POCOLA (pocolom, poculum)
Si indica col nome di p. un gruppo di vasi a vernice nera con decorazione policroma sopraddipinta, prodotti nel Lazio nella prima metà del III sec. a. C.: la maggior parte degli esemplari porta infatti dipinta un'iscrizione in latino arcaico, dove la parola pocolom è preceduta da un nome di divinità al genitivo. Negli scrittori latini, poculum significa una tazza per bere (Verg., Eclog., iii, 44; Horat., Sat., i, 6, 116, ecc.) ma l'iscrizione si trova tanto su ciotole che su piccole brocche, e pertanto non identifica in questo caso una forma particolare di vaso.
Il gruppo dei p. sinora noti comprende una ventina di vasi, coppe emisferiche profonde, senza manici, οινοchòai con orlo piano, non trilobate, e corpo sommariamente baccellato, un piatto. Mentre le oinochòai, rappresentate da frammenti o mal note da disegni, pare che non abbiano avuto una decorazione dipinta, le coppe presentano all'interno una figura, per solito un erote, eccezionalmente Hermes od una testa di donna (v. belola); sul piatto c'è la singolare riproduzione di un elefante da guerra, certamente una delle più antiche nel mondo occidentale. I colori usati per la pittura sono bianco, giallobruno e rosso, piuttosto densi e brillanti, applicati a macchia sulla vernice nera. Il tondo figurato è contornato da una fascia di color rosso vivo, compresa a sua volta tra due cerchi bianchi e circondata da un giro di foglie d'edera.
I p. sono un gruppo unitario, certamente di una stessa fabbrica: il Beazley ha riconosciuto la medesima mano in almeno dieci coppe e nel piatto con l'elefante (Gruppo di Volcanus). La localizzazione di questa fabbrica è incerta, ma i principali luoghi di ritrovamento dei vasi: Vulci, Orte, Roma, Capena, Tarquinia, Lanuvio, fanno pensare ad un centro dell'Etruria meridionale o del Lazio. La presenza di iscrizioni latine e la provenienza di due esemplari da Roma, danno fondamento all'ipotesi che i p. fossero fabbricati nella città stessa (Bianchi Bandinelli, Scott Ryberg, Walters); a Roma si potrebbe anche giustificare la straordinaria varietà di culti attestata dalle dediche: Asklepios, Hermes (la coppa con Hermes è però anepigrafe), Giunone, Minerva, Venere, Vulcano, Vesta, Saturno, Salus, Cura, Laverna, Aequitas, Fortuna, Bellona. La destinazione votiva dei p. è confermata dalla presenza di fori per la sospensione dei vasi e dal fatto che le coppe sono decorate all'interno con colori non molto stabili: non si tratta di ceramica d'uso corrente, ma di oggetti decorativi da appendere alle pareti. Da questo punto di vista, i p. rappresentano l'imitazione più modesta di quei veri e proprî "tondi" dipinti che sono le coppe del Gruppo detto di Hesse. Anche queste provengono dall'Etruria meridionale, ma imitano vasi metallici diffusi nel mondo greco per tutta la seconda metà del IV sec. a. C. I p. sono invece legati alla ceramica etrusco-laziale anche per la forma schiettamente figulina della ciotola, e ciò rende più difficile la loro datazione. La dipendenza dalle coppe di Hesse, che si possono con sicurezza riferire all'inizio del III sec., ed i confronti con le anfore volterrane del periodo detto "grottesco" (280-250 a. C.) suggeriscono però una datazione alla prima metà del III sec. (Bianchi Bandinelli, Beazley) che è confermata da considerazioni di carattere epigrafico e filologico (Lommatzsch, Warmington).
