PLATEA (Πλάταια o anche Πλαταιαί, Plataea o Plataeae)
Antichissima città della Grecia, menzionata già da Omero, situata in Beozia presso i confini con l'Attica, fra le pendici del Citerone e l'Asopo, fiume che formava il limite del territorio della città verso quello di Tebe, vicino ad alcuni torrenti i quali confluiscono poco lungi dalla città a formare il fiumicello Eroe ('Ωερόη, Oeroe, oggi Libadóstra) che sbocca nel Golfo Corinzio; le strade venenti appunto dalla riva nordest del Golfo Corinzio, come quelle dall'Attica e dalla Megaride, s'incrociano nei pressi della città. Quando Tebe cercò d'unificare politicamente la regione nella Lega beotica, la città, non potendo resistere da sola agli assalti della potente vicina, ricorse nel 519 a. C. all'alleanza stretta e fedele di Atene, che, raro esempio nella storia greca, ebbe lunghissima durata. Nel 490 a. C. i Plateesi soli fra tutti i Greci furono a fianco degli Ateniesi a Maratona con un contingente di ben 1000 uomini; egualmente, benché non abituati alla guerra di mare, essi formarono l'equipaggio di 20 triremi ateniesi alla battaglia dell'Artemisio, e non poterono assistere a quella di Salamina soltanto perché dovettero tornare in tutta fretta in patria a mettere in salvo le famiglie per l'appressarsi dell'esercito persiano: poco dopo infatti la loro città veniva saccheggiata dai Persiani. La distruzione non dovette però essere radicale, poiché Platea era di nuovo in piedi l'anno seguente, quando, nel settembre del 479 a. C., presso le sue mura ebbe luogo la celebre battaglia (v. appresso), che liberò la Grecia dal giogo persiano. I cittadini di Platea, nel cui territorio la grande vittoria era stata guadagnata, ebbero da parte degli alleati greci, su proposta di Aristide, speciali omaggi e ricompense; fu loro concessa la somma di ben 80 talenti per l'erezione d'un tempio ad Atena Areia, che fu ornato d'una statua di Fidia e d'affreschi di Polignoto; ebbero essi l'incarico di rendere onori religiosi ai caduti della battaglia e di celebrare, in un tempio innalzato a Giove Eleuterio, le feste quinquennali delle Eleuterie; inoltre Pausania e gli altri Greci giurarono di garantire l'indipendenza di Platea e l'inviolabilità del suo territorio.
All'inizio della guerra del Peloponneso, nella primavera del 431 a. C., 300 Tebani, senza alcuna dichiarazione di guerra, tentarono una sorpresa notturna, riuscendo a penetrare nelle mura di Platea per il tradimento di alcuni cittadini oligarchici, ma ben presto furono respinti dalla popolazione corsa alla riscossa e in gran parte massacrati. Nel 429 a. C. cominciò da parte dei Peloponnesiaci un assedio della città, che rimase memorabile negli annali delle guerre elleniche; la guarnigione di 400 Plateesi, con l'aiuto di 80 Ateniesi e di sole 110 donne, avendo inviato tutto il resto della popolazione ad Atene, tenne in scacco tutto l'esercito di Archidamo, che dopo ripetuti vani assalti vi mise il blocco, costruendo, secondo Tucidide, tutto attorno ad essa due colossali baluardi paralleli; nel secondo anno dell'assedio, durante una notte tempestosa, riuscì a quasi la metà della guarnigione di rompere il blocco e di raggiungere Atene; il rimanente, estenuato dalla fame, dovette arrendersi nell'estate del 427, e fu massacrato dai Tebani che rasero inoltre al suolo tutta la città, a eccezione del tempio di Era, presso il quale coi materiali della città distrutta fu elevato solamente un ricovero per i pellegrini del santuario. I Plateesi scampati alla morte godettero ad Atene d'una quasi piena cittadinanza; nel 420 a. C. gli Ateniesi diedero loro il territorio della città di Scione nella Calcidica, ma anche da questa essi furono ricacciati alla fine della guerra del Peloponneso, e dovettero ritornare ad Atene, dove vissero fino alla pace di Antalcida (387 a. C.). Allora, per istigazione degli Spartani ormai ostili a Tebe, ritornarono alla loro antica città, che però di nuovo già nel 372 fu sorpresa e nuovamente distrutta dai Tebani: a questo breve periodo appartengono le uniche monete a noi pervenute di Platea. Un'ultima e cordiale accoglienza ad Atene non ebbe fine che dopo la battaglia di Cheronea (338 a. C.), quando Filippo ricondusse i Plateesi alla loro patria, la quale peraltro sembra essere risorta completamente dalle sue rovine solo dopo la morte di Alessandro il Grande. La città visse quindi assai a lungo in epoca romana, ma ormai priva dell'importanza d'una volta; è menzionata ancora nel sec. VI da Ieroele, e le sue mura furono restaurate da Giustiniano.
