placebo
L’effetto nocebo
Se un soggetto si aspetta un incremento di un sintomo, e solo per tale aspettativa si ha un reale incremento del sintomo, si è in presenza del cosiddetto effetto nocebo; esso si evidenzia in numerose condizioni, come il dolore e la performance motoria. I meccanismi alla base di tale fenomeno sono praticamente gli stessi dell’effetto placebo, anche se si realizzano in direzione opposta; per es., possono essere coinvolti meccanismi di aspettativa o di condizionamento. Poco si sa sulle basi neurobiologiche dell’effetto nocebo, per il fatto che la sua sperimentazione è ovviamente limitata da problemi etici: al fine di studiare l’effetto nocebo è infatti necessario indurre aspettative negative, per es. effettuare una procedura che il soggetto crede sia in grado di produrre un aumento del dolore. Una procedura nocebo induce quindi stress nei soggetti che vi si sottopongono ed è eticamente possibile indurre una risposta nocebo solo in condizioni particolari, per es. in soggetti volontari sani e non in pazienti.
L’effetto nocebo riveste un’importanza particolare nella vita sociale: esso è infatti presente nella routine quotidiana, senza tuttavia che ce ne rendiamo conto. Un esempio è rappresentato dai messaggi inviati dai mezzi di comunicazione di massa (televisore, radio e giornali), riguardo i pericoli e i danni per la salute. Spesso questi messaggi sono falsi o esagerati, eppure inducono aspettative negative in coloro che li ricevono. All’inizio del nuovo millennio, alcuni studi hanno dimostrato che disturbi come la cefalea, spesso imputati alle radiofrequenze dei telefoni cellulari, non sono altro che effetti psicologici, cioè effetti nocebo: il solo credere che un telefono cellulare possa produrre danni alla salute spesso può provocare l’insorgenza di sintomi di diversa natura. Analogamente, gli effetti collaterali dei farmaci spesso sono solo effetti nocebo: leggere che un farmaco può indurre nausea può provocare realmente nausea in alcuni soggetti. Una diagnosi negativa può sortire lo stesso effetto, e il paziente può presentare una sintomatologia più severa solo aspettandosi un peggioramento della sua situazione. L’effetto nocebo è stato studiato dal punto di vista antropologico in quelle società in cui vengono effettuate pratiche magico-religiose. Un esempio eclatante è la magia voodoo, in cui un estremo stress psicologico può portare a situazioni di una certa gravità, come l’arresto cardiaco. Alcune procedure, come il puntare un oggetto contro una persona facendole supporre un suo effetto negativo, possono provocare situazioni di stress estremo.
Aspettative negative specifiche possono produrre sintomi specifici. Per es., è stato osservato che gli effetti collaterali, comparsi in seguito alla somministrazione di una sostanza inerte, dipendono dal tipo di informazioni date al paziente. Infatti, pazienti sottoposti a placebo e che credono di assumere un farmaco antiemicranico in grado di dare perdita di appetito e calo ponderale, mostrano effettivamente una perdita di appetito. Ugualmente, se informati della possibile comparsa di formicolio alla punta delle dita, molti sentiranno realmente le dita formicolare. Questa specificità delle risposte nocebo riveste un’importanza particolare nei trials clinici, in quanto molto spesso gli effetti collaterali che compaiono sono esclusivamente psicologici e non dovuti al principio farmacologico somministrato.
Quello che conosciamo oggi sui meccanismi dell’effetto nocebo si basa essenzialmente su studi farmacologici e di bioimaging. Un meccanismo importante è sicuramente l’ansia (➔) anticipatoria, quella forma di ansia che precede l’arrivo di una situazione di stress. Una tipica situazione di questo tipo è l’aspettarsi la comparsa di un dolore intenso. In alcune situazioni, è possibile prevenire una risposta nocebo mediante l’uso di ansiolitici, come le benzodiazepine, il che dimostra il coinvolgimento dell’ansia anticipatoria. Negli ultimi dieci anni si è osservato che l’ansia anticipatoria induce l’attivazione nel cervello di una sostanza, la colecistochinina (CCK), la quale produce a sua volta un effetto amplificante sul dolore. Questo effetto va sotto il nome di iperalgesia (➔) da nocebo. Il risultato è la comparsa di dolore, anche se non è presente alcuno stimolo dolorifico. Durante la fase di ansia anticipatoria vengono attivate diverse regioni cerebrali, e ciò ha permesso di comprendere meglio i meccanismi dell’ansia. Inoltre, durante l’iperalgesia da nocebo, le aree cerebrali di percezione del dolore si attivano con maggiore intensità. Perciò l’effetto nocebo rappresenta un ottimo modello per comprendere sia i meccanismi dell’ansia sia la sua influenza sulla percezione di diversi sintomi, per es. il dolore. Il coinvolgimento di un altro neurotrasmettitore nell’iperalgesia da nocebo, la dopammina, è stato individuato nel nucleo accumbens. È stato infatti dimostrato che, mentre si ha un’attivazione della dopammina nel nucleo accumbens durante l’analgesia da placebo, si ha invece una deattivazione della dopammina durante l’iperalgesia da nocebo. La partecipazione di più neurotrasmettitori, ossia la CCK e la dopammina, nell’effetto nocebo dimostra l’alta complessità del fenomeno.
Mentre le conoscenze sui meccanismi del nocebo derivano principalmente dallo studio del dolore, è bene sottolineare che tale fenomeno è presente anche in altre condizioni. Per es., nella malattia di Parkinson è possibile osservare un peggioramento clinico della performance motoria se il paziente si aspetta difficoltà e rallentamento dei movimenti. Tuttavia, come già descritto, lo studio dei meccanismi è limitato da problemi etici, in quanto sarebbe necessario indurre intenzionalmente un peggioramento dei sintomi in un paziente parkinsoniano.