PIRAMO e TISBE (Πύραμος, Pyrămos; Θίσβη, Thisbe)
La leggenda originaria dell'amore di un dio fluviale della Cilicia per la ninfa Tisbe (che è nome greco) ricorda quella più nota di Alfeo e Aretusa (v.) e altri miti consimili, che probabilmente hanno origine etnica e naturistica nello stesso tempo. La leggenda poi assume i caratteri della novella, combinandosi in vario modo con motivi popolari. Uno è il motivo della fedeltà tra sposi che l'amore unisce e il destino separa (cfr. Nicolao, in Rhet. gr. I, 271 Waltz); ma di gran lunga più celebre è la narrazione romanzesca che Ovidio nelle Metamorfosi (IV, 55-166) ci ha tramandato, ricavandola verosimilmente da ignota fonte ellenistica (v. 53: vulgaris fabula non est). Qui sono i genitori che vietano il matrimonio dei due giovani, bellissimi, vicini di casa, nella città di Semiramide. Essi si parlano tuttavia attraverso una fessura prodotta dal tempo nella parete contermine; un bel giorno stabiliscono di scappare di notte dalle rispettive case, e si dànno l'appuntamento presso la statua di Nino, sotto un grande albero di moro. Tisbe arriva prima; ma per timore di una fiera che si avvicina deve scappare di lì, e nel fuggire perde il suo mantello, che poi la fiera dilania e macchia di sangue. Quando arriva Piramo, trova il mantello di Tisbe, sospetta la tremenda sciagura, e si uccide. Fu allora che i frutti del moro divennero rossi, tanto che Tisbe, ritornando sul posto, stenta dapprima a riconoscere l'albero dell'appuntamento. Poi vede Piramo, ricostruisce l'accaduto, e si uccide sul corpo dell'amato.
È facile riconoscere nelle letterature moderne le più celebri derivazioni letterarie da questa antica leggenda, che la coloristica fantasia ovidiana ha reso accetta e famosa. Anche nel Medioevo essa godette di un particolare favore, non solo per il senso letterale dolcemente tragico e affettivo, ma anche per la facilità che offriva all'interpretazione allegorica o anagogica: Tisbe è l'anima umana, Piramo il salvatore, la parete è il peccato originale; il leone naturalmente è il diavolo, secondo la figurazione simbolica del Medioevo, che probabilmente si deve riconoscere anche in Dante.
Bibl.: O. Immisch, in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythol., III, ii, col. 3335, Lipsia 1909; E. Rohde, Der griech. Roman, 3ª ed., ivi 1914.