ORDELAFFI, Pino
ORDELAFFI, Pino (III). – Nacque a Forlì nel 1436, secondogenito di Antonio Ordelaffi signore di Forlì e di Caterina figlia di Gherardo Rangoni, signore di Spilamberto.
Pochi mesi dopo la sua nascita, a causa dell’alleanza di Antonio Ordelaffi con Filippo Maria Visconti, Forlì fu posta sotto assedio da Francesco Sforza, capitano dell’esercito pontificio, nel contesto della lotta del papato contro il duca di Milano. Avendo il gruppo dirigente forlivese deciso di arrendersi e consegnare la città alla Chiesa, Antonio con la moglie e i due figli – Cecco, nato nel 1435, e Pino – furono costretti ad abbandonare la città. Poterono rientrare solo nel 1438, quando Ordelaffi tornò al potere, appoggiato da un’insurrezione popolare.
Il rinnovo del vicariato apostolico degli Ordelaffi su Forlì, che Antonio ottenne solo nel 1443 per via dei suoi difficili rapporti con la Curia pontificia, era esteso anche a Cecco e Pino e nella stessa forma il titolo fu confermato per altri cinque anni nel 1447. Alla morte di Antonio nel 1448, dunque, la successione dei due figli, già titolari del vicariato, non sollevò problemi di legittimità. I due ragazzi furono avviati giovanissimi al mestiere delle armi.
Quando nel 1448 Cecco partì per la sua prima condotta, al seguito di Sigismondo Pandolfo Malatesta, assoldato da Venezia, aveva soltanto 13 anni e comandava già un proprio contingente di armati. Nel 1451 accettò di divenire un ‘raccomandato’ dei veneziani – strinse cioè con loro un contratto di aderenza – e passò al loro diretto servizio con una propria compagnia, suscitando il disappunto di Malatesta.
Per quanto riguarda Pino, la prima notizia relativa a una sua condotta lo mostra nel 1460 nel Regno di Napoli con Giacomo Piccinino. Secondo le cronache, era di salute malferma e questo spiega probabilmente il minore impegno militare rispetto al fratello. C’è da dire, inoltre, che dopo la conclusione della pace di Lodi, il 9 aprile 1454, per gli uomini d’armi le possibilità di ingaggio nell’Italia settentrionale erano diminuite.
Negli anni Cinquanta Cecco e Pino si interessarono poco alle questioni interne e il potere fu di fatto esercitato dalla madre, che chiamò a Forlì il fratello Ugo.
La storiografia locale sottolinea soprattutto la crescente influenza di Ugo Rangoni, che si attirò l’ostilità della cittadinanza. Dalla nostra fonte principale per questi anni, tuttavia, la cronaca del bene informato Giovanni Merlini (Giovanni di maestro Pedrino depintore), emergono piuttosto, rispetto alle primi fasi della travagliata signoria di Antonio Ordelaffi, un significativo consolidamento e una stabilizzazione del quadro istituzionale. Caterina e i figli erano costantemente affiancati, negli atti di governo, dagli anziani e dal Consiglio ristretto detto dei Quaranta. I due organi costituivano un solido appoggio istituzionale per i signori. Questo assetto del potere era in buona parte la conseguenza di una riforma voluta nel 1442 da Antonio Ordelaffi, ma sembra che negli anni della reggenza di Caterina Rangoni il ruolo degli anziani si fosse ulteriormente rafforzato. Il reclutamento degli anziani, inoltre, non era limitato al patriziato cittadino, ma manteneva una base sociale piuttosto ampia, che comprendeva anche gli artigiani.
Nel 1454 scoppiò un tumulto, che fu sedato senza grosse conseguenze. L’antipatia dei cittadini nei confronti del ‘forestiero’ Ugo vi ebbe sicuramente una parte, ma Giovanni Merlini informa che la causa principale fu una gravosa prestanza deliberata il giorno prima dagli anziani e dal Consiglio per acquistare grano, che in quel momento scarseggiava, da distribuire in città. Gli insorti inneggiavano agli Ordelaffi, esprimendo dunque ostilità non soltanto nei confronti di Caterina e suo fratello, ma anche e soprattutto nei confronti delle istituzioni cittadine, espressione di un potere inflessibile e avido, contro cui i cittadini facevano appello alla misericordia e all’amore dei giovani signori, con i quali si identificavano sentimentalmente. I rivoltosi, quindi, riprendevano e amplificavano elementi tipici dell’ideologia principesca, incentrata sulla pietas e la clemenza del princeps e sul suo rapporto diretto con i sudditi, capace di aggirare la rigidità delle strutture di governo. L’episodio riflette dunque in fondo la maturità ormai raggiunta dalla signoria degli Ordelaffi, anche dal punto di vista della rappresentazione del potere.
