PIOMBINO (A. T., 24-25-26 bis)
Città marittima della Toscana nella provincia di Livorno, da cui dista oltre 70 km. verso sud. La città è posta sulla testata meridionale del promontorio cui dà il nome, protendendosi verso ponente con lo sperone roccioso spianato sul quale sorgono cospicui fabbricati scolastici. Già capoluogo di un principato autonomo aggregato al granducato nel 1815, era allora un piccolo centro di 1500 ab., sviluppatosi successivamente in seguito ai lavori di bonifica che, iniziati nel 1832 e attraverso varie vicende continuati a tutt'oggi, valsero a prosciugare, con le colmate della Cornia, la palude di Rimigliano, e ad acquistare all'agricoltura nuovi terreni. Al censimento del 1861 il comune di Piombino (vasto 134 kmq.) contava 3280 ab.; e di poco si accrebbe nel ventennio successivo tanto che nel 1881 la popolazione censita fu di 4076 ab. Ma ciò che valse a sviluppare considerevolmente la città fu l'impulso dato all'industria siderurgica; dopo alcuni tentativi a partire dal 1864, e seguiti dall'impianto della "Magona d'Italia" per la fabbricazione delle bande di ferro stagnate, fondata nel 1891, e successivamente da quello degli alti forni e acciaierie della Società Ilva e da stabilimenti accessorî, Piombino divenne uno dei più considerevoli centri dell'industria siderurgica, della Toscana e d'Italia. Così al censimento del 1901 il comune contava 19.660 abitanti, di cui 16.249 per la città; a quello del 1931 la popolazione era salita a 26.238 abitanti per l'intero comune e a 22.951 per il solo centro urbano. Questo con l'accrescersi della popolazione ha veduto sorgere un nuovo aggregato sulla costa orientale del promontorio nella località di Portovecchio e in tutta la costiera adiacente sino alla foce della Cornia, dove sorsero i grandi stabilimenti industriali sopra ricordati. Piombino è così la città toscana che, proporzionalmente, ha avuto negli ultimi decennî un incremento maggiore. In seguito a questo suo grande sviluppo industriale e demografico Piombino presenta un carattere quasi del tutto moderno, salvo, in parte, nell'antico nucleo urbano ove qualche costruzione e la topografia stradale ricordano il suo passato.
Piombino ha un porticciolo capace solo di accogliere piccole imbarcazioni. Lo scalo migliore è a Portovecchio, dove a ridosso del promontorio si apre una rada nella quale le navi possono ancorare e dove appositi pontili permettono l'imbarco e lo sbarco delle merci. Gli alti forni posseggono una propria darsena per lo scarico del minerale di ferro proveniente dall'Elba. Le comunicazioni terrestri di Piombino avvengono per un tronco speciale di ferrovia di 14 km. che la congiunge alla stazione di Campiglia Marittima della linea Roma-Livorno. Una stazione di detta ferrovia funziona anche per Portovecchio.
Un servizio bigiornaliero di piccoli piroscafi è stabilito tra Piombino e Portoferraio, uno quotidiano funziona per gli scali elbani di Porto Longone, Cavo e Rio Marina e un servizio bisettimanale mette in comunicazione Livorno con la Capraia, la Gorgona, Pianosa e altri centri costieri dell'Elba.
Storia. - Del castello di Piombino fanno menzione per la prima volta documenti e cronisti della prima metà del sec. XII, che attestano antichi diritti su quelle fortificazioni dei monaci del contiguo monastero di Falesia, e parlano di saccheggi inflitti dai Genovesi, tra il 1125 e il 1126, al castello e al vicino borgo difesi con poca fortuna da milizie pisane. Da allora in poi Pisa esercitò giurisdizione sulla terra per mezzo di un governatore con funzioni militari e giudiziarie. Nel 1374 Pietro Gambacorti, signore di Pisa, dové sottomettere colla forza una ribellione di famiglie piombinesi avverse al suo partito. Venticinque anni dopo Gherardo d'Appiano, cedendo Pisa a Gian Galeazzo Visconti, riserbava per sé e per i suoi successori il dominio di Piombino, di alcune terre limitrofe e dell'isola d'Elba. Da quel momento Piombino divenne uno staterello indipendente, elevato a principato nel 1594 dall'imperatore Rodolfo II. Le sue vicende sono collegate a quelle delle famiglie che lo possedettero, gli Appiano, e poi i Ludovisi e i Boncompagni, ma per la sua positura, a guardia del canale che lo separa dall'isola d'Elba, fu insidiato più volte da potentati italiani e stranieri, che ne ambirono il domino, profittando anche di discordie per la successione tra i componenti la famiglia dominante.