Di minor consistenza è forse l'argomento della presenza di un elefante da guerra come motivo decorativo sul piatto di Capena, che pure è stata messa in relazione con la campagna di Pirro in Italia (272-270 a. C.) o con la prima guerra punica (264-241 a. C.). I Cartaginesi adoperavano infatti elefanti africani dalle grandi orecchie, com'è ben documentato dalle riproduzioni su monete puniche, mentre nel piatto è riconoscibile un elefante di razza asiatica; sarebbe poi suggestivo pensare agli elefanti di Pirro visti con stupore dai Romani che non ne conoscevano neppure il nome (bos Lucanum, li chiama Tito Livio), ma la figurazione è troppo esperta per essere il frutto di un'immediata impressione, e soprattutto è uguale (tranne il particolare aneddotico del piccolo che segue il pachiderma) a quella che ricorre su fàlere d'argento della Crimea: dev'esserci pertanto un precedente iconografico comune, forse di origine siriaca, la cui introduzione in Italia può essere indipendente dalla visione diretta di quegli animali. Anche le altre figure che compaiono sui p., non sono invenzioni originali del ceramografo. Gli eroti variamente atteggiati o rappresentati insieme ad animali appartengono al repertorio del primo ellenismo, come la presunta testa di Bellona, che ha confronti anche con le teste femminili uscenti da calici della ceramica italiota.
I soggetti del Gruppo di Hesse attestano l'adesione a modelli fors'anche più antichi: il cacciatore seduto è di evidente ispirazione lisippea, le quadrighe dei carri condotti da eroti hanno le teste dei cavalli a due a due simmetricamente divergenti secondo la convenzione adottata nella pittura vascolare greca ed àpula del IV sec. e riconoscibile fin nella Battaglia di Philoxenos, infine il fanciullo che beve, nella figurazione sulla coppa Torlonia, si serve di un rhytòn a testa di animale ed orlo espanso a campana, comune nel IV secolo. Alla diversa scelta dei temi decorativi che distingue i p. da questi vasi corrisponde anche una diversa maniera pittorica. Il pittore del Gruppo di Hesse osserva la tradizione classica, accogliendo limitatamente le innovazioni compendiarie della fine del IV sec.: la figura è costruita con ombreggiature a fine tratteggio bruno e solo alcune parti sono sollevate da luci bianche; nella ceramica àpula corrisponde a questa maniera la pittura di un presunto allievo del maestro di Konnakis (cratere a campana del museo di Bari). Nei p. invece il colore è applicato a larghe e rapide pennellate per tutta la superficie della figura con vivaci contrasti di chiari e di scuri, ed i "lumi" nelle parti rilevate, son dati francamente a macchia: com'è nei vasi di Gnathia (v.).
Se però l'accostamento del Gruppo di Hesse alla migliore ceramica àpula sopraddipinta è assai persuasivo, tanto da giustificare l'ipotesi dell'immigrazione di un ceramista italiota nell'Etruria o nel Lazio (Beazley), i p. si differenziano sensibilmente dai contemporanei vasi di Gnathia. Nei p. manca infatti il graffito che in quelli talvolta regge il contorno delle figure, inoltre la linea di terra è segnata da un tratto continuo anziché da una fila di punti, ed è diverso il disegno delle fronde d'edera. Per i p. pertanto non è necessario pensare al trapianto di officine àpule, né si può parlare di meccanica imitazione: vi si deve piuttosto riconoscere un raro esempio di consapevole e coerente aggiornamento dell'artigianato etrusco-italico alle innovazioni della pittura ellenistica, esempio tanto più apprezzabile in questa modesta espressione, ove si pensi al disorientamento ed al conseguente eclettismo dei pittori etruschi nelle decorazioni di tombe del III sec. (v. etrusca, arte).