Nel 1456 Cecco sposò Elisabetta, figlia di Astorgio (II) Manfredi signore di Faenza, nel 1462 Pino si unì alla sorella di questa, Barbara. Dalla fine degli anni Cinquanta i due fratelli cominciarono a svolgere un ruolo più attivo nel governo della città. Nel 1463 Ugo Rangoni lasciò Forlì, secondo Giovanni Merlini, in piena notte, una circostanza che destò sospetto. È in effetti probabile che i nipoti, e in particolare Cecco, che rivendicava il proprio ruolo di primogenito, non vedessero più di buon occhio l’ingerenza dello zio negli affari forlivesi. Nel marzo 1464 Pino partì al servizio di Venezia, in seguito ad accordi presi da Cecco con Bartolomeo Colleoni, capitano della Serenissima. La storiografia locale fa risalire a questo momento l’inizio della discordia tra i due signori e interpreta la partenza di Pino come un allontanamento voluto dal fratello per tutelarsi contro possibili complotti ai suoi danni. In ogni caso, Pino rientrò pochi mesi dopo.
La ricostruzione degli avvenimenti del 1466 è resa difficile dalla situazione delle fonti: il racconto di Giovanni Merlini si interrompe nel 1464, la cronaca di Leone Cobelli ha una grossa lacuna proprio tra il 1466 e il 1480 e gli eventi sono stati tramandati per lo più da testi molto successivi a essi. Quello che è certo è che Cecco morì il 22 aprile di quell’anno e che da tempo era gravemente ammalato.
Sembra che a gennaio, approfittando della malattia del fratello, Pino, con l’appoggio di alcuni esponenti del patriziato e il sostegno del suocero Astorgio (II) Manfredi, avesse organizzato una congiura. Le truppe di Manfredi avrebbero occupato i punti nevralgici della città, mentre Cecco sarebbe stato imprigionato e sarebbe stato ucciso il suo principale consigliere, Francesco Bifolci, che aveva assunto un ruolo di primo piano durante l’infermità del signore. Il 22 aprile, infine, Cecco sarebbe morto pugnalato.
Comunque fossero andate le cose, Pino rimase l’unico signore di Forlì. La situazione, in città, restò però molto tesa. Sempre nel 1466 morì sua moglie Barbara Manfredi e l’anno successivo Caterina Rangoni. Per entrambe, secondo un modulo tipico delle corti rinascimentali, si parlò di avvelenamento e la scomparsa di Barbara allontanò da Pino Astorgio (II). A Forlì furono scoperti vari complotti contro il signore. I rapporti con i Manfredi di Faenza si deteriorarono ulteriormente nel 1468 dopo la morte di Astorgio, a cui succedette il figlio Carlo. Nel 1469 morì anche Elisabetta, vedova di Cecco e sorella del nuovo signore di Faenza e di nuovo circolarono le solite voci di avvelenamento.
Nel gennaio 1470 Pino ottenne da papa Paolo II il rinnovo del vicariato apostolico. Il signore era riuscito a smantellare la rete dei suoi oppositori e si apriva ora per Forlì un decennio di maggiore tranquillità e stabilità interna. Il vicariato fu confermato nel 1473 per Pino e i suoi figli legittimi e naturali, escludendo quindi definitivamente dalla successione i figli di Cecco, rifugiatisi presso lo zio Carlo Manfredi a Faenza. Negli anni Settanta, inoltre, Ordelaffi mise le proprie doti militari al servizio sia del papato che di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano.
