SPLANCHNÒPTES, Pittore dello
Ceramografo attico operante intorno alla metà del V sec. a. C., tra i più significativi e vigorosi della scuola del Pittore di Pentesilea e, senza dubbio, uno tra i più intimamente legati al maestro.
Di quest'ultimo sembra che il Pittore dello S. abbia seguito almeno in parte l'evoluzione a giudicare dalla compostezza decorativa delle opere più antiche come la coppa di New York 26.60.79 e lo skỳphos di Baltimora in confronto delle forme abbreviate, nervose, sintetiche della fase successiva, che del resto è anche la più lunga e la più significativa. La figura così vivida e sommaria del giovinetto con lo spiedo per il sacrificio (splanchnòptes) della coppa di Heidelberg 143, che gli ha dato il nome, indica chiaramente come, anche nella mente di J. D. Beazley che ne ha ricostruito la figura, questi aspetti siano da considerare essenziali. Da questo stesso studioso gli vengono assegnate più di 50 opere, in grandissima maggioranza delle coppe, mentre un altro notevole gruppo di opere viene collocato ai margini della sua attività. E non mancano nel numero due coppe che, secondo l'uso caratteristico della scuola del Pittore di Pentesilea sono opera di collaborazione tra il nostro artista, a cui si deve il tondo interno, e il Pittore di Bruxelles R 330 che dipinge le pareti esterne. Il mondo evocato è quasi esclusivamente umano - le uniche eccezioni sono costituite da Nikai e da satiri e menadi, creature marginali del mondo superiore - e in generale limitato a scene familiari, conversazioni, palestra, comasti. Un tono superiore s'incontra invece nella coppa a fondo bianco dell'Acropoli 589, singolare anche per la rarissima forma a coperchio, in cui è trattato con inaspettata dignità il mito del giudizio di Paride. Non è questo del resto l'unico esempio di questa tecnica, perché altre due pyxides con fondo bianco si devono al Pittore dello S. tra cui quella del British Museum D ii con un corteo di nozze incredibilmente vivido e spigliato.
Bibl.: J. D. Beazley, Campana Fragments, 24; id., Red-fig., p. 589.