ROSSI, Pino
de’. – Noto soprattutto per essere il destinatario della lettera consolatoria scrittagli da Giovanni Boccaccio, nacque in data imprecisata, forse a cavallo tra il XIII e il XIV secolo: Boccaccio, infatti, nella Consolatoria (a cura di G. Chiecchi, 1994, § 57) stesa con ogni probabilità nella primavera del 1362 lo descrive «vicino alla vecchiezza». Appartenente al ramo degli Iacoppi dei Rossi d’Oltrarno, figlio di messer Pino di Giovanni de’ Rossi, risiedette nel Popolo di Santa Felicita del gonfalone del Nicchio, nel quartiere di Santo Spirito, dove abitò Boccaccio nei suoi anni fiorentini.
Famiglia fiorentina di antiche tradizioni, a metà del Duecento i Rossi erano stati a capo della parte fedele al Papato nella lotta contro i catari, ricevendone il comando da san Pietro Martire. In ricordo della vittoria fecero innalzare la colonna di granito tuttora esistente davanti alla chiesa di S. Felicita. Qui avevano il patronato della cappella posta a destra dell’altare, dedicata a S. Caterina d’Alessandria, poi venduta nel 1376. Sempre in prossimità della chiesa avevano le loro proprietà cittadine, case e torri, alla discesa del Ponte Vecchio, mentre fuori dalle mura possedevano molti castelli tra Siena e Volterra. Il loro stemma era uno scudo rosso con capo d’Angiò, concesso loro perché combatterono per Carlo, futuro re di Sicilia, alla battaglia di Benevento nel 1266: secondo Giovanni Villani, Stoldo di Berlinghieri de’ Rossi si distinse in questa occasione come portainsegne della Chiesa. Tanto lustro e potenza, tuttavia, furono motivo per la loro esclusione dagli uffici di governo e per l’inserimento nelle liste dei magnati dopo gli Ordinamenti di Giustizia del 1293 e del 1295. Continuarono però a svolgere le carriere di ufficiali forestieri negli altri comuni, tanto che in tale attività dal 1250 al 1350 «il casato che di gran lunga supera gli altri è quello dei Rossi di Oltrarno, il quale con 109 elezioni al proprio attivo ha da solo oltre il 7% del totale degli incarichi censiti (e l’8,6% di quelli esterni allo stato fiorentino)» (Raveggi, 2000, pp. 623 s.).
Rossi si sposò almeno due volte: con monna Lisa, forse morta di peste nel 1348, e con monna Giovanna di Bandino da Lisca, maritata già prima del 1351 (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XXVI 142, c. 288) e imparentata con Andrea di Tello da Lisca, suo compagno di esilio. Da entrambe egli ebbe molti figli, come rivela la Consolatoria (§§ 79 ss.).
Le prime notizie sulla carriera di Pino de’ Rossi lo danno podestà a Faenza nel 1337 e a Volterra nel 1341. In questa occasione è probabile che combinasse il matrimonio della sorella Bandecca con Paolo Belforti, detto Bocchino, erede di Ottaviano signore di Volterra, che fu tra i consiglieri di Gualtieri di Brienne, signore di Firenze dal 1342 al 1343. Il regime signorile durò a Volterra dal 1340 al 1361, prima con Ottaviano e poi con Bocchino; quest’ultimo fu deposto e decapitato il 10 ottobre 1361 in piazza dei Priori a Volterra, anche per volere del governo fiorentino, dieci mesi dopo il fallito colpo di Stato a Firenze.
Sotto Gualtieri, il 6 marzo 1343, Pino de’ Rossi, con il giurista Paolo di Neri Bordoni, svolse la funzione di paciere negli accordi stipulati tra Firenze, Lucca e Pisa. La signoria fiorentina del Brienne non durò molto: sostenuto inizialmente dal patriziato, ne deluse le aspettative, cosicché in breve tempo si susseguirono ben tre congiure, alla prima delle quali, capeggiata dal vescovo di Firenze Angelo Acciaiuoli, cugino di Niccolò, futuro gran siniscalco del Regno di Napoli parteciparono i Rossi, i Bardi e i Frescobaldi. Dopo la cacciata del Brienne (26 luglio 1343), Pino de’ Rossi fu tra i 14 della Balìa (governo provvisorio dotato di poteri eccezionali) guidata dal vescovo. Tra i primi provvedimenti, sotto la spinta del sesto di San Piero Schereggio e del sesto d’Oltrarno (che de’ Rossi rappresentava insieme a Doffo de’ Bardi), si volle cambiare l’assetto cittadino dividendolo in quartieri e non più sestieri. Tutto sarebbe andato a favore di quelli di Oltrarno, perché loro, che pagavano la maggior parte delle tasse in quanto più grandi degli altri sestieri (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, 1910, n. 586) avevano tuttavia un solo priore. In tale circostanza, nacquero i quattro quartieri di Firenze, tutt’ora vigenti: Santo Spirito, San Giovanni, Santa Croce, Santa Maria Novella.
