PISISTRATO (Πεισίστρατος, Pisistrătus)
Tiranno ateniese. Figlio d'Ippocrate, apparteneva a una gente nobile di cui non conosciamo il nome, stabilita nel territorio del demo di Filaide. Nacque circa il 600 a C. Si acquistò fama e credito vincendo i Megaresi con cui Atene era da lungo tempo in lotta per il possesso dell'isola di Salamina e occupando il porto di Megara, Nisea. Allora Atene era divisa tra le fazioni dei Pediaci, i ricchi proprietarî e i loro clienti, e dei Paralî, cioè i meno abbienti che avversavano l'oligarchia. P. costituì una terza fazione di tendenze democratiche, ma a lui più strettamente legata, che dalla zona montuosa, dove era il centro dei suoi poisessi familiari, prese il nome di Diacrî. Con l'aiuto di questa fazione il generale vittorioso, protestando di essere insidiato dai suoi nemici, ottenne dal popolo su proposta di Aristione una guardia di 50 uomini armati di randelli (κορυνηϕόροι). Con questi occupò l'Acropoli e assunse il potere supremo o, come dicevano i Greci, la tirannia. Secondo la tradizione, fu cacciato due volte. La prima volta, non essendo ancora radicata la tirannide, si coalizzarono contro di lui i capi delle due fazioni dei Pediaci e dei Paralî, Licurgo e Megacle, e lo costrinsero a fuggire; ma poi, venuti a discordia tra loro, Megacle s'intese con P. a patto che questi, tornato, ne avrebbe sposato la figlia. Così P. rientrò senza alcuna opposizione; facendosi condurre nell'Acropoli in un cocchio accompagnato da una donna di nome Phye travestita da Atena, che gli Ateniesi per loro dabbenaggine presero per la stessa dea. Venuto però in discordia con Megacle per il suo contegno verso la figlia di lui, P. tornò la seconda volta con le armi in mano, aiutato da Beoti, Argivi, Eretriesi e da Ligdami di Nasso. Sbarcato nella baia di Maratona, mosse verso la città, e, sbaragliate le truppe cittadine presso il tempio di Atena Pallenide, rientrò vittorioso in Atene conservandone il dominio fino alla morte.
Tale racconto ha carattere leggendario, e in particolare l'aneddoto su Phye travestita da Atena, sebbene ripetuto ancora da taluno dei più recenti storici della Grecia, è invenzione ridicola. Non pare dubbio che la vittoria di P. presso il tempio di Atena Pallenide abbia dato luogo alla leggenda e che questa leggenda poi sia stata travestita razionalisticamente nel burlesco aneddoto di Phye. Perciò i due ritorni sono la reduplicazione di un solo ritorno, e i due esilî, come mostrano anche varie considerazioni e analogie, si riducono a uno solo. Date sicure o probabili possono considerarsi quella del colpo di stato di P. (anno 561-60, arconte Comea) e quella della sua morte (528-27). Come date approssimative dell'esilio e del ritorno possono accettarsi il 556-55 e il 546-45.
La tradizione è in generale favorevole a P. Il suo governo viene rappresentato come mite, ossequiente alle leggi di Solone e rispettoso delle forme costituzionali, tanto che le magistrature avrebbero continuato ad eleggersi come prima e il tiranno avrebbe persino ottemperato a una citazione davanti all'Areopago. Si giunge talora a paragonare il suo govemoo all'età dell'oro. In realtà egli tenne saldamente in mano il potere e diede allo stato quell'unità di governo, che gli era mancata dopo la caduta della monarchia. Governò soprattutto influendo sulle elezioni, sui magistrati in ufficio, sul consiglio dell'Areopago e sull'assemblea. Si circondò di una guardia di mercenarî; ma, per quel che pare, non tolse le armi ai cittadini, ciò che mostra come egli seppe conciliarsi la maggioranza di quelli che erano in grado di fornirsi d'armi proprie (ὄπλα παρεχόμενοι). La pace interna e la sicurezza da aggressioni esteriori conferirono già per sé sole al naturale incremento delle industrie e del commercio. La fuga di molti nobili e le confische dei loro beni giovarono non solo a frenare l'incremento del latifondismo, ma a promuovere la piccola proprietà, che poi appare predominante nell'Attica del sec. V. All'imposta straordinaria che, secondo le leggi di Solone, si riscuoteva in proporzione del censo delle classi in cui i cittadini erano distribuiti, P. sostituì, come fecero allora e poi i tiranni greci, un'imposta fondiaria permanente sui prodotti delle terre, che fu del 5%. Con questa imposta, con le confische, col prodotto delle miniere del Laurio che egli cominciò a mettere in valore e con quel che ricavava dalle miniere del Pangeo sulle sponde dello Strimone, nel cui territorio aveva cercato di estendere la sua autorità, si procurò i mezzi per i lavori di abbellimento che fece in Atene e per la sua politica navale e imperialistica. Creò una piccola flotta da guerra valendosi delle naucrarie, una distribuzione di cittadini, che fu da lui creata o almeno vigorosamente utilizzata, in gruppi obbligati ciascuno a fornire una nave. Fuori dell'Attica P. affermò la sua autorità nelle isole dell'Egeo, aiutando Ligdami a stabilire il suo dominio in Nasso e assumendo la protezione del