PIRAMIDE
Egitto. - Tomba di faraoni in foggia della figura geometrica che da essa prese nome. In egiziano si chiamava mer e s'ignora donde derivi il greco πυσαμις. Questo tipo strano di costruzione si riconnette alla mastaba (v.) delle prime dinastie. Al tempo di Ṣôśer (circa il 2700 a. C.) l'architetto incaricato di erigere la sepoltura reale a Saqqārah (non lungi dall'antica Menfi), invece di limitarsi a costruire una semplice mastaba, ebbe l'idea fastosa di sovrapporne sei, per 60 metri di altezza, che andavano restringendosi e impiccolendosi lievemente. È la cosiddetta "piramide a scaglioni", la quale, come venne giustamente rilevato meglio si designerebbe "mastaba a scaglioni". Piacque e fu di moda per un po'; poi, una sessantina di anni dopo, sotto Śenfôre, per la prima volta gl'immensi gradini vennero riempiti e rivestiti di pietra, ottenendo quattro facce lisce, triangolari, inclinate e toccantesi al vertice. Questa è la piramide di Dahshūr (a sud di Saqqārah), larga 213 metri, alta 99. A suo figlio Cheope (v.) spetta la maggiore delle tre presso al-Gīzah (dirimpetto al Cairo Vecchio, a circa 8 km. dalla riva sinistra del Nilo), una delle meraviglie del mondo.
L'edificio venne elevato in un luogo ben visibile, sopra un altipiano, e si dovette procedere a un lungo lavoro per adattare il terreno. Esso si estendeva per non meno di 54.300 metri quadrati (più di tre volte la basilica di S. Pietro in Vaticano). Il piano primitivo era di modeste proporzioni. La camera del sarcofago venne collocata allora sotterra più di 30 metri, tagliandola nella viva roccia, e vi si accedeva per un lungo corridoio di 98 metri circa. Durante la costruzione venne mutato il progetto. Qualcuno ha supposto che accadesse per la morte dell'architetto, ma non è ragione sufficiente. Evidentemente si vollero dare alla tomba proporzioni colossali. Nel secondo progetto la camera del sarcofago venne elevata nell'interno stesso della piramide ed è quella che erroneamente fu un tempo designata la "camera della regina". Per ignoti motivi, neppure questa fu la soluzione definitiva. Si procedette ad un nuovo cambiamento e la camera venne trasferita più in alto, quasi al centro dell'edificio, scaricando il peso sulla cella con cinque piani sovrapposti. Questa ha le pareti in granito e a posto ancora vi si vede la parte inferiore del sarcofago. Era collegata per mezzo di una grande galleria, rivestita di calcare bianco, al corridoio della cosiddetta camera della regina, 19 metri dall'ingresso. L'accesso venne inibito posandovi un blocco di granito a botola, e, secondo Strabone (XVII, 808), anche l'entrata principale, aprentesi sulla diciottesima fila delle pietre, era fornita di una simile pietra mobile; come del resto, si trovò a Dahshūr. La piramide raggiunse dimensioni enormi. Il lato orizzontale si estendeva per metri 230,38; l'altezza al vertice era metri 146,59; quella delle facce (inclinate di 51°50′), metri 186,50. I massi che la costituiscono sono di calcare giallastro che, secondo ogni probabilità, venne estratto dalle cave immediatamente circostanti; invece il rivestimento all'esterno fu fatto tutto di calcare fino. Erodoto (II, 125) e Diodoro (I, 64) affermano che la superficie era coperta di iscrizioni che narravano quanto fosse costata l'erezione del monumento; ma è una notizia falsa. Si calcola che la costruzione, il cui volume è di 2.521.000 metri cubi, abbia richiesto almeno 2.300.000 blocchi di due tonnellate e mezzo. Una parte venne tagliata nelle cave di Troia, di là del Nilo. Sono tuttora visibili, a oriente della piramide, tracce dell'antica via massicciata che serviva per l'inoltro del materiale. Era lunga quasi un chilometro e larga 20 metri almeno. Secondo la tradizione erano occorsi dieci anni a prepararla. L'intera opera avrebbe impiegato ogni tre mesi 100.000 uomini per venti anni; senza dubbio, esagerazioni di ciceroni. Non abbiamo alcun elemento per correggere quanto Erodoto riferisce. Di solito, i lavoranti dimoravano sul luogo e una grande borgata si formava per ospitarli. Sappiamo che essi erano ripartiti in squadre di un migliaio di persone, suddivise in quattro sezioni e ancora in gruppi minori (10?), onde agevolare la sorveglianza. Gli scribi addetti a questa notavano sopra le pietre il nome della squadra, il giorno, il mese e l'anno della consegna.
