nelle trattazioni informate a questo tipo, è il vettore M quello che misura la polarizzazione.
Passando dallo spazio libero allo spazio occupato dai corpi materiali, bisogna distinguere fra studio macroscopico e microscopico. Nello studio macroscopico, si hanno sempre i due vettori H, B, definiti come prima, ma essi non sono più proporzionali fra loro. Si ha una relazione caratteristica (v. magnetismo), nella quale oltre che B interviene un altro vettore J (intensità di magnetizzazione) il quale misura per così dire il contributo al fenomeno di polarizzazione dovuto alla materia ponderabile. Si hanno così due vettori di polarizzazione: l'uno di essi B misura la polarizzazione totale, mentre l'altro J è legato alla magnetizzazione della materia. Invece nello studio microscopico, i mezzi continui materiali non esistono più: come mezzo fisico ambiente vi è solamente lo spazio-etere, ma le particelle materiali di vario ordine (molecole, atomi, elettroni) intervengono coi loro momenti magnetici elementari che misurano la polarizzazione magnetica delle particelle stesse (v. Magnetismo).
Per il campo elettrico la trattazione segue parallela come per il campo magnetico. Si lascia definire, quantunque in modo meno semplice e meno diretto che per il magnetismo, un vettore Q, il quale punto per punto dello spazio misura la perturbazione elettrica, o spostamento elettrico. Nei sistemi di misura moderni, non si distingue fra vettore-spostamento, vettore-induzione e vettore-polarizzazione; ma nei sistemi più antichi si considera anche un secondo vettore = 4πQ, a cui si assegna talvolta il nome di polarizzazione. L'uno e l'altro sono distinti dal vettore forza elettrica di campo, il quale rappresenta la causa agente, produttrice del campo, e che è definito quale coefficiente della variazione di Q nell'espressione del lavoro elementare immagazzinato nel mezzo. Nell'interno poi della materia ponderabile intervengono le stesse distinzioni come per il magnetismo. Cioè dal punto di vista globale o macroscopico si fa luogo a considerare, oltre al vettore-polarizzazione totale, quello che misura la parte di polarizzazione dovuta alla materia; ma dal punto di vista microfisico, esiste solo la polarizzazione dello spazio-etere, variabile da punto a punto, e la distribuzione dei granuli elettrici elementari, che è collegata con la distribuzione del campo.
Lo studio della polarizzazione elettrica o magnetica dello spazio libero coincide con quello dei campi elettrici e magnetici e fa parte della teoria matematica generale dell'elettricità. La discussione di quanto invece avviene nei corpi ponderabili interessa in sommo grado per la indagine della struttura della materia. Fu appunto dalla discussione della polarizzazione elettrica dei corpi, che Lorentz accingendosi al passaggio dallo studio macrofisico a quello microfisico, fu indotto a concepire le basi della teoria elettronica della materia, che è divenuta poi fondamento dï tutto lo sviluppo della moderna fisica atomica. Lorentz additava che nelle particelle intime (sia nelle molecole, sia negli atomi) dei corpi non conduttori vi sono granuli elettrici positivi e negativi, legati "elasticamente" al centro della particella: in assenza di sollecitazione, queste cariche stanno contigue e si neutralizzano nei loro effetti esterni; ma sotto l'azione di un campo elettrico, esse si separano, e si portano rispettivamente a due punti opposti della particella, determinando quivi un polo positivo e un polo negativo; come aumenta il campo, la distanza delle due cariche aumenta in proporzione, ma rimane sempre finita, e le cariche non abbandonano la particella perché sono trattenute da forze di richiamo; almeno fino a che non avviene la scarica distruttiva, con la quale cessa la funzione d'isolante. Similmente la polarizzazione magnetica veniva spiegata con gli "elettroni di magnetizzazione" che assumevano un movimento rotatorio sotto l'azione di una forza magnetizzante. Questi erano modelli elementari, ma servono ancora per descrivere sommariamente il meccanismo della polarizzazione nei corpi, e hanno costituito il punto di partenza per la teoria elettronica della materia.