A quest'ultimo periodo della sua storia, dopo la ricostruzione di Filippo, appartengono per la maggior parte le sue rovine, visibili presso il villaggio di Kókla, fra le quali vanno menzionati specialmente i resti di tre diverse cinte di mura, attorno a un'altura di contorno triangolare con la punta verso sud; fra i ruderi che alcuni scavi hanno messi in luce nell'interno della cinta s'è creduto di riconoscere il basamento del tempio di Era, nonché il rifugio (καταγώγιον) costruito dai Tebani per i visitatori di questo santuario dopo la prima distruzione della città.
Bibl.: C. Fritszsche, GEschichte Plataeas bis zur Zerstörung der Stadt durch die Thebaner im. 4. Jh. von Chr., Bautzen 188; sugli scavi v. in Pap. Amer. Sch. Ath., V (1886-90), p. 233 segg.; VI (1890-97), p. 24 segg.; Amer. Jour. Arch., V-VII (1889-91); A. N. Skias, in Πρακτικά, 1899, p. 42 segg.; A. de Ridder, Le Temple d'Athéna Areia à Platées, in Bull. Corr. Hell., XLIV (1920), p. 160 segg.
La Battaglia di Platea. - La devastazione dell'Attica con cui Mardonio, rimasto a capo dell'esercito persiano dopo la partenza di Serse dalla Grecia, iniziò la campagna del 479 a. C., indusse finalmente gli Spartani, assillati dalle proteste degli Ateniesi che avevano dovuto per la seconda volta evacuare il proprio territorio, a prepararsi all'offensiva in forze nella Grecia centrale per cacciarne il barbaro. Alla notizia del concentrarsi dei contingenti peloponnesiaci presso l'Istmo, Mardonio, per non trovarsi costretto a combattere isolato dalle sue basi in territorio ove il vettovagliamento era difficile, ripiegò attraverso i passi del Citerone nella Beozia e pose il campo sulla sinistra dell'Asopo, a non grande distanza dalla sua alleata Tebe, coprendola e nello stesso tempo assicurando le proprie comunicazioni col settentrione della penisola. I Peloponnesiaci dall'Istmo procedettero verso Eleusi. Qui si congiunsero coi contingenti ateniesi che provenivano da Salamina e poi insieme, traversato il Citerone, si accamparono sulle sue pendici settentrionali preparandosi alla battaglia decisiva ch'ebbe luogo nelle vicinanze di Platea. Sebbene Erodoto dia intorno alla battaglia non poche precise determinazioni locali e sebbene i moderni con accurato studio topografico abbiano cercato di fissare sulla carta i punti designati da Erodoto, non sembra che un'esatta determinazione del campo di battaglia sia finora riuscita. E tuttavia le notizie indubitabili che da Erodoto stesso si hanno intorno ai precedenti della battaġlia permettono di rendercene ragione almeno nelle linee essenziali. La battaglia era desiderata tanto dai Greci, di cui aveva il comando supremo il reggente di Sparta, Pausania, quanto dai Persiani; dai Greci perché, non potendo tenere insieme più di pochi mesi i loro contingenti di opliti cittadini, se non costringevano Mardonio a battaglia avrebbero dovuto rinviare la continuazione della guerra all'anno successivo ed esporsi ai danni morali e materiali d'una devastazione dell'Attica che avrebbe potuto stancare gli Ateniesi; dai Persiani perché, essendo le loro forze e quelle dei loro alleati greci, Tessali, Focesi e Beoti, nel massimo dell'efficienza, non si vedeva che cosa avrebbero guadagnato da un ritardo il quale avrebbe permesso ai Greci di sfruttare la loro superiorità marittima per un'offensiva negli stretti del Mar di Marmara tagliando le loro comunicazioni con l'Asia. Pur tuttavia né agli uni né agli altri giovava procedere offensivamente contro le trincee del nemico o nel luogo da esso scelto per combattere, e ai Persiani giovava in specie fare giornata in luogo piano dove potessero far valere la superiorità della loro cavalleria, cioè possibilmente attirare i Greci sulla sinistra dell'Asopo. La prima posizione occupata dai Greci sulle falde del Citerone era ottima come posizione difensiva, ma non tale che i Persiani, dopo la prova fatta a Maratona, potessero indursi ad andarveli a snidare. Un successo riportato in una piccola avvisaglia contro la cavalleria persiana incoraggiò i Greci a spingersi più avanti nella loro mira poggiando con la loro sinistra, tenuta dagli Ateniesi, verso Platea. Questa posizione era molto esposta alla cavalleria nemica che molestava i Greci sia attaccando le colonne dei loro rifornimenti che giungevano dai passi del Citerone, sia infastidendo quelli che andavano ad attingere acqua nella fonte Gargafia. Onde Pausania deliberò il ripiegamento in una posizione più sicura. La manovra s'iniziò di notte, ma al mattino i Greci si