podestà (podesta; podestade; podestate; potestade; potestate)
La forma nominativale ‛ podesta ' (cfr. il provenzale podèsta), già usata prima di D. (v. Parodi, Lingua 247), si registra due volte in rima (If VI 96 e Fiore LVII 2); per le varie forme con dentale sorda o sonora, da vedere, relativamente alla Commedia, Petrocchi, Introduzione 445. Il termine, usato con frequenza, vale fondamentalmente " potenza ", " potere ", " dominio ": Rime XC 19 l'anima mia fu fatta ancella / de la tua podestà, di Amore (per cui v. anche Vn XIII 8 3); XCI 61 colei che m'ha in sua podestate; Pg XIX 135 conservo sono / teco e con li altri ad una podestate, " io e tu e tutti gli altri spiriti siamo nella stessa maniera servi di una sola autorità, quella di Dio " (Casini-Barbi); Fiore LVII 8 Piacesse a Dio ch'i' v'avesse... / in mia podesta!
Con riferimento all'influenza dei cieli sul mondo sublunare p. occorre in Cv II VI 10 [Venere] per la nobilità de li suoi movitori [Intelligenze motrici] è di tanta vertute, che ne le nostre anime e ne le altre nostre cose ha grandissima podestate, e VIII 5 [le Intelligenze del terzo cielo] esso [amore] trasmutano di quella parte che è fuori di loro podestate in quella che v'è dentro, cioè de l'anima partita d'esta vita in quella ch'è in essa. In III VIII 20 la sua bellezza ha podestade in rinnovare natura in coloro che la mirano, p. indica l'influenza rinnovatrice che la donna, col suo mirabile aspetto (VII 16), esercita sull'animo di chi la guarda.
Il termine ha il valore di " potere ", cioè " capacità ", " facoltà " o " possibilità di fare ", tutte le volte che occorre in contesti in cui si tratta del libero arbitrio, o, comunque, della libertà dell'uomo: Cv II I 7 l'anima... sia fatta santa e libera in sua potestate, diventi padrona di sé, riprenda il dominio di sé stessa e, con ciò, la libertà del volere; III XIV 9 Per donna gentile s'intende la nobile anima d'ingegno e libera ne la sua propia potestate, che è la ragione: ingegno e libertà di potere, come nota il Busnelli, sono le due facoltà dell'intelletto e della volontà, che affondano le radici nella razionalità che individua l'uomo in quanto tale (cfr. I 4 E avvegna che poca podestate io potesse avere di mio consiglio, cioè del libero giudizio della ragione; v. CONSIGLIO); III IV 6 l'uomo è degno di loda e di vituperio solo in quelle cose che sono in sua podestà di fare o di non fare; ma in quella ne le quali non ha podestà non merita né vituperio né loda, e 7 non fu in sua podestà farsi bello; IV XVII 2 le morali veriudi... da ogni canto sono in nostra podestate, " dipendono da noi " (si noti, in questi ultimi esempi, il sintagma essere ‛ in p. '); Pg XVIII 72 poniam che di necessitate / surga ogne amor che dentro a voi s'accende, / di ritenerlo è in voi la podestate, " avete... la facoltà di accoglierlo o di respingerlo, secondo il consiglio della ragione " (Sapegno); Pd XXXI 87 Tu m'hai di servo tratto a libertate / per tutte quelle vie, per tutt'i modi / che di ciò fare avei la potestate.
Personificato: If III 5 fecemi la divina potestate, / la somma sapïenza e 'l primo amore (scritto sulla porta dell'Inferno), cioè " Iddio Padre, al quale è attribuita ogni potenza ", mentre la somma sapienza è " il Figliuolo, il quale è sapienza del Padre ", e il primo amore è " lo Spirito Santo, il quale è perfettissima carità egualmente moventesi dal Padre e dal Figliuolo " (Boccaccio; cfr. Cv II V 8 la potenza somma del Padre… la somma sapienza del Figliuolo... la somma e ferventissima caritade de lo Spirito Santo).
In If VI 96 quando verrà la nimica podesta, p. designa " Cristo, lo quale come iudice con somma podestà verrà a dare l'ultimo iudicio, lo quale fia nimico et odioso a' dannati " (Buti, e così il Boccaccio; quindi Landino, Vellutello, Lombardi, ecc.); resta dubbio se D. abbia usato il vocabolo nel senso astratto, ma comunque personificato, di " potere ", " potenza ", ovvero in quello di " magistrato " giudicante (" al tempo di Dante si diceva più comunemente la podestà e messer la podestà che non il podestà ", Barbi, Problemi I 238; v. anche Del Lungo): questa seconda ipotesi è difesa appunto dal Barbi, seguito, fra gli altri, da Scartazzini-Vandelli, e per essa propende anche il Sapegno (D. ha " in mente la figura del Cristo giudice "); mentre il Porena giudica " più dignitoso " il primo significato, che anche il Mattalia preferisce, in quanto " renderebbe più vivamente la terrificante apparizione del Dio onnipotente e giustiziere ".