Quanto ai dati sperimentali della polarizzazione magnetica dei corpi v. magnetismo; per quelli della polarizzazione elettrica v. dielettrico. Confrontando qui i due fenomeni, notiamo le differenze: a) la polarizzazione elettrica indotta nei corpi non ha mai verso opposto a quello del campo inducente; cioè non si ha in elettricità un fenomeno corrispondente al diamagnetismo; b) mentre cimentando i corpi con polarizzazioni elettriche intense si arriva alla scarica disruttiva e a fenomeni di conduzione, nulla di simile avviene pel magnetismo; c) la polarizzazione elettrica non si produce sempre tutta istantaneamente, ma (specialmente nei dielettrici solidi), dopo avere acquistato sino dal principio un determinato valore iniziale, cresce col tempo sotto l'azione del campo con legge più o meno complicata, tendendo asintoticamente a un valore finale (fenomeno della polarizzazione susseguente); e fenomeni complicati, non esattamente inversi, avvengono dopo la cessazione del campo. Nulla di analogo si ha per il magnetismo, mentre invece sono comuni ai fatti elettrici e magnetici i fenomeni d'isteresi. Queste somiglianze e differenze significano questo, che la polarizzazione magnetica, residua, dopo cessato il campo induttore, si manifesta in modo permanente, e non varia finché non interviene qualche causa fisica modificatrice; quella elettrica invece varia da sé stessa col decorso del tempo, e talvolta s'inverte dopo un certo intervallo per ritornare poi al senso primitivo, e poi dopo lungo tempo cessa. È stato tentato di ottenere corpi dielettrici polarizzati permanentemente (cosiddetti elettreti) a imitazione dei magneti permanenti, ma la somiglianza è stata incompleta; gli elettreti ottenuti, attraverso molti sbalzi spontanei e rovesciamenti di segno, hanno mantenuto talvolta la loro polarizzazione per qualche anno, ma non mai indefinitamente.
Polarizzazione elettrolitica. - Per polarizzazione elettrolitica s'intende, genericamente, lo stato che assumono gli elettrodi di una pila voltaica o di un bagno elettrolitico in seguito al passaggio della corrente, onde acquistano un potenziale elettrochimico opposto a quello originario. Si genera così una pila secondaria, la cui forza elettromotrice, di senso opposto a quella principale, prende appunto il nome di forza controelettromotrice o di polarizzazione.
È abitudine, talvolta, di considerare i fenomeni di polarizzazione delle pile voltaiche separatamente da quelli che si osservano nei bagní elettrolitici o in un comune voltametro, per quanto non sussista fra di essi una particolare distinzione.
La causa della polarizzazione risiede, in ogni caso, nella decomposizione (elettrolisi) della soluzione contenuta nel bagno o nella pila e nelle conseguenti modificazioni della natura superficiale degli elettrodi oppure della composizione dell'elettrolita in immediato contatto con ciascuno di essi.
Riferendoci a una pila, l'effetto immediato della polarizzazione, anche di uno solo degli elettrodi, è di renderla incapace a fornire ulteriormente corrente con la stessa forza elettromotrice originaria: anzi, nel linguaggio comune, si è soliti definire la polarizzazione di una pila richiamando questa particolarità.
In una pila la polarizzazione è principalmente provocata: 1. dall'accumulo sulla superficie degli elettrodi degli elementi costitutivi del solvente (acqua) o dell'elettrolita, i quali vi si sviluppano allo stato elettricamente neutro; 2. dall'aumento della concentrazione degli ioni di carica opposta intorno a ciascuno degli elettrodi; 3. dalla eventuale azione chimica esercitata sugli elettrodi dagli elementi che vi si separano.
L'ordine di grandezza della polarizzazione provocata dalle tre cause accennate (che possono o no coesistere), è diverso, come pure è generalmente diverso l'ordine di grandezza della polarizzazione osservata separatamente su ciascuno degli elettrodi. Si può a questo riguardo osservare che, nella grande maggioranza dei casi, la polarizzazione dell'elettrodo elettronegativo di una pila (polo positivo), per opera dell'idrogeno, è di gran lunga la più importante.
La misura della polarizzazione di una pila è praticamente eseguita con l'osservazione della diminuzione della forza elettromotrice durante o dopo che la pila abbia erogato una certa quantità di elettricità. Si constata abitualmente che l'intensità della polarizzazione e la rapidità con la quale si stabilisce, ferme restando altre condizioni, dipendono dall'intensità della corrente e dalla quantità di elettricità fornita: in generale si osserva anche che, mettendo a riposo la pila, la sua forza elettromotrice risale, con un andamento più o meno rapido, talvolta sino al valore iniziale. Ciò indica che lo stato di polarizzazione di una pila si può distruggere, per effetto di reazioni susseguenti, specialmente quando non intervengono profonde modificazioni chimiche degli elettrodi o della soluzione. È abbastanza difficile impedire queste modificazioni o comunque rallentare la polarizzazione degli elettrodi di una pila durante il suo funzionamento. Un artificio efficace è quello di costituire uno o entrambi gli elettrodi della pila impolarizzabili con un metallo immerso nella soluzione di un suo sale (p. es., pila Daniell) oppure anche impedendo lo stabilirsi dello stato di polarizzazione con processi chimici contrastanti gli effetti del processo chimico primario che genera la corrente (p. es., pila Leclanché; v. pila).
