BONACOLSI, Pinamonte
Apparteneva a un'antica famiglia originaria del territorio mantovano, residente già nel 1164 in città, dove, grazie al cospicuo patrimonio fondiario e ai palazzi siti nel quartiere di S. Pietro, poté svolgere presto un ruolo primario nel gioco delle fazioni comunali.
Il nonno del B., Gandolfo di Ottobono, ricopriva varie cariche nel Comune; fu "consul negociorum" nel 1191, procuratore del Comune nel 1193 e console del Comune nel 1200, mentre il padre Martino, in occasione del compromesso tra Federico II e la lega lombarda (13 maggio 1232), appare come uno dei "rectores Mantue". Il B. stesso è ricordato per la prima volta nel 1231, quando fu investito di alcune terre appartenenti alla chiesa di S. Paolo.
Per molti anni non si distinse in alcun modo tra i suoi concittadini. Fece parte del consiglio generale del Comune nel corso degli anni contrassegnati dalla lotta tra il conte Ludovico di San Bonifacio da Verona e il marchese Azzone d'Este per il dominio sul Comune mantovano; il 30 nov. 1259 infatti fu tra i consiglieri che ratificarono la pace con Verona.
Solo dopo il 1260 il B., che doveva essere ormai in età matura, acquistò sempre maggiore prestigio nel Comune dilaniato da violente lotte di fazioni. La scarsezza delle fonti non consente tuttavia di determinare con esattezza le fasi della lotta che nel 1272 lo avrebbe portato al potere. Secondo gli Annales Mantuani (p. 25) nel 1268 egli era a capo della fazione, alleata con la potente famiglia dei conti di Casaloldo, che cacciò dalla città Roffino Zanicalli e i Gattari, mentre l'anno seguente, nei contrasti sorti tra il marchese Obizzo d'Este e il conte Ludovico di San Bonifacio per il predominio in Mantova, il B. appare dalla parte di quest'ultimo. Ma il 28 luglio 1272, con l'appoggio del popolo e di alcuni nobili minori (tra i quali i Gonzaga) e, sembra, sotto l'insegna della lotta contro la dominazione forestiera, insieme col conte Federico di Marcaria, espulse dalla città il rappresentante del conte di San Bonifacio, il podestà Guido da Correggio, costringendo poi anche i suoi partigiani, i conti di Casaloldo, a ritirarsi nei loro feudi. Occupato il palazzo del Comune, il B. e il conte di Marcaria assunsero il governo con il titolo di "rectores".
La prima preoccupazione dei nuovi rettori fu quella di prevenire con una serie di accordi ogni possibile riscossa da parte del marchese d'Este e del conte di San Bonifacio. Già il 5 sett. 1272 si verme alla conclusione di una pace con il Comune di Ferrara e Obizzo d'Este, nella quale il marchese s'impegnò a rinunciare a qualsiasi "segnoratico suo vel alieno" su Mantova. Lo stesso giorno furono presi accordi anche con Verona, dominata dagli Scaligeri nemici di Mantova finché vi aveva avuto una posizione dominante il conte di San Bonifacio, loro antico rivale nelle lotte interne veronesi. Il trattato, dove né il conte di Marcaria né il B. appaiono con il loro nuovo titolo, ma solo come semplici cittadini di Mantova, garantiva tra l'altro al B. e ai suoi eredi il possesso di Castel d'Ario, grosso feudo sul confine veronese, posseduto in precedenza dalla nobile famiglia veronese dei Turrisendi ora in esilio. A Mastino Della Scala e al B. fu affidato poi, il 12 settembre successivo, l'arbitrato sulle divergenze tra il conte di San Bonifacio e la sua parte da un lato e il Comune di Mantova dall'altro.
Questi primi successi indussero i due rettori a ristabilire, già dopo due mesi, almeno formalmente le antiche istituzioni comunali. Il 1º ott. 1272 entrò in carica il nuovo podestà, scelto con accortezza nella persona di Francesco da Fogliano da Reggio, che in effetti l'anno successivo si sarebbe schierato dalla parte del B. nel corso della lotta esplosa contro il conte di Marcaria. L'occasione di liberarsi del suo collega si presentò infatti assai presto al B., che accusò il conte (e pare non a torto) di tramare con il marchese d'Este e di stringere legami di parentela con lui. Il 18 luglio 1273 si venne alle armi e il conte fu espulso dalla città, insieme coi suoi fautori, gli Zanicalli.
