KLEOPHRADES, Pittore di
Ceramografo attico la cui attività si può seguire dagli estremi del VI sec. a. C. sino a tutto il primo venticinquennio del V a. C. Questo innominato artista è senza dubbio una delle personalità più grandi e significative che sia dato d'incontrare nel lungo e vario sviluppo della ceramografia attica. In un momento di particolare ricchezza e vitalità di produzione, nella generazione immediatamente successiva a quella dei pionieri della tecnica a figure rosse, il Pittore di K. divide con il Pittore di Berlino una posizione di incontrastata supremazia tra i decoratori di grandi vasi: mentre fra i maestri di coppe, pure così numerosi e così considerevoli, solo il Pittore di Panaitios può dirsi al suo livello.
Il nome di K. come ceramista si trova su una coppa incompleta del Cabinet des Médailles che rappresenta per più ragioni un monumento di eccezionale interesse: anche in questo genere che non gli era proprio, il Pittore di K. ha realizzato una delle coppe più grandi e singolari che si conoscono per forma e per decorazione figurata. Altri (G. M. A. Richter) ha voluto intendere il nome di Epiktetos, letto sull'anfora di Vienna e su una tarda pelìke di Berlino, come il nome stesso dell'artista. Epiktetos peraltro, oltre ad essere di dubbia lettura, sembra non tanto una firma del pittore quanto piuttosto il nome apposto a una delle due figure di atleti, mentre ugualmente dubbia o almeno sorprendente è stata giudicata la firma sulla pelìke di Berlino.
È possibile seguire l'attività del Pittore di K. dalle prime opere, così vicine ad Euthymides da esser state alle volte assegnate al vecchio maestro. Ma le qualità che il maestro poteva trasmettere, il segno puro e liquido, il senso monumentale delle figurazioni e delle composizioni, appaiono immediatamente superate da un nuovo empito di intensa, umanissima vitalità. Il pittore sembra partecipare con appassionata affettuosità alle situazioni dei suoi personaggi e sin dalle prime opere, nel rendere l'impacciata timidezza di Eracle dinanzi ad Atena (anfora dei Musei Vaticani) fa intendere la sua incontenibile simpatia umana.
Per altri artisti si può considerare una limitazione il fatto di non sentire o di non preoccuparsi di rilevare il distacco tra il mondo umano d'ogni giorno e il mondo sopraterreno degli dèi e degli eroi. Questo non avvertiamo mai nel Pittore di K., perché egli non abbassa i maggiori al livello dei minori, ma piuttosto eleva le menadi e gli atleti al livello degli eroi e degli dèi. Gli atleti fiorenti d'innocenza e di modestia, sembra che raffigurino nel fulgore della loro giovinezza la primavera del mondo; il divino delirio delle menadi ci appare augusto e sereno, inteso con tale tenerezza e simpatia che quelle implicazioni di crudeltà e di frenesia isterica, che appaiono in altri artisti, sembrano banditi per sempre. I nudi del Pittore di K. non hanno l'impeccabile, sovrumana compiutezza di quelli del suo gemello, il Pittore di Berlino; che anzi alle volte le giunture sembrano trascurate, le teste pesanti sul corpo, le membra grevi e inconseguenti. Ma si tratta quasi sempre di quei difetti e di quelle disarmonie che tanto ci inteneriscono nell'estrema adolescenza. E se si rimane ammirati dinanzi alle strutture musicali di "metafisica" perfezione del Pittore di Berlino, le figure del Pittore di K. ci toccano più profondamente per il loro calore umano e persino per quelle fratture o disarmonie, che sembrano assicurarci che si tratta veramente di creature vulnerabili e incomplete. Eracle era stato per Euphronios il supremo dominatore dei mostri e dei giganti, una delle luminose personificazioni della civiltà chiarificatrice contro le barbarie. Ma è il Pittore di K. a rivelare l'innocenza e il candore inconsapevole dietro la sua immensa potenza fisica. Il guerriero che s'inclina per fissare gli schinieri nella coppa del Cabinet des Médailles è sufficiente a far misurare l'intensità di simpatia umana di cui il pittore investe qualsiasi schema. Si tratta di un vecchio motivo perfettamente appropriato e quasi suggerito dallo spazio circolare dell'interno di una coppa, e infinite figure, sino a quelle scorrevoli e liquide di Skythes, vi erano state calate dentro. Ma anche qui il Pittore di K. sa ritrovare una sorta di commovente verginità: il guerriero sembra illuminato di tenerezza e il suo volto ha quella qualità radiosa che s'incontra solo nelle figure più felicemente realizzate del Pittore di Panaitios.
Il Pittore di K. sa evocare con particolare coerenza e in modo assai vivido il mondo degli eroi. Basterebbe la figura di Teseo a terra sotto le zampe del toro cretese nella grande coppa del Cabinet des Médailles per apprezzare la novità degli schemi e l'abilità delle composizioni. Un altro notevole esempio dell'elevatezza di tono nel racconto e della profonda comprensione dei drammi e delle passioni degli eroi abbiamo nell'anfora di Würzburg con la grandiosa contrapposizione dei due eroi, Aiace ed Ettore, separati da due anziani consiglieri; mentre una notazione omerica ancora più toccante si ha nel frammento di Corinto con la bellissima testa di Ettore morto sotto la kline di Achille. Nell'ultima fase il disegno diviene meno puro, le elisioni e le durezze nelle giunture più appariscenti e gratuite. Tuttavia lo skỳphos frammentario di Firenze con Iride assalita dai centauri, nel segno più largo e semplificato, rivela delle nuove possibilità pittoriche e una immutata evidenza drammatica. A questo momento converrà anche assegnare l'hydrìa del Museo Nazionale di Napoli con la rappresentazione dell'Ilioupèrsis, vivida e fluente nel racconto variato di episodî e allo stesso tempo raccolto e unitario. Un nuovo stile sembra evolversi in questo monumento, un linguaggio rapido e conciso con figure minute e semplificate in cui all'azione e al racconto continuo sembra vengano sacrificate quelle qualità di forma tersa e grandiosa che sembravano così connaturate nel pittore. Malgrado momenti di stanchezza manifesti in alcune sue tarde opere, il Pittore di K. si rivela quindi sino all'ultimo capace di rinnovamento, senza mai rinnegare se stesso.
Le opere assegnate al pittore comprendono ogni sorta di grandi vasi, che ormai superano il centinaio, più dodici coppe. Le sue anfore panatenaiche mostrano la disinvoltura con cui il pittore sapeva servirsi della vecchia tecnica a figure nere, ma non aggiungono elementi essenziali alla fisionomia di lui.
Bibl.: P. Hartwig, Meisterschalen, Berlino 1893, p. 400; Fr. Hauser, in Furtwängler-Reichhold, II, 228; J. D. Beazley, in Journ. Hell. Stud., XXX, 1910, p. 123; id., Red-fig. in Am. Mus., p. 40; id., Vasenm. rotfig., p. 69; E. Langlotz, Zeitbestimmung, Lipsia 1920, passim; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, pp. 435-439; J. D. Beazley, Der Kleophrades-Maler, Berlino 1933; G. M. A. Richter, in Am. Journ. Arch., XL, 1936, p. 100; J. Den Tex, in Ath. Mitt., LXII, 1937, p. 38; G. M. A. Richter, in Attic Red-Figured Vases, a Survey, New Haven 1946, p. 66; J. D. Beazley, Red-fig., p. 120; id., Black-fig., p. 404.