Pigmentazione
Nel regno animale il colore della cute, dei peli e delle penne appare caratterizzato da una estrema varietà in dipendenza da numerosi fattori: adattamento all'ambiente, scelta sessuale, distribuzione geografica delle specie animali ecc. Nella specie umana, la colorazione della cute è diversa a seconda del gruppo etnico o della costituzione individuale e varia anche, nel singolo individuo, in rapporto alla regione corporea, all'esposizione alla luce solare e, nella donna, all'eventuale stato di gravidanza.
Il colore della cute dell'uomo è il risultato dell'interazione di diversi fattori: alcuni sono dipendenti dalla struttura cutanea stessa, come lo spessore della cute (in particolare del suo strato più superficiale, quello corneo), la circolazione sanguigna e il grado di saturazione di ossigeno dell'emoglobina circolante, la concentrazione e la distribuzione di elementi capaci di assorbire e riflettere la luce incidente; altri sono, invece, indipendenti da essa, come i sistemi di illuminazione e di percezione del colore. Gli elementi presenti nella cute umana in grado di assorbire e riflettere la luce sono dei pigmenti detti cromatori, localizzati a livello sia epiteliale sia dermico. I più importanti sono rappresentati dalla melanina, dall'emoglobina nelle sue forme ossidata e ridotta e, in minor misura, dalla bilirubina e dai carotenoidi. La melanina presenta una curva di assorbimento che decresce progressivamente per lunghezze d'onda superiori ai 400 nm, l'emoglobina ossidata ha un assorbimento massimo tra 540 e 580 nm, l'emoglobina ridotta presenta un picco a 560 nm. La definizione del colore è essenziale nella determinazione dei fenomeni fisiologici e patologici che interessano la cute. Le metodiche utilizzate per tale definizione del colorito cutaneo sono la spettrofotometria riflessa e la colorimetria (v. pelle). Con la tecnica della spettrofotometria riflessa è possibile esprimere in termini numerici il colorito della cute in relazione alla quantità di luce che viene riflessa dalla superficie cutanea, in seguito all'irradiazione con bande selezionate nello spettro di assorbimento dei cromofori melanina ed emoglobina. Le applicazioni della spettrofotometria, in campo dermatologico, sono finalizzate alla definizione dei valori basali del colorito cutaneo e alla misurazione dell'eritema. Utilizzando questa metodica si riesce a rilevare e quantificare l'eritema (v.) anche in soggetti di cute di colore nero, nei quali il sintomo è praticamente invisibile all'occhio umano. La messa a punto della metodica del colorimetro tristimolo, con i relativi sistemi di coordinate cromatiche, ha permesso di esprimere in maniera obiettiva quanto normalmente rilevato a occhio nudo, garantendo inoltre una maggiore affidabilità e riproducibilità. La percezione del colore da parte del sistema nervoso corrisponde alla traduzione dello stimolo elettromagnetico in immagini con caratteristiche cromatiche definite e confrontabili.
Poiché nell'uomo la percezione e l'interpretazione dei colori sono soggettive, sono stati introdotti i cosiddetti termini psicologici del colore, e cioè la tinta, la luminosità e la saturazione. Con la colorimetria si possono quantificare, secondo quanto stabilito dalla CIE (Commission internationale d'éclairage), queste caratteristiche essenziali di un colore e si può valutare il grado di eritema e pigmentazione melanica in condizioni fisiologiche e patologiche. La colorimetria viene quindi utilizzata per stabilire il fototipo cutaneo e la capacità di pigmentazione, per prevedere il rischio di cancro attinico, per quantificare l'intensità dell'eritema (elemento di utilità nel monitorare il decorso di una dermatite) e per valutare, in cosmetologia, il grado di aggressività di un detergente e l'efficacia di un prodotto schermante o schiarente. In condizioni fisiologiche, il ruolo principale nella determinazione del colore della cute è svolto dalle melanine. Queste sono prodotte da particolari cellule, denominate melanociti, che originano dalla cresta neurale e migrano nella cute intorno ai primi due mesi di vita intrauterina; i melanociti sono presenti quindi nell'epidermide, ma anche a livello dei bulbi piliferi, determinandone il colore, e in regioni interne del corpo non esposte alla luce, quali l'orecchio interno, le leptomeningi, l'ovaio e la ghiandola surrenale. Nelle diverse regioni del corpo esistono differenze nella densità dei melanociti, che presentano la più alta concentrazione a livello della regione cefalica e la più bassa a livello del tronco. L'attività dei melanociti è controllata geneticamente; viene influenzata sensibilmente dall'esposizione ai raggi solari e diminuisce con l'età portando, per quanto riguarda peli e capelli, al fenomeno della canizie (v.). Al microscopio ottico i melanociti appaiono come cellule chiare e ramificate le quali, tramite prolungamenti detti dendriti, si mantengono in contatto con i cheratinociti, cellule deputate alla formazione dello strato corneo, che li circondano e rappresentano il tipo di cellule più numeroso dell'epidermide. Questo rapporto è molto importante per il processo di pigmentazione e costituisce quella che viene chiamata unità melanica epidermica. La sintesi della melanina avviene, all'interno dei melanociti, in particelle denominate melanosomi con l'ausilio di un enzima contenente rame, la tirosinasi, di un aminoacido, la tirosina, e di ossigeno molecolare. Il gene della tirosinasi è stato recentemente isolato e si è visto che sue mutazioni sono responsabili delle diverse forme di albinismo (v. albino). Nel topo esiste un gene le cui mutazioni provocano un'alterazione del tipo di melanina sintetizzata dai melanociti, mentre altre potrebbero essere responsabili del fenomeno della calvizie. La genetica della pigmentazione si sta occupando di identificare le patologie legate ai geni corrispondenti. Il melanosoma si trasforma in un granulo di pigmento melanico che è trasferito nel cheratinocita, dove in seguito viene degradato; la melanina viene eliminata all'esterno, con la desquamazione dello strato corneo o in profondità, per via linfatica. Il colore della cute dell'uomo dipende essenzialmente dal numero di melanosomi e dalla quantità di melanina da essi prodotta. Le differenze tra cute nera e cute bianca dipendono invece dalle caratteristiche qualitative dei melanosomi che sono, all'interno dei cheratinociti, grossi e dispersi nel citoplasma nei negroidi, e più piccoli e aggregati in complessi circondati da membrane nei caucasoidi.