Le prime nozioni sulla polarizzazione sono dovute ad A. C. Becquerel (1829) e a Daniell (1836): tuttavia solo in tempi più recenti (1900) è stata data una cognizione completa e generale del fenomeno, dedotta dall'osservazione della polarizzazione nei processi elettrolitici, specialmente per opera di M. Le Blanc e della sua scuola.
Come si è già accennato, tra elettrolisi e polarizzazione esiste uno stretto legame di dipendenza. La corrente attraverso un elettrolita può passare in una sola maniera e cioè per un simultaneo movimento degli ioni (v. elettrochimica; elettrolisi) nella soluzione, trasportando i cationi la carica positiva verso il catodo, gli anioni la carica negativa verso l'anodo. Questi ioni cedono le loro cariche ai rispettivi elettrodi e diventano atomi o gruppi di atomi che si separano allo stato elettricamente neutro con o senza reazioni chimiche secondarie. Se queste reazioni secondarie non sono preponderanti o se, al caso limite, non avvengono affatto, possiamo giungere a ottenere, in opportune condizioni sperimentali, un processo reversibile e la polarizzazione ci rappresenta e ci misura in questo caso la tendenza degli atomi o gruppi di atomi neutri separatisi a tornare nuovamente allo stato di ioni.
La misura di questa tendenza ci è data dalla forza elettromotrice di polarizzazione. Questa, come ogni altra forza elettromotrice, è costituita dalla somma di due singole differenze di potenziale che si stabiliscono a ciascuno dei due elettrodi e che sono, naturalmente, di segno contrario di quelle della forza elettromotrice polarizzante. Il valore di queste differenze di potenziale, se si usano elettrodi indifferenti o per così dire inattaccabili dai prodotti dell'elettrolisi (platino lucido, iridio, oro, ecc.) dipende soltanto dalla natura degli ioni che si scaricano a ciascuno degli elettrodi.
In questo caso noi possiamo perciò osservare una polarizzazione diversa di due stessi elettrodi inattaccabili usando elettroliti aventi ioni differenti. La misura della forza elettromotrice di polarizzazione o meglio del potenziale di polarizzazione di ciascuno degli elettrodi è in questi casi di particolare interesse perché ci fornisce un dato di valore pratico e teorico importantissimo e cioè il lavoro necessario alla separazione di ogni determinata specie di ioni (v. elettrolisi).
Come risultato di queste misure si trova infatti che se si elettrolizza, fra due elettrodi indifferenti, una soluzione per mezzo di una corrente la cui forza elettromotrice si fa crescere a poco a poco cominciando dallo zero, si osserva che la forza elettromotrice di polarizzazione cresce dapprima rapidamente poi più lentamente, sino a raggiungere un certo valore, oltre il quale a un grande aumento della forza elettromotrice polarizzante non corrisponde che un assai piccolo aumento della forza elettromotrice di polarizzazione: questa perciò non raggiunge mai un limite massimo determinato. In pratica il limite oltre il quale l'aumento della forza elettromotrice di polarizzazione diventa minimo è sufficientemente definito e ad esso corrisponde un punto caratteristico dell'elettrolisi: il passaggio cioè, nella soluzione, di una corrente costante e durevole a cui si accompagna una durevole decomposizione dell'elettrolita. Impiegando una forza elettromotrice inferiore non si può stabilire un regime durevole di corrente e di decomposizione della soluzione: questo si ottiene solo quando si è raggiunto quel valore limite pratico della forza elettromotrice di polarizzazione a cui si è accennato.
Questo valore dipende dalla natura degli ioni presenti ed è stato chiamato appunto, da Le Blanc, valore di decomposizione del composto a cui gli ioni appartengono: per i sali dei metalli esso è abbastanza bene definito e può essere calcolato dal loro calore di formazione (v. elettrochimica). Tuttavia l'elettrolisi comprende quasi costantemente lo svolgimento a l'uno o a l'altro degli elettrodi di un prodotto gassoso, fra cui in primo luogo l'idrogeno e l'ossigeno provenienti dalla decomposizione dell'acqua: qualche volta entrambi i prodotti sono gassosi. In questi casi il valore di decomposizione e la polarizzazione dell'elettrodo corrispondente possono essere, anche grandemente, modificati da fenomeni di assorbimento e sovrassaturazione (v. elettrolisi).
Un numero considerevole di fenomeni sono collegati alla polarizzazione elettrolitica e qualcuno di essi riceve anche applicazioni pratiche importanti. Meritano fra essi di essere ricordati l'elettrocapillarità, di cui è brillante applicazione l'elettrometro di Lippmann, la dissoluzione dei metalli negli acidi e fenomeni inerenti, e le pile secondarie o accumulatori.
