PIROTTI
– Famiglia di maiolicari, nota come la Ca’ Pirota, la casa o bottega condotta dai Pirotti, attivi tra il XV e il XVI secolo a Faenza, in contrada San Vitale, e nel territorio circostante (Ravenna).
Gaspare di Michele de Paternis della ‘scola’ o parrocchia rurale di Cassanigo nel contado di Faenza, è noto almeno dal 1456. Ebbe un figlio Pietro, detto Pirotto. Questi prese dimora a Faenza ed è attestato nella ‘cappella’ di S. Antonio almeno dall’aprile 1475. Morì nel 1505, qualificato con il grado di magister, lasciando nell’esercizio ceramico quattro figli: Domenico, Gianfrancesco, Lorenzo e Matteo (pare fosse soprannominato Negro).
Lorenzo (o Gianlorenzo) nell’anno 1505 si fregiava come il padre del titolo di magister, qualifica che l’anno successivo venne attribuita anche al fratello Matteo. Pur essendo spesso chiamato, come i fratelli, de Paternis o Paterne o Paterna, secondo l’atto notarile, viene assumendo, dal soprannome di Pirotto dato al padre, il cognome Pirotti, alternato talvolta a quello di Paterni, che meglio ricordava i precedenti familiari.
La Casa Pirota, sincopato in Ca’ Pirota, al femminile, come era d’uso per indicare una casata, si afferma nell’ambiente maiolicaro faentino del secondo Quattrocento, per raggiungere l’acme nel terzo decennio del secolo successivo, nel momento di maggiore perfezione della maiolica locale.
Proprio in quel periodo la celebre Ca’ Pirota subì un duro colpo quando, intorno al 1528, la pestis magna, che a Faenza decimò più di un quarto della popolazione, recò un grave danno all’azienda privandola all’improvviso di Matteo, Lorenzo e Gianfrancesco.
Se la documentazione d’archivio sulla Ca’ Pirota è generosa di riferimenti, intrecci parentali e commerciali, altrettanto non si può dire circa le opere; sebbene la passata storiografia e la stessa ceramologia ne abbiano costruito una mitica identità, specialmente attorno alle più belle e fastose realizzazioni decorate ‘a grottesche’ che tuttora nei repertori sono unificate sotto il nome della Ca’ Pirota, in realtà la documentazione disponibile in raccolte pubbliche a oggi si restringe a due soli casi, oltretutto ‘istoriati’, contrassegnati per esteso dal marchio di garanzia della bottega.
Si tratta di due coppe: una, già collezione Rothschild, conservata nel Museo della ceramica di Sèvres, raffigurante una scena della vita di Giuseppe, porta la legenda «I (N) CA (SA). PIROTE.1525. FATE. INFAE (NZA). IOXEF», l’altra, conservata nel bolognese Museo civico medievale, rappresenta una scena di incoronazione, probabilmente quella di Carlo V, avvenuta in S. Petronio a Bologna nel 1530, con la segnatura «FATO IN FA/ENZA IN CAXA/ PIROTA».
Tuttavia il repertorio che solitamente si reputa caratteristico dei vasellami usciti dalla Ca’ Pirota è dominato dalla ‘grottesca’, dipinta in blu su fondo azzurro ‘berettino’, con opere concentrate tra il 1525 e il 1535, anche se la bottega può avere ospitato diversi anonimi pittori su maiolica in grado di produrre opere istoriate, come dimostrano le due citate coppe marcate.
Si ipotizza che la bottega avesse adottato anche altri segni o marchi (come rombo o losanga tagliati in croce o una ‘P’ con paraffa), uno dei quali, considerato ‘parlante’ perché raffigurante un ordigno sferico da cui escono fiamme (o granata svampante), viene considerato la trascrizione grafica del nome della bottega, con le due parole pyros-rota, che porterebbero, appunto, al concetto di bomba.
È indubbio che sterri praticati agli inizi del Novecento nel cortile e nel cantinato dell’ex orfanotrofio maschile a Faenza, posto in una zona in cui tra il XV e il XVI secolo c’era la massima concentrazione di botteghe maiolicare e dove erano state alcune delle case dei Pirotti, hanno restituito molti reperti marcati con il cerchio o losanga tagliato in croce. In altra zona adiacente, nel vicolo che oggi porta il nome di Ca’ Pirota perché si suppone che lì vi fossero le botteghe dei Pirotti, in una buca al centro di un’antica fornace fu rinvenuto un nucleo di 47 boccali, frammentari e lacunosi, databili tra gli inizi e la metà del Cinquecento, probabile testimonianza di lavori usciti dalla celebre Ca’ faentina. Tuttavia non portano il marchio supposto distintivo della bottega e inoltre la rappresentazione schematica del marchio della ‘bomba’ infiammata è presente anche sui materiali prodotti in altri centri italiani, quindi non si può considerare esclusivo della produzione delle botteghe dei Pirotti.
Le ultime notizie documentarie sull’attività della Casa Pirota risalgono a un contratto di lavoro con il pittore maiolicaro Francesco di Antonio Mezzarisa, detto Risino, risalente al 16 settembre 1545, in cui una nota autografa di Domenico del fu Giovanni Lorenzo Pirotti elenca un laborerium vetraminis che il maestro doveva dipingere entro due mesi, per il quale sarebbe stato pagato sia in moneta sia in pertiche di terra.
Fonti e Bibl.: C. Malagola, Memorie storiche sulle maioliche di Faenza, Bologna 1880, pp. 138-142; G. Ballardini, Un contratto di lavoro fra la casa Pirota e il pittore di maioliche Francesco Risino in data 16 settembre 1545, Faenza 1927, pp. n.n.; Id., «Fato in Faenza in caxa Pirota», in Faenza, XXII (1934), 6, pp. 167-173; C. Grigioni, Documenti: serie faentina La Casa Pirota, ibid., XXV (1937), 2, pp. 38-42; ibid., XXVI (1938), 6, pp. 133-135; ibid., XXVIII (1940), 1-2, pp. 25-27; G. Ballardini, Alcune marche di Ca’ Pirota, ibid., XXVIII (1940), 4, pp. 66-72; C. Grigioni, Documenti: serie faentina La Casa Pirota, ibid., XXX (1942), 1-2, pp. 27- 29; ibid., 3-4, pp. 60-63; G. Ballardini, Pirota, Ca’ (o Casa Pirota), in Enciclopedia Italiana, XXVII, Roma 1949, p. 380; C. Ravanelli Guidotti, Boccali rinascimentali dall’area di Ca’ Pirota a Faenza. Atti XXVII Convegno internazionale della ceramica - Albisola 1994, Firenze 1997, pp. 401-408; Ead., Thesaurus di opere della tradizione di Faenza nelle raccolte del Museo internazionale delle ceramiche in Faenza, Faenza 1998, pp. 24-27, 342-344, figg. 7-10.