RAJNA, Pio
Filologo, nato a Sondrio l'8 luglio 1847, morto a Firenze il 25 novembre 1930. Alunno di A. D'Ancona e di D. Comparetti nell'università e nella Scuola normale superiore di Pisa (1864-68), insegnante di latino e greco nei licei di Modena e di Milano (1868-74), fu nel 1874 chiamato alla cattedra di letterature romanze, di nuova fondazione, nell'Accademia scientifico-letteraria di Milano, passando in seguito a quella di lingue e letterature neolatine nell'Istituto di studî superiori e di perfezionamento a Firenze (1884-1922). Insigne maestro dell'indirizzo storico come positivo accertamento di fatti e conquista di scienza nel suo valore oggettivo, il R. fu in Italia, nell'ambito della sua disciplina alla quale diede un contenuto personale di pensiero e di dottrina, il più forte e tenace indagatore, sia per potenza di analisi e larghezza di visuale storica, sia per severità di metodo e solidità di costruzione erudita. Le Fonti dell'Orlando Furioso (1876; 2ª ed., 1900) e Le origini dell'epopea francese (1884) sono le sue due opere maggiori: l'una di critica analitica, l'altra di critica ricostruttiva; ma storia l'una e l'altra di un contenuto epico e romanzesco che il R. persegue nel suo secolare svolgimento, lungo i cammini di una tradizione ricostruita sul fondamento della comparazione tematica, e con la scomposizione logica dal complesso al semplice.
Sin dagl'inizî della sua attività scientifica il R. s'immise nel filone centrale della comparazione tematica e fu singolarmente lo studioso delle origini "non tanto delle forme letterarie quanto delle singole invenzioni". Dopo avere scoperto nel poema del Pulci l'epopea dei cantori di piazza (La materia del Morgante in un ignoto poema cavalleresco del sec. XV, 1869), attraverso le vicende di un solo racconto (La rotta di Roncisvalle nella letteratura cavalleresca italiana, 1870; La leggenda della giovinezza di Carlo Magno, , 1871) o le sorti di un dato personaggio (Rinaldo da Montalbano, 1870; Uggeri il Danese, 1873), il R. individuò nei poemi francoveneti del codice XIII Marciano (La Geste Francor, in facsimile, 1925) l'anello di congiunzione tra la letteratura cavalleresca francese e le narrazioni toscane, in verso e in prosa, del sec. XV (Ricerche intorno ai "Reali di Francia", 1872). Temperando le eccessive costruzioni ideologiche di L. Ranke e piegando a più duttile verità gli schematismi troppo assoluti di G. Paris, il R. riuscì a determinare i modi di rinarrazione, rielaborazione e svolgimento della materia di Francia che sta a fondamento del romanzo cavalleresco italiano. A conclusione e a sintesi di tutti queste indagini sta lo studio sulle fonti, classiche e medievali, dell'Orlando Furioso. Qui il R. spazia oltre i consueti paralleli letterarî, perché si sforza costantemente di toccare il fondo di quel mondo dell'immaginazione, nelle cui oscurità gli elementi primordiali di ogni invenzione giacciono stratificati: alluvioni successive di correnti culturali che attestano i vicendevoli rapporti di popolo e popolo. In tal senso si devono considerare anche le Origini dell'epopea francese, l'opera che fondò la fama europea del R. Con idee che ribadì più tardi (Storia ed epopea, 1909), egli affrontò il problema, che affatica ancor oggi, del rapporto tra canto epico e tradizione storica, tra verità oggettiva e poesia. Il R. attestò per le epopee francese e germanica una comunanza di narrazioni favolose, di motivi leggendarî e di procedimenti inventivi; e da quelli che erano diffusi temi di racconti universali o semplici imprestiti di popolo a popolo, ossia aspetti culturali del mondo franco-romano, congetturò gli archetipi: non celtici, non latini, non romanzi, ma germanici; a ogni modo origini neppur esse in senso assoluto. Egli aprì uno iato tra la materia epica tradizionale e lo spirito animatore dell'epopea carolingia, e tali posizioni, rinsaldate con indagini topografiche e geografiche (Un'iscrizione nepesina del 1131, 1886-87; Contributi alla storia dell'epopea e del romanzo medievale, 1889), il R. mantenne anche di fronte alle teorie di J. Bédier, delle quali mise in luce qualche incrinatura (Una rivoluzione negli studî intorno alle "Chansons de geste", 1910). Una storia del romanzo cavalleresco in Italia il R. la ideò, mentre veniva documentandone la tradizione orale e manoscritta (Due frammenti di romanzi cavallereschi, 1873; Il cantare dei cantari, 1878; I "Rinaldi" o i cantastorie di Napoli, 1878); ma non la stese mai, perché volto soprattutto alle indagini tematiche (I cantari di Carduino, 1873; La novella boccaccesca del Saladino e di Messer Torello, 1877; La Storia dei Sette Savi, in ottava rima, 1878).
