PINTURICCHIO
Bernardino di Betto, detto il P., pittore, nacque a Perugia forse nel 1454 e morì a Siena alla fine del 1513. Degli Umbri più in vista, e più singolarmente operosi in Perugia e Foligno nella seconda metà del secolo XV, è palese l'influsso nelle sue opere giovanili, nelle quali non è difficile ritrovare anche un ricordo di Benozzo Gozzoli; ma probabilmente è in Bartolomeo Caporali che si deve ricercare il suo diretto maestro.
Il più antico documento dell'arte del P. sembra siano due delle tav0lette con le Storie di S. Bernardino da Siena, del 1473, conservate nella R. Pinacoteca di Perugia: S. Bernardino guarisce un paralitico, la Liberazione di un prigioniero. Altra sua opera giovanile, con ogni probabilità eseguita avanti il 1480, è il Crocifisso con i Santi Cristoforo e Girolamo (Roma, R. Galleria Borghese). Queste pitture minute, accuratissime, eleganti, fanno pensare che, sull'esempio soprattutto del Caporali, egli da giovane abbia lavorato abbastanza spesso in miniatura: è sua una pagina di un messale, con la Crocifissione (Biblioteca Vaticana).
Più che scolaro, egli di Pietro Perugino fu aiuto e collaboratore. Dapprima debbono avere lavorato insieme nelle tavolette di S. Bernardino; sicuramente poi operarono insieme nella Cappella Sistina dal 1481 al 1483. Degli aiuti di Pietro in quest'opera grandiosa certamente il P. dovette essere il più abile e il più operoso. Distrutte le scene della parete di fondo, oggi noi scorgiamo la collaborazione del P. nella Circoncisione dei figli di Mosè e nel Battesimo di Gesù: specialmente nella prima di queste due scene l'opera sua appare preponderante, per quanto così nell'una come nell'altra la direzione del Perugino sia stata rigile e continua.
A Roma il P. fino al 1490 ritornò spesso da solo. Della decorazione eseguita per il cardinale Domenico della Rovere nel palazzo oggi dei Penitenzieri a Piazza Scossacavalli non restano che pochi avanzi; poco rimane anche degli affreschi nel palazzo Colonna, e ancor meno di quelli per Innocenzo VIII nell'appartamento detto di Belvedere in Vaticano. Invece è conservata la decorazione della cappella Bufalini nella chiesa di S. Maria in Aracoeli, con Storie di S. Bernardino. È l'opera più schietta del pittore, che vi si afferma in pieno con i suoi caratteri pure in mezzo a modi comuni all'arte umbra contemporanea. Egli ama narrare con parola piana, e indugia nella piacevolezza dell'aneddoto, ciò che inevitabilmente lo spinge a cercare con compiacenza e a riprodurre con cura mille caratteristiche così dei personaggi come del paese. Mentre il Perugino sa cogliere la sintesi nelle sue composizioni e giunge spesso nelle cose migliori a una rara commozione lirica prontamente comunicabile, il P. svia l'osservazione sua e dei suoi personaggi e di chi ammira i suoi dipinti dietro mille particolari eleganti, curiosi, piacevoli, resi con sommo studio. È soprattutto, per dirla in una parola, un decoratore, un pittore cioè che mira a rendere gaie e ricche, col magistero della sua arte, le pareti affidategli dai committenti. L'antico miniatore, oltre che il sapiente decoratore, ci si rivela nell'affresco della Natività di questo medesimo periodo, in Santa Maria del Popolo.
Agli anni giovanili, non oltre il 1490, appartengono anche alcuni squisiti dipinti su tavola: tra gli altri, le immagini della Madonna col Bambino della Pinacoteca di Trevi, della National Gallery di Londra, della Pinacoteca di Perugia, della Pinacoteca di S. Maria Maggiore di Spello, e, soprattutto, la Madonna della Pace nella sacrestia del duomo di San Severino Marche, senza che dimentichiamo la Madonna col Bambino e Giovanni Borgia dell'Accademia di belle arti di Valenza (Spagna) e il ritratto di giovinetto della Galleria di Dresda.
Dopo una breve sosta in Orvieto (dove ritorna anche qualche anno dopo, e dove, nel duomo, rimangono di lui frammenti d'affreschi di non grande importanza), il P. in due anni, 1493 e 1494, esegue la sua più complessa e celebrata decorazione pittorica affrescando l'appartamento Borgia in Vaticano. Il lavoro fu condotto a termine troppo rapidamente, cioè con troppo larga partecipazione di aiuti: nondimeno - per la varietà dell'invenzione e per la ricchezza dei motivi, oltre che per alcune doti intimamente pittoriche, ed anche per una felice aderenza al mondo figurativo e al gusto degli umanisti (quale, ad esempio, non si riscontra mai nel Perugino) - è questa una delle opere più giustamente celebrate del Rinascimento. I principali misteri della fede cristiana, storie di santi, rappresentazioni allegoriche delle arti liberali, figure di profeti, d'apostoli, di sibille animano le pareti di cinque sale: soltanto però nelle due prime noi riusciamo a trovare con certezza l'impronta dell'arte del maestro. Anche qui, allorché deve cantar le lodi dei santi, isola nella sua composizione un episodio e lo circonda di innumerevoli particolari esteriori: nella scena della Disputa di Santa Caterina - che pure è nell'appartamento Borgia la figurazione più sentita e più efficace - la gentile eroina è circondata da una folla di personaggi dalle vesti ricche e strane, introdotti a forza per favorire l'esibizione della rara abilità ornamentale del pittore. Nella Resurrezione è rappresentato, con singolare efficacia il committente papa Alessandro VI.