Polarizzazione della luce. -1. I. Newton nella sua concezione corpuscolare della luce, per spiegare i fenomeni di birifrangenza cristallina scoperti da E. Bartholin e studiati da Chr. Huygens, era stato portato a suggerire che i corpuscoli luminifici fossero forniti di "polarità", simile, in qualche modo, a quella dei magneti. A questo vago accenno si riattaccò E. L. Malus nell'usare il termine polarizzazione e nel cercare d'interpretare il curioso fenomeno da lui scoperto osservando attraverso uno spato d'Islanda la luce del sole riflessa dalle vetriate del palazzo del Lussemburgo a Parigi: le due immagini, che il Malus si aspettava di vedere, per effetto della birifrangenza, si formavano più o meno intensamente, l'intensità dell'una a discapito di quella dell'altra, dipendentemente dall'orientamento dello spato rispetto alla visuale, giungendo alternativamente fino a estinguersi o l'una o l'altra. Sostituita alla luce solare la luce riflessa di una candela sull'acqua o su una lastra di vetro, Malus poté facilmente riconoscere che quando l'incidenza era rispettivamente di circa 53° o 54° avevano ancora luogo gli stessi fenomeni già prima osservati sulle vetrate del Lussemburgo e che, in conclusione, il comportamento della luce riflessa, sotto le incidenze dette, era quello stesso che, nel celebre esperimento dei due spati di Huygens, mostrano singolarmente nell'esame col secondo spato, ognuno dei due fasci emergenti dal primo spato: precisamente, la luce riflessa sull'acqua o sul vetro si comporta come il fascio ordinario (o il corrispondente fascio straordinario) emergente da uno spato il cui asse principale sia contenuto nel piano d'incidenza (o rispettivamente nel piano ad esso normale, passante per il raggio riflesso). E viceversa l'esame della luce uscente da uno spato eseguito per riflessione sull'acqua o sul vetro, sotto le incidenze sopra indicate, dà luogo agli stessi fenomeni osservabili nell'esperimento di Huygens, quando si consideri solo il fascio straordinario o quello ordinario emergente dal secondo spato.
Veniva così dal Malus scoperto che anche nella riflessione su corpi omogenei isotropi, come l'acqua, il vetro, ecc., la luce acquista caratteristiche identiche a quelle che si ottengono per l'uno e per l'altro dei due fasci emergenti da uno spato, proprietà che sostanzialmente riguardano il grado di simmetria che il raggio luminoso riflesso possiede intorno alla sua stessa direzione di propagazione, considerata come asse di simmetria.
2. Sotto l'aspetto teoretico, il grado di simmetria è legato sostanzialmente alla giacitura del piano di vibrazione luminosa. Già nella teoria elastica della luce si considera il vettore spostamento perpendicolare alla direzione di propagazione; nella successiva teoria elettromagnetica, al solo vettore spostamento, vengono sostituiti due vettori ortogonali fra loro e alla direzione di propagazione: il vettore forza elettrica e il vettore forza magnetica. Nella prima teoria il piano di vibrazione è quello contenuto dalla direzione di propagazione e dal vettore spostamento; nella seconda si hanno due piani di vibrazione individuati dalla stessa direzione di propagazione e dall'uno e dall'altro dei due vettori, l'elettrico e il magnetico.
Se in O, punto generico di un raggio luminoso propagantesi nel vuoto o no, prendiamo una terna di assi X, Y, Z, di cui l'asse Z nella direzione e senso della propagazione, potremo scrivere, per due componenti armonici semplici di ugual periodo τ = 2π/ω, diretti secondo X e Y:
A seconda della teoria adottata, X e Y cambiano significato potendo rappresentare o i due componenti dello spostamento o del vettore forza elettrica o di quella magnetica (questi ultimi legati dalle equazioni di Maxwell). La precisazione a tal proposito non è però sempre del tutto necessaria: almeno in un primo momento si può presendere dalla natura del vettore (1), essendo sufficiente attribuire il fenomeno luminoso a un vettore - che può chiamarsi genericamente vettore luminoso - trasversale alla direzione di propagazione e rappresentabile con le (1). Vedremo però come un celebre esperimento interferenziale dovuto a O. Wiener porti ad attribuire gli effetti luminosi (per lo meno quelli inerenti alla sensibilità alla luce dell'occhio, la fotografia, la fluorescenza, ecc.) al vettore forza elettrica.
La eliminazione di t dalle (1) porta all'equazione:
che è quella dell'ellisse (eventualmente ridotta a un cerchio o degenerata in un segmento) indicatrice dell'estremo del vettore X, Y applicato in O. Se la (2) è una vera ellisse la luce dicesi polarizzata ellitticamente e, a seconda del senso in cui gira sull'ellisse l'estremo del vettore, per chi riceve la luce stessa, dicesi polarizzata con giro sinistrorso (giro antiorario) o destrorso. Il rapporto degli assi principali dell'ellisse è dato dal rapporto delle radici dell'equazione in ρ, (1 − X02 ρ) (1 − Y02 ρ) + cos2 (ϕ − ψ) = 0 e l'angolo α di cui occorre far ruotare gli assi X, Y per portarli sugli assi principali dell'ellisse è dato dalla relazione:
tang2α = 2X0 Y0 cos (ϕ − ψ)/(Y02 − X02).