erano allontanati di ben poco e non avevano raggiunto le posizioni prescritte. Di questo momento approfittò Mardonio per ordinare l'attacco generale. Stando al racconto di Erodoto, i Greci in ritirata si sarebbero scissi in tre tronconi: la destra formata dagli Spartani che avrebbe resistito al grosso delle forze persiane; il centro che si sarebbe dato a fuga precipitosa; la sinistra formata dagli Ateniesi che avrebbe combattuto contro gli alleati greci dei Persiani. Questo racconto è leggendario e dovuto in gran parte a una tradizione malevola verso i Corinzî. Se l'esercito si fosse scisso a quel modo e la destra e la sinistra fossero rimaste isolate sul campo di battaglia, data la prevalenza numerica dei Persiani, l'eccellenza della loro cavalleria che poteva insinuarsi tra i reparti isolati e l'impossibilità per gli opliti di combattere su più fronti, come potevano fare i manipoli romani, è chiaro che solo un miracolo avrebbe potuto salvare i Greci dalla distruzione. Deve invece ritenersi che Pausania avesse saputo mantenere il collegamento tra le colonne dei Greci ripieganti e formare poi con esse un'ininterrotta linea di battaglia. Sicché il vantaggio della sorpresa dovette andare perduto per i Persiani e mancò l'isocronia dei movimenti tra i loro reparti lanciati all'inseguimento del nemico. Con ciò fu annullato anche il vantaggio della superiorità numerica, e i Greci poterono far meglio valere la bontà della loro tattica. La vittoria dei Greci fu piena e decisiva, sebbene un grosso reparto comandato da Artabazo potesse ripiegare intatto o quasi verso la Macedonia e poi verso l'Asia, sia perché la ritirata fu coperta dalla cavalleria, sia appunto perché non tutti i reparti persiani furono contemporaneamente impegnati. La difficoltà di determinare la posizione del campo di battaglia si fa maggiore e quasi invincibile per questa terza posizione dei Greci, perché non si vede chiaro dal racconto confuso di Erodoto quanto essa distasse dalla seconda posizione, sicché qualche moderno ha ritenuto che non si trattasse d'un vero ripiegamento, ma d'un semplice mutamento di fronte fatto con pernio sull'estrema ala sinistra. Come del resto sullo svolgimento della battaglia, così non mancano in Erodoto particolari leggendarî e inattendibili anche nei suoi precedenti, quale, per esempio, il duplice spostamento che avrebbero compito gli Ateniesi sulla fronte in presenza del nemico passando dalla sinistra alla destra e poi di nuovo dalla destra alla sinistra. Inaccettabili sono pure le notizie ch'Erodoto dà intorno alle forze dei Greci e dei Persiani. I Greci sarebbero stati 110.000, i Persiani di Mardonio 300.000. In realtà la lista delle forze greche ch'Erodoto dà è basata su calcoli senza dubbio errati e vi sono menzionati contingenti, come quello di Pale nell'isola di Cefallenia, di cui può dirsi con sicurezza che non presero parte alla battaglia. Un computo delle forze greche fatto tenendo conto degli effettivi di cui i varî stati disponevano in età sulla quale abbiamo testimonianze contemporanee, mostra che i Greci non potevano disporre di più di 50.000 uomini circa e tra essi un po' meno della metà fanti di grave armatura (opliti). Le notizie stesse intorno alla battaglia e ai suoi precedenti testimoniano che i Persiani non avevano una grande superiorità numerica, sicché non si sbaglierà computando le loro forze a 60.000 uomini circa, compresi gli alleati beotici e tessalici. La battaglia fu combattuta il 3 o 4 boedromione dell'anno attico 479-8, cioè sulla fine di agosto o nel settembre dell'anno giuliano 479 a. C.
Bibl.: Oltre alle maggiori storie greche e alle opere intorno alle guerre persiane (v. persiane, guerre), si consultino: W. J. Hunt, Notes on the battlefield of Plataia, in American Journ. of Arch., VI (1890), p. 463 segg.; H. S. Washington, Description of the site and walls of Plataia, ibid., . 452 segg.; G. B. Grundy, The topography of the battle of Plataea, Londra 1894; W. J. Woodhouse, The Greeks at Plataiai, in Journal Hell. St., XVIII (1898), p. 33 sgg.; H. B. Wright, The campaign of Plataea, New Haven 1904; L. Winter, Platäa. Ein Beitrag zur Geschichte der Perserkriege, Berlino 1909; M. O. B. Caspari, Stray notes on the Persian wars. Plataea, in Journ. Hell. Stud., XXXI (1911), p. 109 segg.; A. Boucher, La bataille de Platées d'après Hérodote, in Rev. Arch., 1915; J. Kromayer e G. Veith, Antike Schlachtfelder, IV, Berlino 1924, p. 107 segg.; G. De Sanctis, in Rivista di filologia class., LIV (1926), p. 112 segg.