Così, quando verso la metà del sec. XV, la vedova di Gherardo d'Appiano volle farne signora la figlia Caterina, moglie di Rinaldo Orsini, usurpando i diritti dell'erede legittimo, Emanuele, suo cognato, questi provocò contro Piombino prima le armi di Baldaccio d'Anghiari, poi quelle d'Alfonso d'Aragona, respinte dal valore dei Piombinesi e di Rinaldo. Morta Caterina, gli Anziani della città, che insieme ai loro consigli conservarono intatte le franchigie pisane, proclamarono signore Emanuele. Questi e i suoi discendenti governarono sotto la protezione di Napoli e provvidero al benessere dello stato con nuovi privilegi ai sudditi, con la costruzione di nuovi edifici, con sagge provvidenze economiche. Sennonché nel 1501, Iacopo IV, valoroso capitano al servizio di varî stati e ottimo principe, si vide tolto il potere dalle arti e dalle armi del Valentino, che in quell'occasione visitò col padre il nuovo acquisto. All'elezione di Giulio II l'Appiano riebbe il suo dominio, fra il giubilo dei sudditi che beneficò con nuove franchigie; ma, per evitare insidie future, si pose sotto la garanzia della Spagna e ottenne dall'imperatore regolare investitura. Fu un male perché nel 1548 Carlo V, impressionato dalle minacce turche all'isola d'Elba mal difesa dagli Appiano, e sollecitato da Cosimo I de' Medici desideroso di ampliare i proprî dominî, finì col permettere a costui di presidiare e fortificare Portoferraio e infine di occupare, sia pure temporaneamente, Piombino; solo nel 1557, quando ottenne il possesso di Siena, Cosimo si decise a renderlo a Iacopo VI, legittimo signore. Questi, disgustatosi coi sudditi per aver violato certi loro privilegi, preferì militare con onore come comandante della marina toscana, lasciando il governo al figlio naturale Alessandro, che poi gli successe nel dominio. L'uccisione di questo, dovuta a sue dissolutezze, e la minore età dell'erede Iacopo VII, parve render possibile il passaggio di Piombino alla Spagna, che già vi teneva un presidio. Il pericolo si rinnovò alla morte di Iacopo VII, finché, per intercessione del granduca di Toscana, non ebbe il potere una sorella del defunto, spodestata alla sua volta per le brighe di Spagna, dell'Impero e dei Medici. Nel 1634 Piombino, nonostante le proteste di un ramo collaterale degli Appiano, fu assegnata a un genero di Isabella, Niccolò Ludovisi. I membri di questa famiglia, infeudati alla Spagna, da cui ottennero uffici onorevoli, poco si preoccupavano dello stato, che dové sopportare dal 1646 al 1650 una occupazione francese voluta dal Mazzarino. Nel 1702 Piombino passò a un Boncompagni, marito dell'ultima dei Ludovisi, e poi ad altri della stessa famiglia, costretti, durante le guerre di successione, a tollerare volta a volta presidî spagnoli, imperiali e napoletani. Dopo la pace di Aquisgrana anche Piombino ebbe un po' di pace; e i suoi signori, quasi sempre assenti dai loro dominî, lasciavano liberi gli Anziani di provvedere ai bisogni dei sudditi. Ma dal 1796 in poi Piombino vide tra le sue mura milizie inglesi, francesi (che v'istaurarono un'effimera repubblica) e napoletane; dopo Marengo fu occupata nuovamente dai Francesi e nel 1803 annessa alla Francia; nel 1805 fu destinata da Napoleone alla sorella Elisa e a suo marito Felice Baciocchi, che si occupò assai della prosperità del dominio, curandone l'industria e il commercio e promulgando savie leggi e un codice rurale giustamente apprezzato. Caduto Napoleone, con l'atto finale del congresso di Vienna, Piombino fu unita alla Toscana previo un indennizzo pecuniario ai Boncompagni.
