POENINUS (Phoeninus-Pvoninus)
Divinità celtica, venerata dalle popolazioni dei Nantuati, Veragri e Seduni come dio protettore del valico del Gran San Bernardo (Liv., xxi, 38, 9). Dopo la conquista romana, attraverso l'abituale processo di interpretatio Romana delle divinità indigene, entrò a far parte del pantheon dell'urbe, con il nome di Iuppiter Poeninus; restò inalterato, però, il suo carattere di dio della montagna, al quale erano offerti sacrifici pro itu et pro reditu.
Nella zona detta Plan de Joux o Plan de Iupiter (m 2473 s. m.), sul passo del Gran San Bernardo, scavi condotti nella seconda metà del sec. XVIII permisero di individuare in quell'area l'antico santuario del dio P.: vennero infatti alla luce monete, iscrizioni su pietra e su tavolette di metallo, oggetti votivi varî per foggia ed età; alla fine del secolo scorso, fra il 1890 ed il 1894, regolari campagne di scavo completarono, con risultati interessanti, la perlustrazione del tèmenos.
L'altare preromano, che doveva essere l'unico monumento del santuario celtico, presumibilmente un altare rupestre, fu localizzato con discreta sicurezza grazie ad una grande quantità di monete celtiche e di iscrizioni su pietra e su tavolette bronzee che indicano la divinità col solo nome di Poeninus. Non lontano da questo più antico luogo di culto, e precisamente proprio là dove la strada che sale dal versante italiano sbocca sul Plan de Joux (si ricordi che questa strada, romana, fu costruita fra la seconda metà del sec. I a. C. ed il regno di Claudio), vennero alla luce alcuni resti di un tempio, il più alto, sul livello del mare, del mondo romano, e di altri due edifici affrontati, un poco più a S rispetto al tempio, nei quali si deve presumere fosse la mansio romana. Caratteristica comune a tutti i fabbricati è l'assoluta assenza di mattoni: le fondazioni sono tagliate direttamente nella roccia, che anzi spesso servì da sostruzione e da base all'elevato, edificato in pietra locale e marmo: dovevano ricoprire gli ambienti dei larghissimi tegoloni, i bolli laterizi dei quali si ritrovano nelle costruzioni imperiali di Augusta Praetoria, e che furono rinvenuti in gran numero intorno alle pareti.
Il tempio è di età imperiale: né nelle fondazioni né nelle immediate vicinanze dell'edificio si sono rinvenute tracce del culto celtico di Poeninus. È un edificio in antis, con pronao e cella separati da un muro divisorio. Misura m 11,30 × 7,40; il pronao è di m 5,8o × 2,45. Non vi è traccia di colonne. Lo spessore medio delle pareti è m 0,90. Le altre costruzioni, senza dubbio pertinenti alla mansio, indicata nell'Itinerario Antoniniano e nella Tabula Peutingeriana, sembrano della stessa epoca. Le numerose monete (celtiche nei pressi del più antico centro di culto, romane nella zona del tempio), rappresentano il pedaggio simbolico offerto al dio; le monete romane vanno dall'epoca di Cesare a quella di Arcadio ed Onorio, con netta prevalenza di pezzi appartenenti alla dinastia giulio-claudia. Altri monumenti che servono a documentare l'importanza della strada e del valico come vie di transito e di commercio; sono le epigrafi e le tavolette. Sono, infine, da ricordare, fra i vari oggetti votivi rinvenuti; nello scavo e conservati al Museo dell'Ospizio, alcune figurette di animali e di divinità. Fra queste ultime, particolarmente notevoli tre pezzi, che permettono di conoscere l'iconografia della divinità del Gran San Bernardo. Si tratta di tre statuette in bronzo, di dimensioni assai ridotte ed in stato di conservazione generalmente discreto. La migliore delle tre (m 0,29, bronzo pieno), raffigura Iupiter Peoninus nell'abituale iconografia di Giove: nudo, stante, con lunghi capelli e barba, mano destra con fulmine e braccio sinistro levato, con scettro (gli attributi sono però perduti). Identica un'altra ancor più piccola statua bronzea, mutila e deteriorata, rinvenuta nella stessa campagna di scavo (1892). Un po' diverso appare il dio nel bronzetto, anch'esso piuttosto rovinato, che il canonico Murith riportò alla luce, durante il primo esperimento di scavo, nel 1764. La divinità, sempre stante, ha un manto piuttosto ampio sulle spalle, un'aquila nella mano destra e il braccio sinistro sollevato (mano e scettro mancano).
Alle invasioni barbariche del Medio Evo, al probabile reimpiego del materiale nella costruzione dell'Ospizio ed ai numerosissimi scavi clandestini, deve imputarsi la relativa scarsezza di documenti e la conseguente impossibilità di ulteriori precisazioni riguardo alla cronologia delle costruzioni, alla provenienza e tipo degli oggetti votivi ed all'eventuale evoluzione iconografica della divinità locale.
Bibl.: E. Ferrero, in Atti Reale Accad. Scienze, Torino 24, 1889, pp. 293 e 838 ss.; E. Ferrero, in Not. Scavi, 1890, pp. 273-294; 1891, pp. 75 ss.; 294 ss.; 1892, pp. 440 ss.; 64 ss.; 1894, pp. 33 ss.; v. bibl. precedente in nota e tavole relative al testo; M. Ihm, in Roscher, III, 2, 1909, col. 2593 ss., s. v.; V. Petrikowits, in Pauly-Wissowa, vol. XXI, 1951, col. 1155 ss., s. v. Poeninus, n. i; F. Stähelin, Die Schweiz in Röm. Zeit, Basilea 1931, II, p. 328 ss. Per le monete: v. F. von Duhn-E. Ferrero, in Mem. Reale Accad. Scienze di Torino, 41, 1891. Per le epigrafi: C.I.L., V, 6865 ss.; Inscriptiones Italiae, XI, I, I, 27 ss.