Se X0 = Y0, cioè se i due componenti hanno uguale ampiezza (e quindi uguale intensità) e ϕ − ψ è un multiplo dispari di π/2 l'ellisse si riduce al cerchio X2 + Y2 = X02; si dice allora che la luce è polarizzata circolarmente e al solito, a seconda del giro di percorso, essa è sinistrorsa o destrorsa. In questo caso ogni coppi di assi ortogonali passanti per O è di assi principali.
Se infine ϕ − ψ è zero o un multiplo pari di π, l'ellisse degenera nel segmento di retta [(X/X0) − (Y/Y0)]2 = 0 con X ≤ X0, Y ≤ Y0; se invece la stessa differenza è multipla di π secondo un numero dispari, l'ellisse degenera nel segmento [(X/X0) + (Y/Y0)]2 = 0, X ≤ X0, Y ≤ Y0, l'uno e l'altro contati due volte e percorsi pendolarmente avanti indietro; essi fanno rispettivamente con l'asse X l'angolo ± arc tang (Y0/X0). In questo caso la luce si dice polarizzata rettilineamente e come piano di polarizzazione si assume quello passante per Z e perpendicolare al vettore luminoso. La considerazione della luce polarizzata rettilineamente permette palesemente, dalle (1), di considerare in infiniti modi, sia la luce ellittica sia quella circolare come risultante di due componenti polarizzate rettilineamente e fra loro ortogonali; ma questa riduzione, mentre per la luce ellittica può farsi in una e in una sola maniera se la differenza di fase dei due componenti deve risultare ±π/2 (il segno dipendentemente dal giro), e ciò perché una e una sola è la coppia degli assi principali di un'ellisse, invece per la luce circolare, comunque la stessa riduzione si faccia, la differenza di fase è sempre ± π/2 e ciò perché ogni coppia di diametri ortogonali passanti per O è di assi principali. È evidente che la simmetria intorno a Z, che il raggio luminoso possiede nel punto O considerato, è quella inerente all'ellisse indicatrice del vettore luminoso.
3. Se, come avviene nel vuoto e in generale nei mezzi omogenei isotropi, il piano di vibrazione si mantiene immutato lungo la direzione di propagazione, le equazioni (1) diventano agevolmente le equazioni del raggio, relative alle due componenti, ragguagliando le fasi ϕ, ψ in lunghezze d'onda, cioè ponendo:
dove v è la velocità di propagazione e ϕ0, ψ0, vo sono le costanti di fase relative all'origine dei tempi. In questo caso la differenza di fase ϕ − ψ si conserva inalterata lungo tutto il raggio e quindi la luce mantiene inalterati lungo il percorso il tipo di polarizzazione, la direzione degli assi principali e, se non v'è variazione d'intensità, anche la lunghezza degli assi. Le condizioni di simmetria rimangono pertanto inalterate. Se invece il mezzo è anisotropo, ad es., un cristallo birifrangente, le cose si complicano: esistono allora sempre in generale per ogni direzione di propagazione due piani privilegiati tali che luce polarizzata rettilineamente secondo essi si propaga mantenendosi polarizzata rettilineamente e in generale nello stesso piano, ma la velocità di propagazione è diversa per i due stati di polarizzazione. Le equazioni del raggio potranno allora scriversi come precedentemente, purché, per i piani di vibrazione XZ, YZ si prendano quelli privilegiati del cristallo e a v si sostituiscano le due velocità v1, v2 di propagazione inerenti a detti piani; in questo caso la differenza di fase:
varia con Z e quindi lungo il percorso la luce cambia generalmente tipo di polarizzazione passando essa gradualmente e periodicamente dal rettilineo all'ellittico (eventualmente al circolare) destrorso, dall'ellittico destrorso al rettilineo (in direzione incrociata, non ortogonale in generale, con la precedente rettilinea) indi all'ellittico sinistrorso, poi nuovamente al rettilineo (in direzione parallela all'antiprecedente) e così via. Questa periodicità ha luogo per tratti z0 = τ/[(1/v1) − (1/v2)] cioè indicando con n1, n2 gli indici di rifrazione e con λ la lunghezza d'onda nel vuoto: z0 = λ/(n1 − n2).