La piramide costituiva la tomba vera e propria dei re; i riti funerarî si svolgevano in una cappella posta sul lato orientale, della quale resta traccia del pavimento in basalto. Una galleria la poneva in comunicazione con la valle, dove si trovava l'ingresso monumentale (sotto il villaggio arabo Kafr-as-Sammān). Piccolissime piramidi vennero erette per la famiglia reale; tutto il complesso era recinto da un alto muro.
La seconda piramide d'al-Gīzah appartiene a Chefren. È ad un livello più alto della precedente e ne dista 120 metri (a sudovest).
Per farvi posto a occidente e a settentrione venne rimossa la roccia, ad oriente invece accumulate grandi gettate di pietra. Anche qui si era da principio fatto un piano per un modesto edificio, la cui camera e un corridoio rimangono sulla fronte della piramide attuale. L'altra camera, più a mezzogiorno, è sotto l'asse di essa, alta metri 6,86, lunga 14,09, larga 4,94. È scavata in parte nella roccia e la ricoprono lastre di calcare. Vi si penetrava attraverso una galleria aprentesi a 15 metri dal livello del suolo, lunga 32 metri e rivestita di granito. Per trasportare il sarcofago dalla vecchia cella alla nuova si stabilì una comunicazione interna tra le due. La piramide era alta metri 143,50. Le facee, inclinate 53°10′, misuravano alla base metri 215,25 e in altezza 179,40. Il volume era di 1.866.700 metri cubi. A renderlo più duraturo, il monumento venne rivestito con blocchi colossali di granito. Avanzi della cappella funeraria si scorgono a oriente; il magnifico ingresso a valle, pure in granito, è ai piedi della sfinge.
La piramide del re Micerino è la minore delle tre, giacché misura appena metri 66,40 di altezza e 108 di base (inclinazione 51°).
Qui non si nota spostamento della camera; ma la primitiva fu ideata leggermente più bassa, come mostra un corridoio obliquo che rimane. È preceduta da un vestibolo alto metri 2,13, lungo 3,66, largo 3,05, e si raggiunge l'esterno per una galleria, in parte nella roccia, in parte nella massa, di metri 31,70. La camera è in una nicchia (metri 4 × 10,46 × 3,84). Al tempo saitico, forse, essa venne restaurata in granito. Il monumento non sembra essere stato portato a termine sotto il regno di Micerino; il rivestimento granitico era stato condotto solo in parte, l'estremità venne poi compiuta con blocchi di calcare.
Un altro re della IV dinastia, Ṣeṭwefrîe, ebbe per tomba la piramide di Abū Ruwāsh (al-Qa‛ah), 8 km. a nord-ovest di quelle di al-Gīzah; i faraoni della V, quelle di Abūṣīr, sempre parallelamente alla riva sinistra del Nilo, fra al-Gīzah e Saqqārah. Onnos e i successori delle VI-VIII tornarono a costruirne a Saqqārah. Nell'interno di queste sono scritti numerosi testi magici di somma importanza per la civiltà antica (v. egitto: Letteratura). I monarchi della XII eressero una di quelle di Dahshūr, quella di Lisht (più a sud) e, nel Fayyūm, quelle di Illāhūn e Hawwārah. In totale arrivano alla settantina le oggi note; ma nessuna può competere con quelle di al-Gīzah.
Più tardi, nel sec. VII, in Nubia fu ripreso l'uso di edificare piramidi come sepolture reali e nelle vicinanze di Napata e di Meroe ne sorsero parecchie.