Per il medesimo pontefice il pittore eseguì alcune storie a fresco, oggi perdute, in Castel S. Angelo. Ritornato in Umbria, dipinse per S. Maria dei Fossi in Perugia un polittico, oggi nella Pinacoteca di quella città, che è tra le sue cose più belle. Nella parte centrale il Bambino Gesù, tra le braccia della Madre, strappa per giuoco dalle mani del piccolo Battista una croce sorretta da una lunga ed esile canna: anche questa volta l'episodio minuto viene a dare un senso di grazia domestica alla maestà della rappresentazione sacra.
Nel 1497 il P. affrescò la cappella Eroli nel duomo di Spoleto, e tra il 1500 e il 1501 quella dei Baglioni in Santa Maria Maggiore di Spello. Rifulgono in quest'opera le qualità più sincere del pittore, non preoccupato dalla necessità di un fasto aulico o di un racconto complicato: egli narra con tutta semplicità, e nel suo accento è una rara forza suasiva. Nell'Annunciazione spicca da un lato l'autoritratto del pittore, quasi adornamento d'una delle pareti nella cameretta della Vergine.
Dal 1502 sino alla morte il P. fece frequenti e lunghi soggiorni a Siena. Sono del 1504 gli affreschi della cappella di San Giovanni Battista in quel duomo: i ritratti di un cavaliere di S. Giovanni di Gerusalemme e di un cavaliere di Rodi debbono essere particolarmente ricordati tra le cose più caratteristiche e accurate del maestro. Nel 1506 compì il cartone della Fortuna, una delle storie graffite nel pavimento marmoreo del duomo, ma già fin dall'anno precedente aveva iniziato la decorazione a fresco nella Libreria Piccolomini al duomo con le Storie di Pio II. Nuocciono a quest'opera - nella quale, nonostante una vecchia tradizione raccolta anche dal Vasari, non si riesce a trovare traccia d'una collaborazione di Raffaello - un'eccessiva monotonia e una mal celata superficialità: nondimeno si finisce col prestare con piacere attenzione al racconto, anche se questo non s'innalza mai al disopra della semplice cronaca e se l'artista si sforza di tenere desto l'interesse con mezzi troppo uniformi. Infine, a Siena, il P. affrescò anche nel palazzo del Magnifico: il resto più importante, una storia di Ulisse e Penelope, è alla National Gallery.
Ancora una volta il pittore tornò a Roma, nel 1508, per affrescare le vele del presbiterio in Santa Maria del Popolo. Le due ultime opere che di lui conosciamo sono la tavola della Vergine Assunta e Santi nel museo di San Gimignano, e la tavoletta con Gesù che porta la Croce a Milano, nella collezione Borromeo. Questo dipinto ha la data del 1513, l'anno medesimo in cui il pittore morì a Siena in mezzo agli stenti, abbandonato dalla pessima moglie Grania. Piccolo, sordo e d'aspetto meschino, dovette a queste misere caratteristiche fisiche così il diminutivo col quale anche oggi è comunemente ricordato, come l'altro di Sordicchio.
Già i contemporanei lo riconobbero giustamente il miglior pittore umbro dopo il Perugino, col quale presenta innegabili affinità pur differenziandosene profondamente: l'amore per la descrizione, spinto all'eccesso, non gli lascia il tempo di gettare uno sguardo sul mondo lontano. Con lui il Vasari è stato inesplicabilmente severo, e soltanto nel corso del secolo XIX - a opera dapprima di G.B. Vermiglioli, e poi principalmente di G. B. Cavalcaselle - è venuto nel giusto onore il ricordo del gentile e piacevole pittore umbro.
Antonio del Massaro da Viterbo, detto il Pastura, è tra i collaboratori e seguaci quello forse che meglio dimostra di avere assimilato qualche carattere esteriore della sua arte. Anche Pier Matteo d'Amelia ha sicuramente collaborato con lui, e ne serba il ricordo insieme con reminiscenze di troppi altri maestri; infine Tiberio d'Assisi forse ancora più sugli esempî del P. che non su quelli del Perugino ha formato la sua maniera. Ma al P. resta soprattutto, da questo punto di vista, il vanto di avere contribuito insieme col Perugino - anche se in misura notevolmente minore - alla formazione di quel carattere umbro che è fondamentale nelle opere giovanili di Raffaello. (V. tavv. LXXV-LXXX e tav. a colori).
Bibl.: Oltre la bibl. citata sotto la voce perugino, cfr.: G. B. Vermiglioli, Di Bernardino Pinturicchio, Perugia 1837; G. Vasari, Le Vite, ed. G. Milanesi, III, Firenze 1878, pp. 493-531; A. Schmarsow, Raphaäel und Pinturicchio in Siena, Stoccarda 1880; F. Ehrle e E. Stevenson, Gli affreschi del Pinturicchio nell'appartamento Borgia del Palazzo Apostolico Vaticano, Roma 1897; G. B. Cavalcaselle e J. A. Crowe, Storia della Pittura in Italia, X, Firenze 1898, pp. 1-71; E. Steinmann, Pinturicchio, in Künstler-Monographien, XXXVII, Lipsia 1898; id., Antonio da Viterbo, Monaco 1901; E. M. Philipps, P., in The great masters in painting and sculpture, Londra 1901; C. Ricci, P., ivi 1902 (e l'ediz. ital., Perugia 1912); W. Bombe, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon (con bibl.).