Dopo un’ulteriore insurrezione di popolo, il 22 settembre 1343 si instaurò un altro regime, sostenuto da piccoli artigiani e negozianti, e appartenenti a famiglie che non avevano mai esercitato gli uffici di governo. I Rossi «in blocco» chiesero di essere ammessi tra i popolani (Klapisch-Zuber, 1988, p. 1214), ma la loro richiesta fu respinta. Anzi, vennero presi di mira, insieme ad altri magnati di Oltrarno, dal nuovo governo popolare: nel dicembre del 1343 due Rossi furono confinati (G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, 1991, XIII 28) e nel maggio del 1345 furono confiscati a Rossi «contro ogni debita ragione» (XIII 44) i beni donati dal Comune al padre Giovanni e agli avi.
Pino de’ Rossi risulta tra i capitani di Parte guelfa nel marzo e aprile del 1349 (Archivio di Stato di Firenze, Consulte e Pratiche, 1, c. 2r); nello stesso anno fu ambasciatore del Comune di Firenze presso il re dei Romani, il futuro Carlo IV di Boemia (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. XVI 147, c. 122v), e ancora podestà di Faenza; fu anche tra i promotori della guerra contro gli Ubaldini (1349-50).
Il casus belli fu un’imboscata nella quale morirono due mercanti fiorentini, Mainardo Accursio e Luca Cristiani: «tornando d’Avignone uno Maghinardo da Firenze con due mila fiorini d’oro, gli Ubaldini il seguirono e uccisono, rubandolo sul contado di Firenze» (M. Villani, Cronica..., a cura di G. Porta, 1995, I 25). Per questo assassinio, Francesco Petrarca scrisse una lettera di protesta al Comune di Firenze (la Familiare VIII 10). Vi erano coinvolti altri personaggi legati sia a de’ Rossi sia a Boccaccio: Francesco Benini, poi ricordato nella Consolatoria (§§ 162-166), Iacopo di Donato Acciaiuoli, Niccolò di Bartolo del Buono, dedicatario della Comedia delle ninfe fiorentine (come a «solo amico, e di vera amistà unico veracissimo essemplo»: L, 3) poi decapitato nella congiura del 1360, Francesco Bruni, corrispondente di Petrarca e amico di Boccaccio; infine, era camerario Francesco Nelli, sempre che non ci si trovi di fronte a un caso di omonimia.
L’anno successivo Pino de’ Rossi fece parte della commissione incaricata di cancellare le condanne dei cittadini fiorentini, banditi e residenti a Pistoia, che ne avevano favorito coraggiosamente la riconquista, e tra questi spicca ancora Francesco Benini (Archivio di Stato di Firenze, Provvisioni, Registri 38, c. 206). Nel 1352 fu di nuovo ambasciatore presso il re dei Romani (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. XXVI 147, c. 122v; D. Velluti, Cronica domestica..., 1914, p. 212), e podestà di Perugia nel 1357.
L’episodio più importante della vita politica di de’ Rossi avvenne il 30 dicembre 1360, quando fu condannato a morte e alla confisca dei beni, assieme ad altri undici congiurati, per aver tentato di rovesciare il regime al potere. Solo Niccolò di Bartolo del Buono e Domenico Bandini furono catturati e decapitati in quello stesso giorno, dopo aver rilasciato spontanea confessione. Gli altri dieci condannati riuscirono a fuggire. Erano coinvolti cinque amici di Boccaccio: Pino de’ Rossi, destinatario della Consolatoria, inviata di riflesso anche ad Andrea di Tello da Lisca e Luca di Feo Ugolini (due lanaiuoli di via Maggio suoi compagni di esilio), Niccolò di Bartolo Del Buono e Pazzino di Apardo Donati, che compare testimone del certaldese in un documento di pagamento da parte del Comune di Firenze (Imbriani, 1882, p. 84).