Sulle grandi piramidi sono corse molte leggende. Già Erodoto raccolse nel paese ingiuste accuse di empietà e di crudeltà contro Cheops: rimasto a corto di mezzi avrebbe fatto perfino mercato della figlia! I nomi dei costruttori furono mutati e pure un ignoto pastore, Philitis (Erodoto, II, 128), venne tirato fuori. Oggi i cartelli rinvenuti sui monumenti non lasciano più dubbio sull'identità. Anche sullo scopo degli edifici nacquero storielle. Per alcuni erano nascondigli di tesori, perché non cadessero nelle mani dei nemici o dei posteri; per altri, archivî immensi; per altri ancora, luoghi di culto ovvero osservatorî astronomici. Più diffusa è la credenza che fossero granai, o quelli edificati da Giuseppe oppure dagli Israeliti al tempo di Mosè. Negli ultimi due secoli non sono mancati coloro che nelle dimensioni delle piramidi hanno voluto trovare prove di misteriose dottrine astronomiche e matematiche assolutamente ignote agli Egiziani antichi. Qualche scrittore arabo, al contrario, aveva esatta nozione intorno a questi monumenti per le mummie rinvenute. Una leggenda narra di tre idoli magici, adibiti alla guardia di ognuna, che causavano la morte a chi avesse osato penetrarvi. Un'altra concerne lo spirito della piramide meridionale, che in forma di una bella giovane nuda si offriva a chi si avvicinasse. La pazzia era la sorte che toccava all'incauto, il quale correva vagabondo per il paese.
Grecia e Roma. - Se le piramidi egizie sono a buon diritto le più celebri del mondo, esse non sono le sole che siano state erette nell'antichità, giacché monumenti di forma piramidale, o coronati da una piramide, esistettero o esistono anche in Nubia, in Abissinia, in Fenicia, in Palestina, a Cipro, in India, nel Siam, in Grecia, in Germania, in Etruria, nel Lazio, e anche in America e in Oceania. E come nello spazio, così questi monumenti sono diffusi anche nel tempo: dalle età preistoriche, in cui s'innalzarono monoliti di forma piramidale, sino all'età imperiale romana, in cui si costruirono piramidi in muratura, dalle porte di Roma alla Germania romanizzata.
I Greci connettevano la piramide col fuoco; sia per la sua forma esteriore, sia per il suo significato simbolico, si ha ragione di credere che in tutto il mondo greco-etrusco-romano la piramide fosse considerata simbolo del sole raggiante; e anche nel mondo classico, come nell'egizio, l'uso e il significato simbolico della piramide sembrano fondersi con quello di altre due categorie di monumenti: la piramide tronca e il cono intero e tronco. Non abbiamo per il mondo greco-italico notizia di piramidi-templi, come quelle che si innalzarono nel Messico e nel Perù: sicché il valore primitivo di puro simbolo e d'offerta agli dei va ricercato, a riscontro con le piramidette rappresentate su tavole di banchetti divini e funebri, nelle piramidette che coronano i cornucopia, e forse anche nelle piramidette tronche, di solito di terracotta, che si rinvengono in gran copia nelle città e nelle necropoli protostoriche e storiche d'Italia e di fuori, e a cui si seguita a dare convenzionalmente il nome di "pesi da telaio", in mancanza di una spiegazione che soddisfi tra le tante proposte. Invece il monumento-piramide ha nel mondo classico, come in Egitto, destinazione sepolcrale. La tomba di Porsenna presso Chiusi era costituita da un gruppo di piramidi, della cui disposizione ci dà un'idea la cosiddetta "tomba di Arunte" sulla via Appia, tra Albano e Ariccia, costituita, anziché da piramidi, da coni tronchi. Una tomba più tarda in forma di piramide ottagonale tronca si trovò pure in Etruria, presso Caere. Presso la Porta S. Paolo a Roma resta la piramide di Gaio Cestio, alta 37 m. e con la base di 30 m. di lato; un'altra tomba piramidale, detta "meta Romuli" o "sepulcrum Scipionis", all'incrocio della via Cornelia con la via Trionfale, in Borgo, fu distrutta nel 1499 da Alessandro VI per l'apertura della nuova strada da Castel S. Angelo al Vaticano, e forse anche per togliere dinnanzi al Castello ogni elemento che potesse pregiudicarne la difesa.