Si dà qui l'elenco dei p. con l'indicazione dei soggetti dipinti e delle iscrizioni:
Pocola. Coppa da Chiusi, Berlino, Musei, n. 3634: Eros, Aisclapi. pocolom. Coppa da Vulci, Berlino, Musei, n. 3635: Eros, Volcarn. pocolom. Coppa da Vulci, Gotha, museo, n. 298: Eros che conduce un cane standovi sul dorso, Iunone[ne]s pocolom. Coppa da Orte, Roma, Musei Vaticani: Eros, Salutes. pocolom. Coppa, da Roma, Roma, Museo Nazionale Romano, n. 16107: Hermes con mantello rosso. - Coppa da Tarquinia, Tarquinia, museo n. 1960: Eros. - Coppa da Vulci, Roma, Musei Vaticani: Eros, Keri. pocolom. - Coppa da Orte, Roma, Musei Vaticani: Eros, Lavernai. pocolom. Coppa, Parigi, Louvre: testa femminile, Belolai. pocolom. - Coppa, Cassel, Hessisches Landesmuseum: Eros volante con fiaccola e disco. - Piatto da Capena, Roma, Museo di Villa Giulia: elefante da guerra col suo piccolo: v. anche F. De Visscher, in Ant. Class., xxix, 1960, p. 51 ss., fig. 2. Coppa, dall'Esquilino, Roma, Antiquarium comunale: frammento, Me[nervai pocolom]. - Coppa, da Vulci, Londra, British Museum, F 604: Aecetai. pocolom (= Aequitiae, Aequitatis); quattro rosette impresse. - Coppa da Orte, già in Roma: Coera. pocolo (= Coerai, Curae). - Oinochòe, dalla Terra d'Otranto: Parigi, Cabinet des Médailles: Fortunai. pocolo. - Oinochòe da Lanuvio, Londra, British Museum: frammento, Vestai pocolo. - Oinochòe da Tarquinia: Veneres pocolom. - Oinochòe da Tarquinia: Minervai pocolom. - Oinochòe, Parigi, Louvre, L.604: Saeturni pocolom.
Gruppo di hesse. Kàntharos da Vulci, Berlino, Musei, n. 1934: ragazzo che beve da un askòs. - Kàntharos da Vulci, Roma, Collezione Torlonia: ragazzo che beve da una coppa, versando da un rhytòn. - Coppa, Londra, British Museum F 542: giovane cacciatore seduto con un cane. - Phiàle, rinvenuta tra Orvieto e Bolsena, Roma, Museo di Villa Giulia: corsa di carri condotti da eroti, frammento. - Altri vasi: cratere, Bari, Museo Archeologico: satiro che cavalca un maiale: H. Bulle, in Festschrift Loeb, p. 27, fig. 13; A. Rumpf, Malerei und Zeichnung, Handbuch der Archäologie, iv, i, 1953, p. 145, tav. 47, 7. - Rhytà a testa di animale del IV sec. a. C.: E. Merklin, in Arch. Anz., 1928, p. 335 ss.
Per le falere d'argento della Battriana: v. battriana, arte.
Monete puniche con riproduzione di elefanti: H. H. Scullard, in Numismatic Chronicle, s. vi, viii, 1948, p. 158 ss.; id., W. Gowers, ibid., x, 1950, p. 271 ss.
Bibl.: H. Jordan, in Ann. Inst., 1884, pp. 5-20; S. Reinach, in Gazette des Beaux Arts, XXXIV, 1886, p. 248 s.; H. B. Walters, History of Ancient Pottery, Londra 1905, I, p. 489 ss.; Ch. Picard, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XXX, 1910, p. 99 ss.; P. Wolters, in Ath. Mitt., XXXVIII, 1913, p. 194 s.; E. Lommatzsch, C.I.L., I, 2, n. 439-453; G. Karo, in Dict. Ant., s. v. Poculum; R. Zahn, in Berliner Museen, LV, 1934, p. 6 ss.; R. Bianchi Bandinelli, in Scritti in onore di Bartolomeo Nogara, Città del Vaticano 1937, p. 11 ss.; E. H. Warmington, Remains of Old Latina, Londra 1953, p. 74 s.; J. D. Beazley, Etr. Vase-Paint., p. 208 ss.; con la bibl. dettagliata per ciascun vaso; A. Rumpf, Malerei und Zeichnung, Handbuch der Archäologie, IV, i, 1953, p. 155 ss.; L. Forti, in Rend. Acc. Napoli, XXXIII, 1958, p. 215 ss.