PLACITO
. È l'adunanza con funzione precipuamente giurisdizionale, propria dei popoli germanici, da questi introdotta con le invasioni dei secoli V e VI nei territorî dell'Impero romano d'occidente, ordinata specialmente nella legislazione della monarchia franca, dove il termine di placitum è altresì spesso usato insieme con quello di mallum.
Si distinguono diversi tipi di placiti: placiti anzitutto regi e placiti comitali, a seconda che venivano tenuti dal re o dai conti nelle contee. Il placito regio si diceva generale quando, almeno una volta l'anno, venivano in esso chiamati a raccolta tutti i maggiorenti del regno, chierici e laici, più, in verità, per un rapporto o una parata solenne di carattere militare che per un compito giurisdizionale. Il placito regio consueto era invece quello che il sovrano, o più comunemente il comes palatii per lui, teneva presso la sua corte o dove si trovasse, con la presenza di giudici scelti tra i suoi fedeli, per giudicare in prima istanza di questioni civili e penali di speciale interesse per le persone cui si riferivano (ad es., soggetti al mundio o alla tuitio del re) o per il loro oggetto, ovvero in grado di appello dalle sentenze dei giudici locali o infine nei casi di denegata giustizia. Carattere anche di placito regio aveva il placito tenuto dal missus dominicus quando giudicava in Sede d'appello.
Similmente nei placiti comitali, tenuti e presieduti dal conte o dal centenario, locoposito o sculdascio, per giudicare delle questioni proprie d'ogni contea, si distingueva il placito generale, tenuto dal conte forse tre volte l'anno secondo l'ordinamento carolingio (per il Natale, per la Pasqua e per la festa di S. Giovanni Battista), al quale dovevano intervenire, a meno di speciale dispensa, tutti gli uominî liberi e non soltanto coloro che erano possessori di terre d'un certo valore, come è stato da alcuni ritenuto e il semplice placito, che si teneva più di frequente, convocato di volta in volta presso la dimora del conte o altrove nei varî luoghi della contea, e al quale, secondo la riforma di Carlomagno, avevano l'obbligo d'intervenire gli scabini, scelti una volta tanto, per suggerire la sentenza. Il placito durava generalmente tre giorni.
In questa distinzione di placiti in generali e speciali, detti anche ordinarî e straordinari, perché tenuti i primi a epoca fissa senza speciale convocazione e i secondi invece annunziati di volta in volta con convocazione individuale per coloro che erano tenuti al servizio del placito, si volle vedere da alcuno due diversi tribunali, l'uno di carattere popolare e quasi di ius civile, l'altro fondato sul potere d'impero dell'autorità e quasi di ius honorarium.
Ma una base certa della loro distinzione era quella della diversa loro competenza, tanto più che si parlò anche di placiti maggiori e di placiti minori, chiamati i primi a giudicare delle questioni di maggiore rilievo, e i secondi i placiti dei centenarî, delle cause minori.
I placiti, termine che fu usato a indicare non solo i tribunali ma anche i giudicati dei tribunali stessi, hanno massima diffusione nell'epoca feudale dal sec. IX al sec. XI e si fanno più rari nei secoli seguenti, pur continuando a esistere nei dominî signorili laici ed ecclesiastici. Di essi resta anche un ricordo in una magistratura dei liberi comuni, i cosiddetti consoli dei placiti, con giurisdizione limitata agli affari civili; e ad essi si riannoda l'istituto parlamentare delle monarchie del tardo Medioevo.
Bibl.: L. A. Muratori, Antiquitates Ital. Medii aevi, Diss. XXXI: De placitis et mallis; L. Beauchet, Histoire de l'organisation judiciaire en France, Parigi 1886; A. Pertile, Storia del diritto italiano, Torino 1896-1903; R. Sohm, Die fränkische Reichs- und Gerichtsverfassung, Lipsia 1911; G. Salvioli, Storia della procedura civile e criminale, Milano 1925-1927.