pluralismo
Termine coniato da Wolff per indicare l’atteggiamento mentale di chi, superato il naturale «egoismo», inteso nel senso di «solipsismo», riconosce intorno a sé l’esistenza degli altri. In seguito ampliò il suo significato, riferendosi non più alla sola pluralità dei soggetti conoscenti, ma a quella di ogni realtà considerata come costitutiva dell’Universo: il termine passò quindi a indicare quella dottrina che, in opposizione al monismo e al dualismo, afferma la pluralità delle sostanze o elementi che costituiscono la realtà. In questa accezione dottrine pluralistiche sono rintracciabili già nell’età presocratica, per l’esigenza di conciliare il principio eracliteo con quello eleatico: il divenire viene infatti derivato (Empedocle, Anassagora, Democrito) dalla diversa combinazione di una pluralità di particelle primordiali (rizomi, omeomerie, atomi) in sé immutabili. Lo stesso p. può d’altronde presentarsi come p. monistico, se le particelle sono della stessa specie (atomi di Democrito, monadi di Leibniz), e come p. dualistico, se quelle parti sono di due diverse specie (materiale e ideale, come nel sistema platonico). In senso più specifico, p. è, secondo il neorealismo americano e secondo il pragmatismo, la concezione secondo cui la realtà non può essere ricondotta a una descrizione unitaria a causa della sempre crescente molteplicità e pluralità dei suoi fenomeni. Particolare rilievo all’opposizione tra filosofie pluralistiche e filosofie monistiche, anche in relazione al tema della libertà, è stato conferito nel 20° sec. da Berlin (➔).
Nel campo della teoria politica per p. si intende la dottrina e la prassi che riconoscono la legittimità giuridica e politica nello Stato a una pluralità di gruppi sociali, partiti, istituti rappresentativi, associazioni, disciplinati da norme giuridiche interne, e ne sollecitano la partecipazione alla vita pubblica. Il termine p. viene usato per definire i tratti comuni di alcune dottrine novecentesche: nell’opporsi alla concezione tradizionale della sovranità dello Stato, cioè al monismo politico, e tenendo presenti i mutamenti intervenuti nella società nel corso degli ultimi decenni, esse danno particolare rilievo ai diritti, agli interessi e compiti di enti, comunità e associazioni più piccole dello Stato e con funzioni essenzialmente specializzate. L’indirizzo pluralistico (J. Neville Figgis, H.J. Laski, A.D. Lindsay, E. Barker in Gran Bretagna; L. Duguit, J. Paul-Boncour in Francia; M.P. Follett negli Stati Uniti; il movimento di Comunità di A. Olivetti in Italia) vuole in genere rivendicare i diritti e proteggere gli interessi di gruppi che non fanno parte dell’organizzazione statale. Lo stesso Stato, soprattutto nella dottrina inglese, è concepito non tanto come associazione di individui, quanto come elemento organizzatore di gruppi e comunità: sindacati e unioni professionali, università e organismi culturali, enti locali, associazioni di vario genere e finalità, Chiese, ecc. All’importanza del p. sociale – ossia all’importanza di una varia e ricca vita associativa – si richiama anche la tradizione liberale che fa capo a Tocqueville.