santuario di Apollo in Delo, che era il centro sacro delle Cicladi. Inoltre egli cercò di assicurarsi il predominio sull'Ellesponto, ciò che era di grande importanza per il rifornimento di grano dalle sponde settentrionali del Ponto, del quale l'Attica cominciava ad avere bisogno. Qui sotto la sua alta sovranità il Filaide Milziade I fondò un principato ateniese nel Chersoneso di Tracia, donde più tardi da lui stesso o dai suoi successori furono conquistate e popolate di coloni ateniesi le isole di Lemno e di Imbro. Presso lo sbocco poi dello stretto dei Dardanelli P. occupò sulla costa asiatica Sigeo, ciò che diede occasione a una lunga guerra con i Mitilenei i quali, pretendendo di avere diritti su quelle regioni, si rafforzarono in Achilleo, al nord di Sigeo. Nella penisola greca P. coltivò buone relazioni con i Tessali, ma senza romperla con i Beoti e così pure con Argo, ma rimanendo in buoni rapporti con Corinto, che si fece mediatrice tra gli Ateniesi e i Mitilenei sulla base dell'uti possidetis. A ogni modo può dirsi che quello di P. fosse dopo Periandro il secondo tentativo per costituire un impero marittimo fatto dai Greci in età storica. Esso si collega con lo sviluppo del commercio ateniese attestato dai ritrovamenti ceramici, i quali mostrano come alla metà del sec. VI esso cominciasse a prevalere anche nel Ponto settentrionale e in Etruria donde riuscì ad eliminare a poco a poco la concorrenza corinzia. Le costruzioni con cui P. abbellì Atene sono studiate nella storia della città (v. atene). Qui va detto che con i suoi lavori sull'Acropoli, in particolare col portico di cui circondò l'Hekatómpedon, con i sacrarî che eresse o iniziò nella città bassa, il Pizio, l'Olympieion, quello di Dioniso Eleutereo, con la cura che prese dei ginnasî e dell'approvvigionamento idrico della città (a lui si deve la fontana d'Enneacruno), il suo dominio segna una tappa importantissima nella storia edilizia della città e anche, con gli artisti che P. e i suoi figli chiamarono e favorirono per l'erezione e l'ornamento plastico di questi templi, un momento importante dello sviluppo dell'arte attica. Come in genere i tiranni, egli cercò di rendersi favorevole il popolo con feste e divertimenti. Le grandi Panatenee ebbero da lui maggiore solennità e divennero festa panellenica. Le grandi Dionisie furono da lui organizzate e sotto di lui furono istituiti quegli agoni drammatici che dovevano poi prendere tanto sviluppo. Il primo vincitore in essi fu, secondo la tradizione, Tespi (534). Come del culto di Dioniso, così ebbero cura i tiranni anche degli altri culti che appunto allora prendevano nuovo vigore trasformando la religione greca. Ne sono prova la costruzione del nuovo e più vasto telesterio ad Eleusi e il favore dato all'orfismo e al suo profeta Onomacrito. E poco importa se con Onomacrito poi i Pisistratidi si guastarono, ciò che la tradizione attribuisce alla scoperta delle falsificazioni degli oracoli da lui perpetrate.
La tradizione non ci permette di conoscere la personalità di P. così a fondo come più tardi possiamo conoscere quella di Pericle, e, prima di lui, soprattutto dai suoi carmi, quella di Solone; ma i fatti sembrano rendere testimonianza della saggezza ed energia della sua politica interna ed estera, della larghezza dei suoi interessi culturali; e difficilmente si può credere che sia immeritata la fama di mitezza che egli godette, solo, o quasi, fra i tiranni antichi. Certo, quanto più curò il benessere economico e l'elevamento culturale del popolo ateniese, tanto più egli lo preparò a governarsi da sé, cioè predispose senza volerlo la fine della tirannide.
Della sua famiglia abbiamo informazioni contraddittorie. Da una moglie ateniese, di cui non conosciamo il nome, ebbe tre figli, Ippia, Ipparco e probabilmente Tessalo. Il maggiore, secondo Tucidide, fu Ippia. Da una nobile argiva Timonassa P. ebbe Egesistrato che Aristotele identifica, probabilmente a torto, con Tessalo, e un altro figlio Iofonte, che può ritenersi morisse giovane. Di una figlia si parla in varî aneddoti, ma non ne conosciamo con sicurezza il nome.
Fonti. - Fonte principale per la storia di P. è Erodoto, I, 59-64. Un giudizio molto importante è in Tucidide, VI, 54. Aristotele, 'Αϑηναίων πολιτεία, XIII segg., combina non felicemente Erodoto con l'Attide la quale dipende del resto nelle linee fondamentali da Erodoto, che è la fonte primaria della maggior parte dei racconti più o meno alterati tramandatici in Eforo (Diodoro, IX) o in altri scrittori.
Bibl.: Delle maggiori storie greche si cita qui soltanto K. J. Beloch, Griechische Geschichte, I, ii, 2ª ed., Strasburgo 1913, p. 288 segg. Inoltre G. De Sanctis, Atthis, 2ª ed., Torino 1912, p. 261 segg.; P. N. Ure, The Origin of Tyranny, Cambridge 1922; C. T. Seltman, Athens, its history and coinage before the persian Invasion, Cambridge 1924. Per i particolari e la cronologia v. la bibl. in Cambridge Ancient History, IV, Cambridge 1926, p. 624 segg.