Pittura Naif
Spontanea espressione di pittori autodidatti
Il termine francese naïf significa «ingenuo» ed è stato usato per indicare l’arte non colta, praticata da artisti autodidatti o popolari: pittori che dipingono per sé stessi, per il loro bisogno di esprimersi. Elementi tipici di quest’arte sono la mancanza di regole stilistiche e pittoriche, un approccio infantile, una rappresentazione favolistica della realtà, piena di dettagli e di elementi decorativi
L’arte naïf è sorta spontaneamente, al di fuori dell’arte ufficiale. Non costituisce una scuola o una tendenza, ma deriva dall’impulso creativo che muove singoli individui a raffigurare la realtà in maniera spontanea, ignorando le regole della rappresentazione e gli stili del passato.
In molti casi i risultati ottenuti sono di notevole valore estetico e per certi versi vicini alle ricerche degli artisti ufficiali sulla spontaneità e sull’istintività. Verso la fine dell’Ottocento, infatti, molti pittori tradizionali iniziano a dipingere seguendo più il sentimento che le regole. Già nel romanticismo si era avviata una rivalutazione dell’arte primitiva, ma è soprattutto col mito dell’evasione dei simbolisti e con la fuga dalla civiltà di Paul Gauguin che si ha la vera esaltazione dell’arte primitiva. A questo punto anche i critici cominciano a studiare con interesse il fenomeno dei pittori naïf, visti come primitivi moderni.
La pittura naïf viene scoperta ufficialmente, dal pubblico e dai critici, in Francia nel 1886. Quell’anno al Salon des indépendants (un’esposizione di pittura in opposizione alle tradizionali mostre del Salon) vengono esposti alcuni quadri del pittore autodidatta Henri Rousseau. Sono opere dall’atmosfera di sogno dipinte con ricchezza di particolari, che fanno discutere e talvolta fanno anche sorridere.
«Sembrano fatte da un bambino», è il commento ricorrente, ma c’è anche chi riesce a intuire la loro forza di rottura e il loro significato. Uno di questi è il critico Wilhelm Uhde, che diventerà un collezionista delle opere di Rousseau. Uhde, nel 1928, organizza a Parigi una grande mostra intitolata ai cinque pittori del Sacro Cuore, così chiamati per sottolineare l’aspetto della loro ingenuità e purezza. Fra essi figurano Rousseau, considerato esponente di spicco di questo fenomeno, Séraphine de Senlis, dedita alla pastorizia e poi diventata cameriera e il postino Louis Vivin. Da allora anche il pubblico mostra un certo interesse per i naïf.
Non si sa con esattezza la data del debutto in pittura di Rousseau. Di lui si sa che nasce a Laval nel 1844, giunge a 24 anni a Parigi e trova lavoro all’ufficio comunale del dazio: da qui il soprannome doganiere. Impacciato nel disegno, l’artista scopre subito le sue doti innate di colorista. Le sue giungle tropicali hanno atmosfere magiche e colori brillanti; sono così concrete da far credere ai suoi contemporanei che il pittore sia un reduce della guerra in Messico. E invece il doganiere studiava la vegetazione e la fauna tropicale a Parigi, al Jardin des plantes e al Musée d’histoire naturelle. La grandezza di Rousseau è subito riconosciuta da artisti come Pablo Picasso, Robert Delaunay, Wassily Kandinskij, e da poeti come Guillaume Apollinaire e Alfred Jarry.
In Italia Orneore Metelli, un calzolaio di Terni, che dipinge quadri di carattere popolare, è uno dei primi naïf a essere scoperto.Il pittore autodidatta più noto è, però, Antonio Ligabue. Nato a Zurigo nel 1899 da emigranti, inizia a dipingere cartelloni per spettacoli di zingari. Nel 1920 è in Italia, dove è scoperto dal pittore Marino Mazzacurati. Lavora in solitudine, interrotto solo dalle sue crisi di nervi e dai frequenti ricoveriin manicomio. Dipinge autoritratti, scene di campagna e animali
della giungla, dove la ferocia delle belve è unita al racconto favoloso. La scelta di questi temi lo accosta a Rousseau, ma l’intensità con cui il pittore svolge il lavoro, la sua solitudine e l’esistenza allucinata lo rendono più simile a Vincent Van Gogh.