Vi sono però casi e di sostanze omogenee isotrope (ad es., soluzioni attive di zuccheri) e di sostanze omogenee anisotrope che dànno luogo a doppia rifrazione (come il quarzo, ad es.), e, infine, di sostanze naturalmente isotrope, rese anisotrope per l'azione di campi magnetici, ecc., nei quali il piano di vibrazione non possiede in generale carattere conservativo lungo la propagazione, ma ruota proporzionalmente al percorso con determinato giro, caratteristico della sostanza in esame, dipendente dalla frequenza, dalle condizioni magnetiche, ecc.; si ha allora la polarizzazione rotatoria, detta destrorsa o sinistrorsa a seconda del giro di rotazione osservato da chi riceva la luce nell'occhio e che spesso si complica (come nel quarzo) con fenomeni di birifrangenza.
4. Il fatto che il vettore luminoso è normale alla direzione di propagazione obbliga palesemente, per potere osservare fenomeni interferenziali in senso stretto, cioè estinzione permanente di luce per sovrapposizione di due fasci luminosi, che in ogni istante i vettori luminosi dei due fasci siano contrarî fra loro. Di qui in particolare la necessità che il tipo di polarizzazione sia il medesimo perché fasci polarizzati possano interferire fra loro: luce polarizzata rettilinea con luce polarizzata rettilinea d'uguale ampiezza, stesso piano di vibrazione e differenza di fase multipla di secondo un numero dispari; luce circolare con luce circolare di uguale giro, di uguale ampiezza e, nel giro, con differenza di fase multipla di π secondo un numero dispari; luce ellittica con luce ellittica di ugual giro, di uguali ampiezze e orientazione degli assi e, nel giro, differenza di fase multipla di secondo un numero dispari, ecc. Nella teoria elettromagnetica dove i vettori sono inscindibilmente due, l'elettrico e il magnetico ortogonali fra loro, possono darsi casi (es., esperimento di Wiener) in cui il fenomeno interferenziale in senso stretto ha luogo per uno dei due vettori e non per l'altro.
5. La luce non polarizzata; naturale, che presenta cioè caratteri di simmetria cilindrica (completa) intorno all'asse di propagazione, sicché nessun piano passante per questo è privilegiato, si suole interpretare come prodotta da luce ellittica in cui forma, orientamento e giro dell'ellisse variano rapidamente, forse casualmente con uniforme ripartizione statistica intorno alla direzione di propagazione (simmetria cilindrica statistica, quindi). Il comportamento è certo legato all'organizzazione dell'onda, come complesso delle onde elementari dei varî centri emittenti; comunque, esperimenti interferenziali ottenuti con luce naturale e con grande differenza di cammino ottico (centinaia di migliaia di lunghezze d'onda) mostrano che lo stato di polarizzazione si mantiene inalterato durante centinaia di migliaia di periodi (durate, cioè dell'ordine di 10-9, 10-10 sec.); è verosimile quindi supporre che i cambiamenti di forma, orientamento, giro, ecc., dell'ellisse luminosa siano estremamente frequenti se riferiti a durate usuali di tempo, ma estremamente lenti se riferiti al periodo proprio della luce.
Infine si dà spesso anche il caso di luce polarizzata sovrapposta a luce naturale non polarizzata; si suole allora parlare dell'aliquota (in energia) della luce polarizzata, di quella non polarizzata, ecc.
6. Si può dire che ogni accidente, riflessione, birifrangenza, rifrazione normale, diffrazione, diffusione, ecc., subito dalla luce porta a polarizzazione parziale o totale della luce stessa. Si profitta sopra tutto dei primi due fenomeni, riflessione e birifrangenza, per costruire apparecchi atti a dare e a studiare luce polarizzata. Abbiamo già accennato che Malus trovò che un raggio di luce riflesso sull'acqua o sul vetro acquista, quando l'incidenza ha un particolare determinato valore, il medesimo comportamento che se emergesse da un cristallo birifrangente opportunamente orientato. Più precisamente, e più in generale per qualunque sostanza omogenea isotropa, perché ciò avvenga, l'incidenza deve essere tale che il raggio riflesso sia normale al rifratto; condizione questa, detta di Brewster, la quale, se la luce incidente non è monocromatica, non può, causa la dispersione della sostanza usata come specchio, venire soddisfatta che, volta per volta, per una sola frequenza. Con il soddisfare alla condizione di Brewster si realizza nel raggio riflesso luce polarizzata rettilinea. Se luce polarizzata brewsterianamente si analizza, cioè si osserva con un altro specchio simile a quello polarizzante, posto sotto l'incidenza brewsteriana, si riconosce agevolmente che la luce biriflessa è massima se i piani d'incidenza dei due specchi coincidono ed è estinta completamente se essi sono perpendicolari. Ora, sia la teoria elettromagnetica di questo comportamento, sia l'identico fenomeno realizzabile con le onde hertziane, nelle quali è possibile direttamente, dalla forma e posizione dell'oscillatore, determinare i piani di vibrazione dei vettori elettrico e magnetico, permettono di stabilire che, per l'incidenza brewsteriana, la polarizzazione è totalmente rettilinea e che nel raggio riflesso il vettore magnetico giace nel piano d'incidenza, mentre quello elettrico giace nel piano normale. Questo risultato è da mettersi in relazione con quello che si ricava dal ricordato esperimento interferenziale di Wiener: in esso i fasci che debbono interferire sono l'uno un fascio piano incidente a 45° sopra uno specchio piano e l'altro il fascio riflesso; in queste condizioni non possono palesemente interferire del tutto che vettori normali al piano d'incidenza; di qui l'impossibilità sopra accennata d'interferenza simultanea e totale dei due vettori elettrici e magnetici. Ora l'esperimento mostra che le frange hanno luogo se la luce incidente è polarizzata nel piano d'incidenza, non hanno luogo se la luce è polarizzata nel piano normale; di qui si può concludere che come vettore luminoso deve esser preso quello elettrico.