Il mestiere delle armi era cambiato notevolmente rispetto al Trecento. I condottieri non erano più avventurieri alla ricerca del miglior offerente, impiegati per pochi mesi in occasione dei conflitti. Le condotte erano ora a lungo termine, di durata in genere annuale o biennale, con possibilità di riconferme. I capitani venivano perciò pagati anche in tempo di pace: le condotte si erano cioè trasformate in qualcosa di simile a rendite fisse, spesso molto consistenti, che in più permettevano agli uomini d’armi che, come Cecco e Pino Ordelaffi, erano anche signori di occuparsi del proprio piccolo Stato tra una guerra e l’altra.
Gli storici locali, sulla scorta dei cronisti, celebrano in Pino la figura del principe mecenate. In realtà, l’azione di Pino si pone in sostanziale continuità con la fase della cosignoria tra i due figli di Antonio Ordelaffi.
Dalla fine degli anni Cinquanta del Quattrocento, nonostante i molteplici focolai di conflitto, le maggiori potenze peninsulari avevano raggiunto un equilibrio e la tensione sulla Romagna, protrattasi per più di un secolo, si era decisamente allentata. La relativa stabilità e, soprattutto, le considerevoli risorse economiche che gli Ordelaffi ricavavano dal servizio militare sono alla base della sistematica politica di investimento nelle opere pubbliche e nella promozione della cultura. La cinta muraria della città fu restaurata e ricostruita nei tratti mancanti. La rocca cittadina di Ravaldino fu ricostruita secondo le tecniche più avanzate, su progetto del fiorentino maestro Giorgio, e anche le fortezze del territorio furono riedificate o ristrutturate. La piazza principale della città assunse un aspetto nuovo grazie al rifacimento e all’abbellimento dei palazzi che vi si affacciavano, sedi dei vari organi di potere. I lavori di rinnovamento interessarono anche i maggiori edifici ecclesiastici cittadini, tra i quali la cattedrale di S. Croce e l’abbazia di S. Mercuriale. Gran parte di questi lavori fu conclusa negli anni di Pino, ma erano stati intrapresi quando Cecco era ancora in vita. La riqualificazione degli spazi pubblici fu accompagnata da una grande fioritura dell’edilizia privata, grazie all’impegno delle principali famiglie del patriziato cittadino. A Forlì erano attivi artisti toscani e veneziani, mentre i signori accoglievano alla propria corte letterati di una certa fama.
In una medaglia fatta realizzare da Cecco nel 1457 egli è definito princeps. E princeps era chiamato Pino in un’epigrafe posta nel 1472 sotto la scala maggiore della rocca di Ravaldino per celebrare i lavori di restauro, e ancora visibile all’epoca dello storico seicentesco Paolo Bonoli (1826, II, p. 192). Nessun esponente della famiglia Ordelaffi si era mai attribuito questo appellativo, che, pur non corrispondente ad alcuna realtà giuridica – Pino e Cecco, come i loro antenati, governavano Forlì con il titolo di vicari apostolici – aveva comunque un significato fondamentale dal punto di vista dell’immagine del potere.
È particolarmente interessante che nell’ultima delle fonti degli Annales Forolivienses (opera compilativa, realizzata secondo le attribuzioni più recenti dall’erudito Paolo Guarini, vissuto tra il 1464 e il 1520, sulla base di testi cronachistici di diversa origine), che tratta gli avvenimenti degli anni 1470-72 ed è caratterizzata da uno stile ricercato ed erudito e da un contenuto fortemente celebrativo della signoria di Pino, questi sia gratificato dell’epiteto di princeps e sia anzi trasformato in una sorta di icona del principe modello. Vale la pena riportare almeno un paragrafo, che si presenta come un esemplare compendio delle virtù principesche: «Letetur autem prefatus ill. princeps qui opere et virtute sua habet splendidum et fulgens dominium cum optima civitate, pulcris terris, oppidis, meniis et copiis ornatissimorum et fidissimorum civium et servitorum. Nec minus homines gaudent habere pro domino clementem, iustum, pium, humanum, fortem, magnanimum, mitem, fidelem et optimum principem, et se ad invicem in laudatis et sanctis operibus cognoscant pro digna memoria et eterna fama» (Annales Forolivienses, p. 101). L’autore potrebbe essere qualcuno vicino agli ambienti di corte. In ogni caso, se si accostano la medaglia, l’epigrafe e gli Annales emerge, pure nella dispersione quasi totale delle fonti sulla signoria degli Ordelaffi, una circolazione di idee e suggestioni che è il prodotto di un forte investimento nella rappresentazione del potere e nella costruzione dell’immagine del signore. Un investimento che non troviamo, con questa consapevolezza, per gli altri esponenti della famiglia signorile, e che ha forse un lontano precedente soltanto nelle innovazioni tentate da Francesco (II) nei decenni centrali del Trecento.