Dopo la condanna Pino de’ Rossi si rifugiò a Volterra, dove signoreggiava il cognato Bocchino Belforti. Proprio nel monastero di S. Giusto vicino alla città toscana, infatti, l’Ugolino suo compagno di esilio fece redigere un atto notarile, con il quale rinunciava ai diritti ereditati sulla dote della moglie, deceduta nel 1357, in favore dei figli Meo e Feo – una palese scappatoia legale per evitare la confisca dei propri beni. Come osservato, Belforti fu deposto e giustiziato pochi mesi dopo e Volterra «intrò in lega con l’excelsa signoria di Firenze», come risulta dalla Cronichetta volterrana (M. Tabarrini, Cronache volterrane, 1846, p. 317). De’ Rossi era certo già fuggito, ma non è noto dove si rifugiasse ancora. Nel 1363 tuttavia era tornato a Firenze, perché vi fece testamento (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. XXVI 230, c. 197v: Spogli della Rena, Zibaldone R-S), e lì morì prima del 1366 (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. XXVI 133, c. 12).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Consulte e Pratiche, 1, c. 2r; Provvisioni, Registri, 38, c. 206; Atti del Podestà, 1525, cc. 57r-58r; Diplomatico, Santo Spirito, 6 gennaio 1360; Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XVI 147, c. 1220, XXVI 142, c. 288; M. Tabarrini, Cronache volterrane, cioè Cronichetta Anonima 1362-1478, in Archivio storico italiano. Appendice, XIV (1846), pp. 317-332; Marchionne di Coppo Stefani [Baldassarre Bonaiuti], Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in L.A. Muratori, RIS, XXX, 1, Città di Castello 1910, nn. 1-9; D. Velluti, Cronica domestica..., Florence 1914; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Parma 1991; G. Boccaccio, Consolatoria a P. de’ R., a cura di G. Chiecchi, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, V, 2, Milano 1994, pp. 617-687; M. Villani, Cronica con la continuazione di Filippo Villani, a cura di G. Porta, Parma 1995.
C. Paoli, Della Signoria di Gualtieri duca d’Atene, Firenze 1862, pp. 17-19, 43-49; V. Imbriani, La pretesa Beatrice, in Giornale napoletano di Filosofia e Lettere, Scienze morali e politiche, VII (1882), pp. 55-87; P.G. Ricci, Per la datazione e il commento della Lettera al Rossi, in Rinascimento, X (1959), pp. 21-32; G. Brucker, Florentine politics and society (1343-1378), Princeton 1962, pp. 183-189; A. Cortese, Un documento sulla condanna di P. de’ R., in Studi sul Boccaccio, II (1964), pp. 15-24; E. von Roon-Bassermann, Die Rossi von Oltrarno, in Vierteljahrschrift für Sozial- und Wirtshaftsgechichte, LI (1964), pp. 235-248; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, IX, Roma 1972, pp. 322-335; F. Fiorelli Malesci, La chiesa di Santa Felicita a Firenze, Firenze 1986, pp. 159-162; C. Klapisch-Zuber, Ruptures de parenté et changements d’identitè chez les magnats florentins du XIVe siècle, in Annales. Économies, Sociétés, Civilisations, XLIII (1988), 5, pp. 1205-1240; V. Branca, Giovanni Boccaccio. Profilo biografico, Firenze 1997, pp. 119-124; S. Raveggi, I rettori fiorentini, in I podestà dell’Italia comunale, a cura di J.C. Maire Vigueur, I, Roma 2000, pp. 595-643; V. Mazzoni, Accusare e proscrivere: il nemico politico, Pisa 2010, pp. 160-166; Lettere ed altre carte del secolo XIV spettanti alla famiglia Belforti, a cura di R. Abbondanza - A. Maiarelli, Volterra 2010, pp. 48 s.; C. Tripodi, Dalla signoria di Volterra al catasto del 1429: la parabola della famiglia Belforti, in Rassegna volterrana, LXXXVIII (2011), pp. 185-207; W. Caferro, Petrarch’s war, in Speculum, LXXXVIII (2013), 1, pp. 144-165; E. Filosa, L’amicizia ai tempi della congiura (Firenze 1360-61), in Studi sul Boccaccio, XLII (2014), pp. 195-220; W. Caferro, Le tre corone fiorentine and war with The Ubaldini, 1349-1350, in Boccaccio 1313-2013, a cura di F. Ciabattoni - E. Filosa - K. Olson, Ravenna 2015, pp. 43-55; E. Filosa, La condanna di Niccolò di Bartolo del Buono, Pino de’ Rossi, e gli altri congiurati del 1360 (ASFi, Atti del Podestà, 1525, cc. 57r-58r), in Studi sul Boccaccio, XLIV (2016), pp. 235-250.