sepolcrale, poesia Gruppo di opere composte nel 18° sec. e all’inizio del 19° nelle quali le meditazioni ispirate dalle sepolture hanno una parte prevalente ed essenziale. Questa poesia si ricollega e talora si confonde con quella della notte e delle rovine e con la stessa poesia ossianica, e attesta nel 18° sec. l’aspirazione preromantica a una poesia più intima di quella classicistica, anche se vi è in essa, molto spesso, l’ostentazione del sentimento e l’insistenza su immagini di facile effetto. In tale poesia e nel singolare favore con cui fu accolta è dato cogliere alcune manifestazioni caratteristiche del secolo: da una parte il soffermarsi con compiacimento sul pensiero della morte; dall’altra il celebrare il sepolcro come consacrazione di virtù civili e politiche.
Inglesi e protestanti sono le opere che inaugurano il genere: Night-piece on death (1712-13) di T. Parnell, The grave (1743) di R. Blair, e soprattutto Night thoughts (1742-45) di E. Young, Meditations among the tombs (1748) di J. Hervey e Elegy written in a country churchyard (1750) di T. Gray. Tali opere, di cui si ebbero presto numerose traduzioni, ispirarono un’abbondante produzione nella seconda metà del 18° sec., per es. in Germania. Non meno vivo fu il successo in Francia e in Italia, dove peraltro la suggestione di tale poesia è attestata dallo spazio che scene sepolcrali e paesaggi funebri occupano nei romanzi, nelle liriche, in saggi d’argomento vario: una menzione a parte meritano Le notti romane di A. Verri (1792; 1804), che inquadrano in una cornice notturna e sepolcrale meditazioni e discussioni storiche.
Un nuovo impulso al genere fu dato dalla Rivoluzione francese, che da una parte, criticando le credenze tradizionali, provocò reazioni sentimentali in favore del culto dei morti, e dall’altra favorì il sorgere di un culto laico dei benemeriti della nazione. Un’eco di questi sentimenti si avverte nei Cimiteri, poema interrotto di I. Pindemonte, e nella sua epistola I Sepolcri. L’influenza di tale poesia su U. Foscolo traspare nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1798-1802), forse più scopertamente che nel carme Dei sepolcri (1807), con il quale si può considerare chiusa la storia di quella maniera poetica.