Piramo
Personaggio della mitologia classica; amante di Tisbe secondo la favola di Ovidio (Met. IV 55-166), che suppone una complessa elaborazione letteraria.
I due ebbero case contigue a Babilonia e parlavano d'amore tra di loro segretamente attraverso una lieve fessura della parete, essendosi i loro genitori opposti a che si unissero in nozze. Decisero così di abbandonare la casa paterna e si diedero convegno presso il sepolcro di Nino, sotto un gelso. Tisbe, che era giunta per prima, fu costretta a rifugiarsi in un anfratto per l'avvicinarsi di una leonessa che s'accostava alla fonte con la bocca spumosa tinta del sangue fresco di buoi e che insanguinò il velo caduto alla giovinetta fuggente. P., appena giunto, si accorse del velo insanguinato e credendo che la fanciulla fosse stata divorata dalla belva, di cui vide le tracce, disperato si trafisse con la spada sotto il gelso. Tisbe, tornata ancora sgomenta sul luogo del convegno, vide P. morente e sconvolta dal dolore gli si gettò sopra, e, gridandogli il proprio nome, fece sì che P. aprisse per un istante gli occhi e la guardasse. Quindi si uccise accanto a lui, sotto quel gelso che, intriso di sangue, tinse di vermiglio i suoi frutti.
D. rievoca l'episodio ovidiano per mostrare come in lui il nome di Beatrice abbia un potere prodigioso: sentendo questo nome egli vince la paura che gli serra gli occhi della mente e accetta di entrare nel fuoco, ultimo ostacolo che lo separa da lei, come al nome di Tisbe aperse il ciglio / Piramo in su la morte, e riguardolla, / allor che 'l gelso diventò vermiglio (Pg XXVII 38). Egli riprende l'immagine drammatica e ricca di pathos della scena culminante delle Metamorfosi (IV 142-146): " ‛ Pyrame ', clamavit, ‛ quis te mihi casus ademit? / Pyrame, responde ! tua te carissima Thisbe / nominat; exaudi vultusque attolle iacentes ! ' Ad nomen Thisbes oculos a morte gravatos / Pyramus erexit visaque recondidit illa ". " Oculos erexit " trova riscontro in D. con aperse il ciglio, " morte gravatos " con in su la morte, e " visaque " con riguardolla.
Altra allusione a questa leggenda è in Pg XXXIII 69, quando Beatrice, che ha parlato a D. con severità, gli ricorda la vanità dei suoi pensieri incrostati e induriti come diventano per effetto dell'acqua d'Elsa i corpi che vi sono immersi, e offuscati come i frutti del gelso che da bianchi che erano si tinsero di vermiglio spruzzati del sangue di P. (e 'l piacer loro un Piramo a la gelsa).
A differenza del luogo precedente, dove la rievocazione del mito fa pensare a un'arte di scorcio che ricorda, come nota il Momigliano, quella degli esempi di superbia punita, nonostante il peso della dotta reminiscenza del gelso che diventò vermiglio (v. 39), qui le immagini di cui il poeta si serve acquistano un carattere di crittografia (Sapegno) quasi a significare il desiderio di parlare chiuso, come dimostrerebbe anche l'impiego della rima difficile -elsa, unica nel poema.
Infine, D. fa riferimento a questa leggenda anche in Mn II VIII 4. Dopo aver indicato in Nino, cum consorte thori Semiramide (§ 3), il primo della serie di coloro che tentarono di stabilire un Impero universale prima dei Romani, i soli destinati dalla Provvidenza divina e realizzarlo (cfr. Orosio Hist. I IV 1-8 e II III 1), egli ricorda Ovidio che horum amborum... memoriam fecit in quarto, ubi dicit in ‛ Piramo ': Coctilibus muris cinxisse Semiramis urbem [v. 58, con allusione a Babilonia che Semiramide fece cingere da una muraglia di mattoni cotti] et infra: Conveniant ad busta Nini lateantque sub umbra (v. 88), con allusione al sepolcro di Nino fissato come luogo di convegno dai due giovani amanti.
Bibl. - Oltre ai commenti alla Monarchia e alla Commedia, cfr. R. Ortiz, La materia epica, in " Giorn. stor. " LXXXV (1925) 15 ss.