POGGI LA CECILIA, Giuseppe
POGGI LA CECILIA, Giuseppe. – Nacque a Piozzano, vicino Piacenza, il 20 agosto 1761 da Ignazio e da Caterina Arcelli. Di famiglia nobile, benché solo benestante, venne avviato agli studi nel collegio Alberoni di Piacenza, da dove si portò poi a Parma per studiare diritto. Da lì passò a Roma per approfondire gli studi di teologia, che si conclusero nel 1785 con il conferimento del suddiaconato. Agli anni trascorsi a Roma sono riconducibili le frequentazioni con il vescovo giansenista di Pistoia, Scipione de’ Ricci, del quale fu per qualche tempo ospite giusto all’indomani del sinodo con cui l’alto prelato aveva inutilmente tentato di fondare una Chiesa nazionale nel Granducato di Toscana. Proprio la polemica contro la tirannide della Curia romana suggerì a Poggi la stampa, tra il 1789 e il 1790, di due opuscoli che tutto dicono di quanto i suoi rapporti con la Chiesa fossero ormai deteriorati. Nel frattempo era stato ammesso nel Collegio dei dottori di Parma, ma preferì presto il mero diletto degli studi, coltivando interessi eruditi che si tradussero in numerosi lavori di antiquaria. Sembra che molto desiderasse ottenere una cattedra a Pavia, ma sempre i contrasti con le autorità ecclesiastiche impedirono a quei desideri di prendere forma.
Nel 1796, al momento dell’arrivo di Bonaparte in Italia, Poggi se ne mostrò subito entusiasta: l’avventura del generale corso gli sembrò liberare la penisola dal giogo ecclesiastico al quale solo le opprimenti convenzioni di antico regime lo avevano trascinato. Nonostante l’armistizio del maggio 1796 tra il duca di Parma e Bonaparte, Poggi, fattosi subito chiamare Bruto, tentò di organizzare un’insurrezione che offrisse il pretesto alle truppe francesi per intervenire a Piacenza. Nel mese di novembre, però, la firma del trattato di pace lo privò dei necessari appoggi tra gli inviati di Bonaparte e lo costrinse a riparare a Milano. Nel capoluogo lombardo, dove arrivò sul finire del 1796, Poggi, che per l’occasione aggiunse al soprannome di Bruto pure quello di Giunio, collaborò al Termometro politico e al Giornale popolare della Società di pubblica istruzione, delle cui adunanze divenne un assiduo frequentatore nonché un apprezzato oratore.
La sua linea politica, pur conoscendo aggiustamenti a seconda del ritmo vorticoso della rivoluzione, fu subito chiara: il pieno sostegno all’invasione liberatrice di Bonaparte dettò una grande fiducia nel rinnovamento civile della penisola, che si tradusse presto nella scoperta di una questione nazionale italiana; da qui i propositi, sempre più pronunciati, di un naturale ampliamento della nuova Repubblica all’Italia tutta, ma anche la drammatica percezione che al riguardo molto restasse da fare, perché le collettività erano diffidenti verso il nuovo ordine. Per questo motivo Poggi decise di pubblicare, ormai a mezzo 1797, il Repubblicano evangelico, un’opera composta l’anno precedente a Piacenza, dove declinò il ben noto tema della necessità di un ritorno alle origini del cristianesimo nel nuovo quadro politico-culturale dischiuso dall’arrivo dei francesi. Il titolo non tragga però in inganno: con quelle pagine Poggi non volle certo addentrarsi nelle dispute circa la creazione di una nuova religiosità di stampo rivoluzionario, perché solo reclamò – nel quadro di una sostanziale indifferenza al tema – la piena subordinazione del clero al potere civile quale presupposto per un duraturo consenso al nuovo ordine. Per questo motivo il governo della Repubblica Cisalpina (costituitasi nel luglio del 1797) gli affidò la cura dell’Estensore cisalpino, un foglio chiamato a svolgere le funzioni di organo ufficioso del nuovo ordine. Il giornale si interruppe già agli inizi del 1798, ma Poggi, confermando di essere direttamente coinvolto nella politica di governo, venne presto inviato in missione nei dipartimenti del Basso Po, del Mincio e del Benaco, con l’incarico di formare lo spirito pubblico: egli scelse la via di aprire dei circoli costituzionali, nelle cui adunanze mai mancò di tornare a parlare di politica religiosa per dimostrare, una volta di più, come il cristianesimo in nulla contraddicesse i valori della Repubblica e quanto i ministri del culto dovessero collaborare con le nuove autorità repubblicane.
Proprio il forte impegno a favore della costituzione cisalpina portò però Poggi, che pure dall’esempio francese mai avrebbe deflesso, a scontrarsi con l’ambasciatore transalpino Charles-Joseph Trouvé quando questi, nell’estate del 1798, impose una revisione del testo che limitava la sovranità della giovane Repubblica. Per questo motivo egli plaudì in ottobre all’intervento del nuovo ambasciatore Joseph Fouché, che rovesciò l’esecutivo voluto da Trouvé per sostituirlo con esponenti della parte avversa e si oppose a un altro colpo di Stato ancora, mediante il quale, nel dicembre del 1798, il nuovo rappresentante francese François Rivaud tentò di porre fine alla lotta politica in seno alla Cisalpina. Di lì a breve, non di meno, la Cisalpina rimase travolta, nell’aprile del 1799, dall’offensiva austro-russa e a Poggi restò solo la via della fuga in Francia.