Da queste ricerche lo trassero in parte i suoi lavori danteschi, di carattere più strettamente filologico, ma in concomitanza con gli altri interessi storici e culturali (Per la data della "Vita Nuova" 1885; La Genesi della "Divina Commedia" 1891; ecc.). Nell'arte di fermare un testo critico e di giustificarlo il R. fu un grande e incomparabile maestro. L'introduzione premessa alla sua edizione del De vulgari eloquentia (1896), per larghezza ed esattezza d'informazione storica, per padronanza tecnica, per acutezza e prudenza di osservazione nel discutere e vagliare i dati della tradizione, per i criterî che vi sono esposti e applicati senza rigidezza assiomatica, rappresanta di per sé una scuola di metodo e rivela il temperamento dello studioso. Su quel testo il R. ritornò più volte (1907, 1921, 1930), mentre intorno al tema sbocciava una flora di studî interessantissimi sulla storia della lingua (Una canzone di maestro Antonio da Ferrara, 1889; I più antichi periodi volgari nel dominio dell'italiano, 1891; La lingua cortigiana, 1901; L'iscrizione degli Ubaldini, 1903; Le origini della lingua italiana, 1901, ecc.), il cui suggello era dato da un'interpretazione sintetica del trattato dantesco (1905) con un saggio di traduzione e commento (1910). I contributi del R. alla storia della latinità medievale, nelle sue particolari deformazioni ortografiche di scuola, gli studî sugli autografi petrarcheschi (De vita solitaria, 1910; De sui ipsius et multorum ignorantia, 1910), sono quanto di più assodato rimase su questioni controverse e, almeno in Italia, non sufficientemente illustrate. La scuola del R. fu soprattutto fede nel valore morale della scienza, amore del vero e dovere di appurarlo con ogni sforzo; così dai suoi corsi universitarî uscirono di volta in volta, con lunga elaborazione e paziente ricerca, la più parte dei suoi preziosi contributi in ogni campo della filologia romanza, ciascuno dei quali è una conquista sicura o una luce nuova (Le corti d'amore, 1890; Le questioni d'amore nel "Filocolo" del Boccaccio, 1902; Tra le penombre della Gaya Sciensa, 1912; Origini del Certame Coronario, 1913; Per la storia delle romanze spagnole, 1915, ecc.). Per il R. tutto era un continuo farsi: "la scienza un perenne divenire"; e la sua opera fu un'ansia instancabile di progresso. Ne diede prova nei suoi ultimi lavori, tra i quali è notevole il Saint Alexis (1929), dove la consumata abilità dell'editore di testi critici, uscendo fuori della tradizione manoscritta, sente il bisogno di chiarire il valore della trasmissione orale attraverso le varietà linguistiche, per chiuderlo in una chiara formulazione teorica e razionale.
Bibl.: La bibliogr. degli scritti del R., compilata da G. Vandelli, in Miscellanea di studi critici dedicati a P. R., Firenze 1911; sulla sua opera: F. D'Ovidio, Saggi critici, Napoli 1878, p. 150 segg.; D. Guerri, P. R. maestro, in Pègaso, gennaio 1931, p. 93 segg.; G. Mazzoni, P. R., in Arch. stor. ital., s. 7ª, XIII (1930), p. 159 segg.; M. Casella, P. R., in Civiltà moderna, 15 ottobre 1931; G. Vandelli, P. R., in Atti dell'Accad. degli Arcadi, VII-VIII (1931).