Il potere fu così concentrato nelle mani del B., anche se questa assoluta preminenza non ebbe espressione negli atti ufficiali. È poco probabile che egli abbia continuato a servirsi del titolo di rettore: come tale infatti non appare più in nessun documento. È stata avanzata l'ipotesi che egli già nel 1274 fosse stato nominato dall'assemblea generale del Comune capitano del popolo e nel 1276 addirittura capitano generale di Mantova, titolo che avrebbe espresso molto bene la sua posizione. Ma queste notizie derivate dalla cronaca dell'Aliprandi, molto posteriore agli avvenimenti, non trovano conferma nelle altre fonti. In realtà il B. resistette sempre alla tentazione di definire costituzionalmente la sua signoria, preferendo lasciare intatto, almeno in apparenza, il vecchio ordinamento comunale. L'elezione del podestà avveniva regolarmente ogni semestre, sotto lo stretto controllo del B. (come risulta evidente nel caso di Albertino Fontana, podestà dal 1º apr. 1274, che apparteneva a una famiglia ferrarese esiliata dal marchese d'Este), e il podestà in tutti i rapporti con altri signori e comuni continuava a rappresentare l'autorità suprema del Comune. Pare che il B. si sia contentato in un primo momento del titolo di "capitaneus partis" e di un dominio di parte si trattò effettivamente in questi primi anni della sua signoria. Come tale infatti appare in un verbale del consiglio generale mantovano dell'11 marzo 1277, anche se in questo stesso armo, a proposito della congiura ordita contro di lui da un gruppo di cittadini mantovani, gli Annales Mantuani lo definiscono come capitano del popolo. Ma solo nel settembre del 1279, e precisamente in occasione della ratifica di una lega conclusa con Verona e Brescia, questo titolo appare anche in un documento ufficiale, unito a quello di capitano di parte.
Invece non pare che il B. abbia portato, o semmai solo negli ultimissimi tempi del suo governo, il titolo di capitano generale di Mantova, usato poi regolarmente dai suoi successori. Questa qualifica, l'unica che definiva veramente la sua posizione, gli viene attribuita solo in documenti redatti al di fuori di Mantova, per la prima volta in una protesta dell'abate di S. Zeno di Verona del 12 apr. 1282, in un momento cioè in cui la sua signoria doveva apparire agli osservatori esterni ormai saldamente stabilita. All'interno, invece, il B. preferì servirsi del titolo abbastanza vago di capitano senza altre aggiunte, che da un lato evocava il capitanato, cioè la signoria esercitata a suo tempo dal marchese d'Este e dal conte di San Bonifacio e, dall'altro, ricordava il capitanato del popolo inteso come strumento di lotta del popolo contro i magnati.
Nel 1277 un gruppo di famiglie mantovane (gli Annales nominano espressamente gli Arloti, i Pizzoni e i Grossolani), a quanto pare in rapporto con i congiurati veronesi che il 26 ottobre uccisero Mastino Della Scala, fece un ultimo tentativo per rovesciare la signoria del Bonacolsi. Ma la congiura venne scoperta in tempo (10 novembre), e Niccolò Arloti, Ugolino Pizzoni e suo fratello Guelfo furono condannati a morte. L'esilio dei Riva nel 1281 segnò poi la fine di ogni resistenza all'interno del Comune.
Il B., sin dagli inizi del suo governo, aveva saputo creare, con acquisti di beni immobili e di terre nella città e nel suo territorio, anche una solida base patrimoniale alla sua signoria. Già nel marzo del 1273 permutò certe sue terre con una serie di edifici posti nella contrada di Santa Maria madre di Dio posseduti dai Rivalta, con lo scopo evidente di creare un nucleo unitario di palazzi e di torri al centro della città. Altre permute seguirono negli anni successivi, finché, il 25 maggio 1282, il B. poté acquistare, sempre dai Rivalta, un edificio di notevole valore simbolico, il più antico palazzo del Comune, già in possesso del marchese d'Este al tempo del suo predominio in Mantova.
Nel territorio i Bonacolsi possedevano da tempo immemorabile feudi a Carzedole come vassalli della Chiesa mantovana, e fin dal 1272 il già ricordato feudo di Castel d'Ario. A questi possedimenti il B. poté aggiungere nel 1282, mediante compera, Marcaria, al confine con Cremona, già sede della famiglia omonima alla quale era appartenuto il primo collega del B., e ritornata nel 1275 in possesso del Comune mantovano. Marcaria era stata per lungo tempo la roccaforte dei fuorusciti mantovani e il suo possesso, oltre ad incrementare il patrimonio del B., toglieva ai suoi avversari politici una base tradizionale di raccolta e di resistenza. Non è noto invece quando il B. poté ottenere dalla Chiesa mantovana l'investitura dell'isola di Suzzara. Nel 1290-91 comunque il vescovo di Reggio gliene contestò il possesso. Vanno ricordate infine le estese terre (Poletto, Vallarsa, Silvorio e Villimpenta) che il figlio del B., Giovannino, e poi i nipoti Berardo, Guido, Bonaventura e Rainaldo tenevano come feudi dal monastero di S. Zeno a Verona.
