PLOTINO (Πλωτῖνος, Plotinus)
Filosofo da Lykopolis in Egitto, dove nacque verso il 203 d. C. A 40 anni si trasferì a Roma e vi tenne cattedra per circa 25 anni; morì in Campania nel 270. La sua attività, svoltasi col favore dell'imperatore Gallieno e di Salonina, si colorì di politica, in quanto anche egli, come Platone, concepì la possibile realizzazione in terra di uno stato ideale. Discussa è l'importanza del suo insegnamento per l'arte del proprio tempo, scorgendo alcuni studiosi una sua diretta influenza, mentre altri considerano talune caratteristiche dell'arte del III sec. d. C. e le concezioni plotiniane espressioni contemporanee e indipendenti tra loro della crisi della società che allora si manifesta in ogni campo.
Nel fatto, nel III sec. si verifica e si matura una decisiva trasformazione nei cànoni dell'arte romana nella quale ormai si affermava vittoriosamente un nuovo gusto artistico onde l'arte romana, non solo si livella in tutta l'estensione dell'Impero - diventa arte imperiale - ma cambia intimamente d'essenza (v. romana, arte). L'arte diventa più accessibile alle masse, abbandonando con ostentazione le aristocratiche posizioni più o meno conseguenti alla ispirazione plastica greca del secolo di Adriano, e cercando invece solo di dar vita alle sue figure; moto, autorità, massima espressività nei visi e negli occhi; il colore che nella tradizione classica è concepito come complemento accessorio della plastica, diventa coefficiente plastico diretto, per esempio nella resa della capigliatura. Questa trasformazione così radicale non è esente da reazioni più o meno vivaci; la più documentata è quella di Gallieno, il quale, accanto alla rinvigorita religione pagana, presenta dei ritratti imperiali di fattura e di sensibilità quasi ellenistiche.
Si era pensato, da parte di molti studiosi, che fosse stato appunto il pagano e platonico P. l'animatore del periodo classicheggiante gallienico; ma l'esame obbiettivo della teoria filosofica plotiniana potrebbe rivelare piuttosto nel suo autore il codificatore e il teorico dell'arte "espressionistica" del III sec. e quindi, anche, di tutta l'arte medievale nello stesso grado per cui la sua filosofia è la elaborazione e l'adattamento di Platone e di Aristotele ad uso del Medio Evo e del Rinascimento. E il fenomeno gallienico è soltanto in apparenza un ritorno all'antico.
Per P. la bellezza dipende dalla coesistenza di una forma e di un'anima, è una funzione del lògos (o "forma razionale"), non della simmetria esteriore. Perché infatti (Enneadi, vi, 7, 22) "lo splendore del bello appare piuttosto su di un viso vivo, e invece soltanto un vestigio di bellezza su di un viso morto?... E perché della statua-ritratto son più belle quelle che sono più vive, di altre pur più simmetriche? E perché un uomo, un vivente, per quanto brutto è più bello del bello che può esistere in una statua?". Evidentemente perchè ha un'anima. Non vi è pertanto separazione tra bello e vero, tra bello e vivo; e la "forma-èidos che l'arte dà alla pietra e al bronzo non preesisteva nella pietra e nel bronzo, ma solo nell'intelletto dell'artista pensante; questa bellezza dell'arte è anzi maggiore di quella concretatasi visibile nella pietra e nel bronzo, giacché non tutto il bello è passato nella pietra, ma solo quel tanto in cui la pietra ha ceduto all'imperio dell'arte" (v, 8, i). Onde si può anche capire appieno la ragione filosofica per cui P. dà grande importanza al colore, come coefficiente basilare di ogni arte, anzi quasi come unica parte appariscente dell'opera d'arte: "La profondità [ii, 4, 5] di ciascuna cosa è la materia e perciò è oscura, mentre il lògos e il noùs [forma razionale e intelletto] sono luce. Perciò il noùs quando contempla la forma razionale di ciascun effetto ritiene oscuro ciò che sta sotto [kàto], come se stia al disotto della luce. Allo stesso modo l'occhio, luminoso, volgendosi verso la luce e i colori, che sono luci, ritiene che tutte quelle parti che si trovano al disotto del colore siano oscure e siano materia, nascoste dai colori" (kekrymèna tòis chròmasin).