V. tavv. LXXXIII e LXXXIV.
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Grecia e Roma. - Scharff, in Ebert, Reallexikon der Vorgeschichte, IV, 2 (1926), p. 473, s. v. Greab; R. Dussaud, Les civilisations préhelléniques dans le bassin de la mer Égée, 2ª ediz., Parigi 1914, pp. 346, 349; F. Dressel, Die belgisch-germanischen Pfeilerdernkmäler, in Römische Mitteil., 1920, p. 27 segg.; P. Orsi, Gela, in Monum. Lincei, XVII (1906), col. 678 segg., E. Pottier, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiq., I, ii (1887), p. 1514 segg., s. v. cornucopia; H. Jordan e C. Hülsen, Top. d. Stadt Rom., I, 3, Berlino 1907, pp. 179, 659 seg.
La battaglia delle Piramidi.
È la prima importante battaglia terrestre della spedizione del generale Bonaparte in Egitto (1798-1799).
Appena occupata Alessandria, e stabilitavi una pubblica amministrazione locale sotto controllo francese, Bonaparte lasciò poche migliaia di uomini a presidiare la città, e avanzò con il grosso delle forze all'occupazione del Cairo, di cui gli premeva impossessarsi prima del prossimo inizio delle inondazioni del Nilo. Il generale in capo assicurò i rifornimenti del corpo d'operazione mediante un convoglio di galleggianti, che doveva rimontare il Nilo, costantemente mantenendosi all'altezza delle truppe.
Alla difesa del Cairo, Murād bey, il più potente fra i feudatarî egiziani, riconosciuto come il principe dei guerrieri da tutti i Mamelucchi, aveva riunito circa diecimila cavalieri e ventimila ausiliarî appiedati, con scarsa, antiquata e mal servita artiglieria. Si erano uniti a quelle forze i pochi giannizzeri del sultano, guidati dallo stesso pascià del Cairo, il quale, dopo alcune incertezze, aveva preso partito (a malgrado dell'allettamento epistolare con il quale Bonaparte aveva tentato di adescarlo) per il più minaccioso, perché più vicino, di coloro che si contendevano la sua amicizia.
Le forze egiziane erano ripartite sulle due sponde del Nilo; quelle sulla destra agli ordini di Ibrāhīm bey, quelle sulla sinistra comandate da Murād bey.
Bonaparte, seguendo la sinistra del Nilo, si mise in marcia verso il Cairo con cinque divisioni di fanteria (Desaix, Reynier, Bon, Dougna, Menou) e poca cavalleria (35.000 uomini in tutto), adottando una formazione speciale, adatta alle circostanze e costituita da quadrati disposti a scacchiera, con gl'impedimenta nell'interno dei quadrati.
L'avanzata fu regolata sul disegno di manovra, il quale mirava ad addossare l'avversario al fiume.
Murād lanciava i Mamelucchi con grande foga contro la destra francese, ma le divisioni Desaix e Reynier resistevano saldamente, mercé il reciproco fiancheggiamento dei quadrati. Tutta quella massa di cavalli lanciati alla carriera fu, in breve, dispersa. I Mamelucchi nella fuga scoprirono il loro campo e i Francesi, senza abbandonare le loro formazioni spinsero all'attacco alcuni battaglioni formati in colonne d'assalto. Il campo nemico venne rapidamente preso.
Intanto le forze di Ibrāhīm bey restavano immobili sull'opposta riva per parare ad eventuali sorprese. Dei navigli da carico egiziani, adibiti ai rifornimenti, molti vennero incendiati dagli stessi Mamelucchi.
Il successo francese fu rapido e completo, con la sola perdita di 300 uomini. Perdite degli Egiziani: 7000 uomini.
Ottenuta la vittoria delle Piramidi, nella quale fu sanguinosamente disfatta la più numerosa schiera che fosse dato ai Mamelucchi di mettere insieme, e dopo avere stabilito il suo quartier generale al Cairo, Bonaparte riprese su basi più solide a sviluppare il suo piano, politico non meno che militare, per la sottomissione del paese.