L'alleanza con Verona dominata dagli Scaligeri, occasionata dalla lotta contro il nemico comune, il conte di San Bonifacio e la sua fazione, rimase per tutto il periodo della sua signoria uno dei pilastri della politica del Bonacolsi. L'accordo, concluso nel 1272, fu ampliato nel 1275 con una serie di clausole che regolavano le divergenze ancora esistenti tra i due Comuni. Lo scambio regolare dei podestà rafforzò ancora di più questa intesa: Alberto Della Scala, fratello di Mastino capitano del popolo veronese, ricoprì la carica a Mantova due volte, nel 1275 e nel 1277, ma anche i podestà del 1276 e del 1278 erano veronesi. Negli stessi anni dei podestà mantovani esercitavano le loro funzioni a Verona; il figlio del B., Giovannino, vi fu podestà per ben sette volte nel periodo tra il 1274 e il 1288. L'amicizia con Verona dovette anche determinare nel 1274 l'adesione del B. alla fazione imperiale e il conseguente conflitto nel 1278-79 con una serie di comuni guelfi sostenitori di Carlo d'Angiò e in particolare con Brescia, con la quale comunque nel settembre del 1279 fu raggiunto un compromesso.
Tuttavia, nel complesso, il B. riuscì a mantenere buoni rapporti con quasi tutti i Comuni vicini, inaugurando così un periodo di relativa tranquillità per Mantova. Già nel 1274 (14 settembre) fu concluso un trattato con Venezia, col quale il Comune mantovano si obbligò tra l'altro a garantire libertà di transito sul Po e ad acquistare il sale esclusivamente da Venezia. Il 9 marzo 1290 nuovi accordi commerciali sanzionarono l'amicizia tra Mantova e Venezia. Con Reggio il B. si accordò nel 1276, nel 1282 con Cremona, nel 1283 con Parma e nel 1285 con Padova e con Vicenza.
In questa serie di accordi merita particolare attenzione la pace conclusa nel maggio del 1291 con Obizzo d'Este e con il Comune di Ferrara, gli atti della quale riconoscono al B. per la prima volta una vera e propria posizione signorile. Egli vi figura infatti con il titolo di capitano generale, che fino ad allora aveva sempre esitato ad esibire, e per la prima volta il suo nome precede anche quello del podestà.
Al culmine della potenza, i contrasti insorti all'interno della sua famiglia niàsero improvvisamente fine alla signoria del Bonacolsi. Pare che alla base del conflitto sia stata la decisione del B. di destinare alla successione il figlio Tagino, provocando con ciò la violenta reazione di un altro dei suoi cinque figli ancora viventi, Bardellone. A lui il padre aveva ordinato, forse per allontanarlo dalla città, di recarsi a Fortnigosa e di restarvi fino ad altro ordine. Ma, disubbidendo agli ordiiù paterni, il 29 sett. 1291 Bardellone riunì i suoi seguaci e con un colpo di mano si impadronì del palazzo del Comune, incarcerando il fratello Tagino e suo figlio Filippo. Nulla sappiamo della sorte toccata al B., ma il silenzio delle fonti lascia supporre che egli da quel momento sia stato escluso definitivamente dal governo della città. Morì due anni più tardi, il 7 ottobre 1293.
Fonti e Bibl.: Annales Mantuani, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XIX, a cura di G. H. Pertz, Hannoverae 1866, pp. 24-26, 28, 30 s.; De Romano, Annales Veronenses, in Antiche cronache veronesi, a cura di C. Cipolla, in Mon. d. Dep. veneta di st. Patria, s. 3, II (1890), ad Indicem; Doc. per la st. delle relaz. fra Verona e Mantova nel sec. XIII, a cura di C. Cipolla, in Bibl. hist. italica, s. 2, I, Milano 1901, ad Indicem; Bonamenti Aliprandi Aliprandina o Cronica de Mantua, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXIV, 13, a cura di O. Begani, ad Indicem; Chronicon Parmense, ibid. IX, 9, a cura di G. Bonazzi, ad Indicem; Cronica fratris Salimbene de Adam, a cura di O. Holder-Egger, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXXII, Berolini 1913, ad Indicem; L'Archivio Gonzaga di Mantova, I, a cura di P. Torelli, Ostiglia 1920, ad Indicem; C. D'Arco, Studi intorno al municipio di Mantova, I, Mantova 1871, pp. 124-126; II, ibid. 1873, p. 205; E. Salzer, Ueber die Anfänge der Signorie in Oberitalien, Berlin 1900, pp. 132-134; S. Davari, Per la genealogia dei Bonacolsi, in Arch. stor. lombardo, XXVIII (1901), pp. 25-33; A. Luzio, I Corradi di Gonzaga signori di Mantova,ibid., XI, (1913), pp. 265-267; P. Torelli, Capitanato del popolo e vicariato imperiale come elementi costitutivi della signoria bonacolsiana, in Atti e mem. della R. Acc. Virgiliana di Mantova, n.s., XIV-XVI (1921-23), pp. 79-102, 105; Id., Un Comune cittadino, II, Magtova 1952, pp. 82 s., 127 ss.; Mantova. La storia, I, Dalle origini a Gianfrancesco primo marchese, a cura di G. Coniglio, Mantova 1958, ad Indicem; Mantova. Le arti, I, Il Medioevo, a cura di G. Paccagnini e C. Gnudi, Mantova 1960, ad Indicem; P. Litta, Le fam. celebri ital., tav. Bonacolsi.