A Parigi, dove fu costretto a vivere di sussidio, chiese al papa Pio VI di essere dispensato dai voti (debolezza della quale sembra avesse poi a pentirsi) e si schierò con i patrioti radicali, che nel luglio 1799 perorarono presso il governo francese la causa di una sola repubblica in Italia e nel febbraio del 1800 chiesero a Bonaparte, nel frattempo divenuto primo console, di attraversare nuovamente le Alpi. Tuttavia, Poggi non lo seguì quando questi, nei mesi immediatamente successivi, dette prova di esaudire i loro voti: anzi, non fece mai più ritorno in Italia, convinto che nella capitale francese fossero tutti gli spazi per restituirsi con successo alla professione del letterato. Egli scrisse nei principali fogli parigini di chimica, di storia naturale e di economia politica, senza tralasciare la pista del giornalismo, perché fu tra i redattori, tra il 1803 e il 1804, di un settimanale, La Domenica, che si prefiggeva di portare a conoscenza del pubblico francese i modelli culturali italiani. Nel frattempo, l’annessione di Parma alla Francia gli consentì di tornare in gioco anche sul versante pubblico, perché della sua terra rappresentò spesso gli interessi a Parigi sino a divenire, a far data dal 1808, deputato nel corpo legislativo francese del Dipartimento del Taro (questo era il nome dell’antico ducato dopo l’annessione all’Impero).
Né le sue fortune si interruppero alla caduta di Napoleone: dopo aver ottenuto con abile manovra finanziaria una cospicua rendita, Poggi fu designato consigliere di Stato del ricostituito ducato e in qualità di incaricato d’affari a Parigi avviò un contenzioso con la Francia perché restituisse a Parma il patrimonio artistico requisito a seguito delle campagne di Bonaparte. Al tempo stesso, nella quiete della Restaurazione, non mancò di tener fermo sull’impegno culturale e cercò di inserirsi negli spazi nel frattempo dischiusisi al mercato editoriale: nella difesa della tradizione classica italiana ebbe come alleato Carlo Botta, che nel 1823 aiutò a pubblicare la sua storia d’Italia in età napoleonica tramite un congruo finanziamento in cambio della cessione dei diritti per la traduzione in francese. Né l’interesse per gli studi letterari, intervallato da altri scritti di carattere propriamente scientifico, venne meno nei molti anni successivi: ritiratosi in una villa nella vallata di Montmorency, l’ottuagenario Poggi stava dilettandosi in versi sull’elettromagnetismo, che vennero poi pubblicati dall’amico Benedetto Mojon, quando la morte lo colse il 19 febbraio 1842.
Opere. Emende sincere di un chierico lombardo, Firenze 1789; Lettere traspadane di fra’ Colombano, Pavia 1790; Discorso apologetico della Società di pubblica istruzione di Milano contro la lettera del 19 germile del Cittadino Arcivescovo Visconti, s.n.t. [Milano 1797]; Discorso… sul carattere della rivoluzione d’Insubria e d’Emilia, s.n.t. [Milano 1797]; Il Repubblicano evangelico, Milano 1797; Testura di un discorso sulla causa della libertà, s.n.t. [Milano 1797]; Discorso sulla rigenerazione di Genova, s.l. [Milano] 1797; Cenni pel ricevimento solenne del cittadino Trouvé primo ambasciatore della Repubblica francese presso la Repubblica Cisalpina, Milano [1798]; Istruzione famigliare ai cattolici in forma di dialogo, s.l. 1798; Per la festa della riconoscenza cisalpina verso la Repubblica Francese, s.n.t. [Milano 1798].
Fonti e Bibl.: G. Forlini, Spigolature da un carteggio inedito. Le lettere di Giuseppe Poggi a Corrado Marazzani, in Bollettino storico piacentino, LXXXI (1986), 1, pp. 96-103; I. Spadolini, Un inedito di Giuseppe Poggi, in Rassegna storica toscana, XXXVI (1990), pp. 253-268.
B. Mojon, Cenni biografici sopra il cavaliere Giuseppe de’ Poggi, in Frammenti d’un poema intitolato ‘Della Natura delle cose’. Opera postuma del cav. Poggi, Parigi 1843; E. Rota, Giuseppe Poggi e la formazione psicologica del patriota moderno, Milano 1923; E. Codignola, Giuseppe Poggi è stato giansenista?, in Civiltà moderna, XIV (1940), pp. 365-397, poi ristampato in Id., Illuministi, giansenisti e giacobini nell’Italia del Settecento, Firenze 1947, pp. 167-178; S. Canzio, I giornali di Giuseppe Poggi e il problema religioso nella Cisalpina, in Id., La prima Repubblica Cisalpina e il sentimento nazionale italiano, Modena 1944; A. Arisi Rota, ‘La Domenica’: un giornale italiano nella Parigi tardo consolare, in Rassegna storica del Risorgimento, LXXXIII (1996), 1, pp. 17-28; C. Tosi, Un patriota gradualista. Giuseppe Bruto Giunio Poggi nel Triennio giacobino (1796-1799), in Giacobini e pubblica opinione nel ducato di Piacenza, a cura di C. Capra, Piacenza 1998, pp. 191-253; M. Tatti, Bohème letteraria italiana a Parigi all’inizio dell’Ottocento, in Italia e Italie. Immagini tra rivoluzione e Restaurazione, a cura di M. Tatti, Roma 1999, pp. 139-160; V. Criscuolo, Albori di democrazia nell’Italia in rivoluzione (1792-1802), Milano 2006.