Ma nella base di questi principî gli antichi canoni della quadratio del V e IV sec. a. C. sono annullati, ed è distrutta la metriòtes saggia e tranquilla di Platone; l'arte ammette non solo il brutto, il bizzarro, il momentaneo, il vivace; ma ha spogliato l'effigie umana di ogni sua consistenza plastica e l'ha ricondotta alle origini, a una superficie avvivata da colori o, che val lo stesso, concepita ed eseguita coloristicamente.
L'essenza dell'arte greca ha finito il suo ciclo; è cominciata l'arte definita dal Riegl (v.) quale forma plastica intesa come accezione Ottica.
Bibl.: S. Ferri, in La Critica d'arte, I, 1936, p. 166 ss.; M. Cagiano de Azevedo, in Aevum, XXVIII, 1954, p. 160.
(S. Ferri)
Iconografia. - Sappiamo da Porfirio (I, 16) che il pittore Karterios avrebbe ritratto a memoria le fattezze di P. per commissione del discepolo Aurelio, perché il filosofo non voleva esser raffigurato. Per P. l'immagine fisica dell'uomo era un εἴδωλοι e il ritratto un εἴδώλου. Secondo una ipotesi di H. P. L'Orange, raccolta da altri studiosi, il ritratto di P. può probabilmente essere identificato in una serie di repliche da uno stesso prototipo, tutte provenienti da Ostia (una di grandi dimensioni, ai Musei Vaticani, tre al Museo Ostiense) e stilisticamente databili all'età gallienica. Le repliche presentano notevoli differenze stilistiche, ma assoluta identità di lineamenti, e raffigurano un uomo anziano, dal volto allungato, gli zigomi fortemente pronunciati, occhi piccoli e infossati, naso aquilino. La fronte, resa ampia dalla calvizie, è attraversata da profonde rughe. Il numero delle repliche (finora quattro) fa ritenere che si tratti di un personaggio celebre. Inoltre il fatto che due di esse furono ritrovate in un edificio ostiense che fu probabilmente sede di una scuola filosofica, ha permesso di proporre la identificazione con P., il più illustre filosofo del suo tempo. È probabile che al tipo di P. si sia ispirata la primitiva iconografia di S. Paolo nelle rappresentazioni figurate cristiane (v. pietro e paolo).
Precedentemente era stato proposto dal Poulsen di riconoscere il ritratto del maestro in un busto di Delfi, e dal Rodenwaldt nel personaggio principale del rilievo, che orna il cosiddetto sarcofago del Filosofo del Museo Laterano in Roma, stilisticamente databile all'epoca di Gallieno.
Bibl.: F. Poulsen, in Bull. Corr. Hell., 1928, p. 245 ss.; G. Rodenwaldt, Zur Kunstgeschichte der Jahren 220 bis 270, in Jahrbuch, 1936, p. 104 ss.; K. Schefold, Die Bildnisse der antiken Dichter, Redner und Denker, Basilea 1943, 183, 2; H. P. L'Orange, The Portrait of Plotinus, in Cahiers Archéologiques, 1951, p. 15 ss.; R. Calza, Sui ritratti ostiensi del supposto Plotino, in Boll. d'Arte, 1953, p. 203 ss.; H. P. L'Orange, I ritratti di Plotino ed il tipo di S. Paolo nell'arte tardo-antica, in Atti del VII Congr. Intern. di Arch. Classica, Roma 1961, II, p. 475 ss.
(G. Sena Chiesa)