Morta la prima moglie, nel 1469 Pino sposò Zaffira figlia di Taddeo Manfredi signore di Imola, il quale era in lotta con i suoi parenti, i Manfredi di Faenza. Nel 1475, due anni dopo che anche la seconda moglie era morta, come al solito in circostanze sospette, sposò Lucrezia di Gianfrancesco Pino della Mirandola.
Morì nella notte tra il 9 e il 10 febbraio 1480.
Lasciava, come solo erede maschio, il figlio naturale Sinibaldo, di soli tredici anni. Pochi mesi dopo anche Sinibaldo morì, e papa Sisto IV concesse la signoria al proprio nipote Girolamo Riario da Savona, figlio di Violante della Rovere, dal 1473 signore anche di Imola, che entrò in città il 9 agosto 1480. Si concludeva così la signoria degli Ordelaffi su Forlì.
Fonti e Bibl.: Corpus chronicorum bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., II ed., XVIII, 1, IV, pp. 350 s., 359, 373; Iohannis Simonetae rerum gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium ducis commentari, a cura di G. Soranzo, ibid., XXI, 1, p. 377; Annales Foroli-vienses ab origine urbis ad a. 1473, a cura di G. Mazzatinti, ibid., XXII, 2, pp. 96-103; Diario ferrarese dall’anno 1409 sino al 1502, a cura di G. Pardi, ibid., XXIII, 7, p. 48; Cronache forlivesi di Leone Cobelli dalla fondazione della città sino all’anno 1498, a cura di G. Carducci - E. Frati, Bologna 1874, pp. 220- 254; Giovanni di maestro Pedrino depintore, Cronica del suo tempo, a cura di G. Borghezio - M. Vattasso, II, Città del Vaticano 1934, pp. 243 s., 254-258, 270, 274 s., 277-279, 281-284, 290, 298 s., 306, 308 s., 315, 345, 371, 374 s., 377, 394, 398 s., 406 s., 410; Lorenzo de’ Medici, Lettere, a cura di R. Fubini - R. Rubinstein - M. Mallet, Firenze 1977, II, pp. 26 s.; III, pp. 51, 59, 76, 84, 90, 94, 120, 129, 136, 148, 152, 162 s., 168, 178, 230, 240, 247, 373, 339; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca: 1450-1500, Roma 1999-2000, I, a cura di I. Lazzarini, nn. 332, 375; IV, a cura di I. Lazzarini, nn. 127, 218, 289, 324; V, a cura di M. Folin, nn. 160, 250; VII, a cura di M.N. Covini, nn. 218, 221, 228; VIII, a cura di M.N. Covini, nn. 202, 205, 210, 211, 221, 244, 251, 280; X, a cura di G. Battioni, nn. 1, 78, 143, 156, 260, 417, 418. Si veda inoltre: P. Bonoli, Storia di Forlì, II, Forlì 1826, pp. 168-208; M.T. Fuzzi, L’ultimo periodo degli O. in Forlì, Forlì 1937, pp. 69-124; G. Pecci, Gli O., con testo riveduto, note, aggiunte e appendice di M. Tabanelli, Faenza 1974, ad ind.; Storia di Forlì, II, Il Medioevo, a cura di A. Vasina, Bologna 1990, pp. 180-182; S. Spada, Magnifico signore: P. III O., l’ultimo signore di Forlì, Forlì 1998; P.G. Fabbri, L’idea di signoria nella cronaca di Giovanni di Maestro Pedrino, in Studi romagnoli, LII (2001), pp. 129-142; I. Lazzarini, Manfredi, Astorgio (II), in Dizionario biografico degli Italiani, LXVIII, Roma 2007, pp. 653-656.