Uno specchio di vetro, ad es., usato sotto l'incidenza brewsteriana può dunque servire e come polarizzatore e come analizzatore; come tale esso permette di riconoscere agevolmente la luce polarizzata rettilineamente e individuare i piani di polarizzazione e di vibrazione. Naturalmente sono soprattutto le condizioni di estinzione quelle che, più particolarmente visibili per l'occhio, servono meglio all'analisi. Se l'incidenza non è rigorosamente brewsteriana, la luce non è totalmente estinta dallo specchio analizzatore. Nella rifrazione attraverso un cristallo birifrangente i due raggi sono, come è facile riconoscere con lo specchio analizzatore applicato alla luce emergente, polarizzati rettilineamente in piani normali fra loro, dei quali la giacitura dipende dall'orientazione e giacitura degli elementi di simmetria posseduti dal cristallo; questi due piani sono quelli privilegiati dei quali si parla al paragrafo 3. In un cristallo uniasse (calcite, ad es.), nel quale non vi siano complicazioni dovute a polarizzazione rotatoria (come avviene nel quarzo), o per lo meno, nelle direzioni nelle quali queste complicazioni non hanno luogo (normalmente all'asse principale nel caso del quarzo), uno dei piani, detto ordinario, è il piano passante per il raggio parallelamente all'asse principale del cristallo, l'altro il piano normale al primo; il primo corrisponde al raggio ordinario, l'altro allo straordinario dell'ottica cristallina. Poiché la giacitura dei piani di polarizzazione è indipendente dalla frequenza della luce, i fenomeni di rifrazione cristallina hanno il vantaggio su quelli di riflessione di dare raggi polarizzati totalmente e rettilineamente, qualunque sia la frequenza. Estinguendo quindi, con ovvio accorgimento sperimentale, uno dei due fasci emergenti dal cristallo, si ricava un polarizzatore rettilineo, e quindi anche un analizzatore, più luminoso e più comodo in generale, di quello a specchio. Su tale principio sono costruiti tutti i polarizzatori-analizzatori cristallini che si usano in scienza e dei quali il prototipo è il classico prisma di Nicol (v.).
Se i due fasci ottenuti per birifrangenza da un cristallo sono sovrapposti, la luce risultante emerge dal cristallo stesso, in generale, polarizzata ellitticamente. In questo caso o, più in generale, in tutti i casi di luce ellittica, l'analisi si riduce agevolmente a quella della luce polarizzata rettilineamente. Per ottenere ciò, la luce in esame vien fatta passare, in generale sotto incidenza normale, attraverso ad una lamina cristallina (ad es. di calcite, quarzo, ecc.), a facce parallele (e generalmente parallele all'asse) e di tale grossezza da interporre fra i due raggi, cui essa per birifrangenza dà origine e per la frequenza considerata, una differenza di fase di π/2; una lamina siffatta si dice quarto d'onda per la frequenza o per la lunghezza d'onda considerata. Essa presenta due piani privilegiati di vibrazione, che sono i due piani di polarizzazione relativi ai due raggi, cui per birifrangenza la lamina dà luogo; essi sono distinti fra loro, corrispondendo a valori diversi dell'indice di rifrazione. Se la lamina è ricavata da un cristallo uniasse, i due piani privilegiati sono la proiezione ortogonale sulle facce dell'asse principale e la direzione ad esso ortogonale. Se si fa ruotare la lamina nel suo piano, sì da far coincidere le direzioni privilegiate con gli assi principali dell'ellisse luminosa relativa alla luce in esame, la luce emergente dalla lamina si riduce allora, e allora solo, a luce polarizzata rettilineamente e quindi può essere analizzata, ad es., con un nicol portato all'estinzione. Il metodo a rigore non è acromatico e per ogni lunghezza d'onda occorre sempre la lamina quarto d'onda corrispondente. La condizione di parallelismo fra direzioni privilegiate della lamina e assi dell'ellisse luminosa si rintraccia per tentativi, dando alla lamina posizioni successive ottenute col farla ruotare intorno alla direzione di propagazione e cercando per ogni posizione, se e quando è possibile raggiungere l'estinzione col nicol. Questa raggiunta, le direzioni privilegiate dànno la direzione degli assi dell'ellisse ed è possibile inoltre riconoscere dai valori degl'indici relativi alle due direzioni e dalle loro posizioni quale sia l'asse maggiore e quale il minore e il giro sull'ellisse. Analogamente può analizzarsi la luce circolare, nel qual caso, qualunque sia la posizione della lamina intorno alla direzione di propagazione, l'estinzione è sempre raggiungibile.