Battaglie e assedî. - Piombino fu attaccata per terra e per mare varie volte nei secoli passati. Nel 1289 i Guelfi cacciati da Pisa e rifugiatisi a Piombino vennero sconfitti dai Ghibellini che s'impadronirono della città e la devastarono; i superstiti si salvarono con la fuga. Nel 1448 Alfonso V d'Aragona, in guerra con i Fiorentini, aveva posto a Populonia i proprî quartieri invernali, mentre una flotta di 10 galere, al comando di B. Requenses, bloccava dal mare ogni comunicazione tra la piccola guarnigione di stanza a Piombino (comandata da Rinaldo Orsini) e il resto dell'esercito e delle navi di Firenze. Per terra, un esercito comandato da Sigismondo Malatesta e Federico di Montefeltro fu costretto a ritirarsi; per mare, due galere fiorentine furono affondate dalle navi aragonesi, e altre due si salvarono a stento. Ma l'Orsini resistette, e il re, prolungandosi l'assedio, vide la malaria far vuoti nelle file dei suoi militi, parecchie artiglierie scoppiare perché logore, i tiri della flotta dal mare quasi sempre inefficaci, la popolazione solidale con la guarnigione e disposta a resistere a oltranza; e dovette infine rinunziare all'impresa.
Nell'estate del 1501 Cesare Borgia, impadronitosi di Faenza e di Firenze, volle snidare da Piombino Iacopo Appiano, che vi si era rifugiato dopo aver ceduto il resto delle terre; l'Appiano dapprima resistette, ma infine dovette cedere, tanto più che all'esercito del Borgia era venuta in appoggio una flotta pontificia. L'Appiano riparò in Francia, e poco dopo la guarnigione si arrese.
Nel 1555 i pirati barbareschi Dragut (Dorghut) e Piale Pascià, con 68 galere e 25 galeotte, entrarono nel canale di Piombino e sbarcarono una parte degli uomini presso il castello di Populonia, costringendo i militi della guarnigione ad asserragliarsi nel castello stesso. Altri 3000 uomini sbarcarono per attaccare Piombino; ma sia l'uno sia l'altro contingente vennero assaliti e violentemente ricacciati dalle truppe medicee sopraggiunte: molti furono uccisi, altri costretti a riprendere la via del mare. Esito uguale ebbe un altro sbarco tentato poco lontano da Piombino. I pirati ripresero infine il largo.
Una flotta franco-portoghese, comandata dal maresciallo Charles de Meilleraye, sbarcò il 1° ottobre 1646 un contingente di truppe a Piombino per cacciarne gli Spagnoli. Questi, un'ottantina appena, resistettero pochi giorni e quindi cedettero la posizione.
Neanche quattro anni dopo, nel maggio del 1650, contro i Francesi fu inviato un corpo di spedizione spagnolo, al comando di don Giovanni d'Austria: le truppe si divisero in due parti, essendo due gli obiettivi, cioè la riconquista sia di Piombino sia di Porto Longone. Il conte di Conversano, con 2000 circa tra cavalieri e fanti rinforzati da altri 1400 uomini del principe Ugo Boncompagni-Ludovisi, sbarcò il 30 maggio e pose l'assedio alla città. La guarnigione resistette energicamente, e cedette solo per il tradimento di alcuni disertori, che indicarono al Conversano un passaggio sotterraneo. Una parte della guarnigione, anzi, resistette ancora qualche giorno nel castello, e, arrendendosi da ultimo, fu lasciata libera di rimpatriare.
Bibl.: A. Dati, Plumbinensis historia, in A. Dathi Opera, Siena 1503; A. Cesaretti, Storia di Piombino, Firenze 1788-89; L. Capelletti, Storia della città e stato di Piombino, Livorno 1897; A. De Agostini, Istoria dell'assedio di Piombino del 1448, in Muratori, Rer. Ital. Scrip., XXV; L. Rossi, La guerra in Toscana nel 1447-48, Firenze 1903.