L'uso della lamina quarto d'onda non solo è vantaggioso nell'analisi di luce polarizzata circolare e ellittica, ma anche nell'ottenimento di luce circolare o ellittica di dato rapporto d'intensità delle due componenti principali e di dato orientamento degli assi. Basta per questo invertire il percorso della luce nelle disposizioni precedenti: all'uscita dalla lamina la luce proveniente dal nicol è, a seconda della posizione reciproca dei piani di polarizzazione del nicol e dei piani privilegiati della lamina, polarizzata ellitticamente, circolarmente, ecc.
Queste varie disposizioni dipendono dalla lunghezza d'onda della luce incidente, ma esistono altri accorgimenti sperimentali che hanno carattere acromatico o quasi acromatico.
Infine anche lo studio della polarizzazione rotatoria può essere ricondotto a quello della polarizzazione rettilinea: basta a tale scopo fare attraversare la sostanza in esame (supponiamo che essa non presenti fenomeni di birifrangenza) da luce polarizzata rettilineamente, con un nicol, ad es., ed esaminare la luce emergente con un altro nicol in modo da raggiungere l'estinzione. Sia α l'angolo che, all'estinzione, il piano di polarizzazione dell'analizzatore fa con quello del polarizzatore, angolo riferito, per quello che riguarda il segno, al solito giro antiorario, per un osservatore che riceva la luce nell'occhio, e preso in valore assoluto 〈 π. La differenza π/2 - a dà palesemente, salvo multipli positivi o negativi di π, l'angolo di cui è ruotato il piano di polarizzazione. Per togliere l'indeterminazione dei multipli di π, la quale nasconde anche il giro di rotazione, occorre potere incrementare in qualche modo di pochissimo la lunghezza del percorso sì da osservare in che senso e di quanto deve esser ruotato il nicol per mantenere l'estinzione.
Un complesso analizzatore per polarizzazione rotatoria, come sopra è stato schematizzato, non è molto sensibile, ma esistono molte disposizioni più complesse nelle quali la sensibilità è assai spinta (fino all'ordine di 10-15 sec. d'arco). Poiché la rotazione, come abbiamo già detto, è caratteristica della sostanza, la determinazione del potere rotatorio, cioè dell'angolo di rotazione per unità di lunghezza del percorso, può servire al riconoscimento delle sostanze, della loro purezza, della loro concentrazione se disciolte, ecc.
Ricordiamo infine come, per riconoscere rapidamente se una luce in esame sia polarizzata o contenga almeno una certa aliquota di luce polarizzata, siano state escogitate varie e semplici disposizioni, sì da realizzare dei cannocchialetti nei quali l'apparizione di frange o di particolari giuochi di colori o d'ombre è indice dell'esistenza di luce polarizzata.
7. Troppo in lungo porterebbe anche il semplice accemo alle modalità di polarizzazione per rifrazione normale, riflessione metallica, diffusione, ecc.; converrà invece accennare che non solo nella riflessione, rifrazione, diffusione, ecc., si ha produzione di luce più o meno polarizzata, ma anche, in generale, nella stessa emissione luminosa, sia questa spettroscopicamente discontinua o continua e abbia origine o no di pura incandescenza. Luce polarizzata dei varî tipi si ha nell'effetto Zeeman, in quello Stark, nei metalli incandescenti osservati in direzione obliqua alla superficie, nella luce delle stelle, ecc.
Infine ricorderemo che anche per lo stato di polarizzazione vale la legge di Kirchhoff sulle relazioni tra potere emissivo e assorbente; ad es., la tormalina, la quale gode della proprietà di assorbire luce che sia polarizzata rettilineamente nel piano principale, emette se riscaldata, radiazioni polarizzate nello stesso piano, ecc. Soltanto il corpo nero emette sempre rigorosamente, per qualunque frequenza e temperatura, luce naturale, cioè completamente esente da qualsiasi polarizzazione.