Vengono prodotti due diversi tipi di melanine: l'eumelanina (marrone-nera) e la feomelanina (rosso-gialla). L'eumelanina appare in grado di fornire una buona protezione da un ampio spettro di raggi ultravioletti e della luce visibile, mentre la feomelanina non sembra fornire protezione dai raggi ultravioletti. Il rapporto tra la quantità di eumelanina e feomelanina presente in ogni individuo è geneticamente prefissato e risulta essere alla base del fototipo cutaneo. Esiste infatti una reciproca relazione tra il colore della cute e la capacità fotoprotettiva nei confronti degli effetti acuti e cronici della luce solare. Gli elementi che vengono presi in considerazione per stabilire il fototipo sono: la carnagione (bianca, chiara, scura); la tendenza a subire colpi di sole (sempre, talvolta, mai) e l'intensità dell'abbronzatura (nulla, chiara, media, scura). La combinazione di questi diversi criteri permette di stabilire una scala di rischio facilmente valutabile. L'esposizione della cute umana alla luce solare naturale o artificiale provoca un aumento della pigmentazione melanica mediante due diversi processi biochimici: la pigmentazione immediata, o 'fenomeno di Meirowski', e la pigmentazione ritardata. La prima è una colorazione tenue che compare precocemente, recede in poche ore ed è dovuta a una fotossidazione dei precursori della melanina causata dagli UVA e UVB e a cambiamenti nella distribuzione dei melanosomi all'interno dei cheratinociti. La pigmentazione ritardata inizia 2-3 giorni dopo l'esposizione, raggiunge il massimo dopo 2-3 settimane e scompare dopo circa 15 giorni; essa consegue a una nuova sintesi di melanine per attivazione dei processi di sintesi pigmentaria.
I disturbi della pigmentazione cutanea possono essere suddivisi in due grandi gruppi: quelli che sono conseguenti a un'anomalia quantitativa o qualitativa della distribuzione di un pigmento normalmente presente nella cute, e quelli che sono dovuti alla presenza anormale nella cute di un pigmento che può essere, a sua volta, di origine endogena o esogena. Le alterazioni pigmentarie classificate nel primo gruppo vengono rilevate clinicamente da un colorito della cute che, rispetto alla norma, si può presentare più scuro e si parlerà allora di iperpigmentazioni; o, al contrario, più chiaro ed è il caso delle leucodermie. Al secondo gruppo appartengono iperpigmentazioni di origine esogena conseguenti all'uso di diversi tipi di farmaci, ad applicazione di profumi a base di essenza di bergamotto che contiene il 5-metossipsoralene, o a esito di parassitosi croniche (scabbia); iperpigmentazioni esogene sono anche quelle dovute all'inserimento volontario nella cute di pigmenti di vario colore a scopo decorativo o rituale (tatuaggi) o alla loro accidentale penetrazione durante lo svolgimento di un lavoro (microcristalli di pietre, metalli, polvere da sparo) e quelle conseguenti ad abrasioni di origine traumatica. Nell'ambito delle iperpigmentazioni va fatta un'ulteriore classificazione in base al tipo di pigmento che viene preso in considerazione. Il termine di ipercarotenemie sta a indicare quel colore arancione assunto dalla cute in seguito a un'eccessiva quantità di carotene dovuta o a un esagerato introito di alimenti contenenti tale sostanza o a un disturbo generale. Il termine di ipercromie di origine ematica indica quel colore, variabile dal giallo-verde al rosa-violetto, che la cute assume in seguito alla presenza in essa di un anomalo stravaso di emazie con conseguente degradazione locale dell'emoglobina.
Per ipermelanosi, infine, si intende il colore bruno oppure grigio-blu che la cute assume per aumento della quantità di melanociti o di melanina nell'epidermide, nonché per presenza anomala di melanociti o melanina nel derma. Fra le iperpigmentazioni, le comuni efelidi sono trasmesse come carattere autosomico dominante, molto frequenti nei soggetti rutili con occhi azzurri, compaiono nell'infanzia e il loro numero aumenta con l'età e con l'esposizione alla luce solare; le lentiggini sono di colorito più scuro e non subiscono variazioni dopo esposizione al sole. Il melasma è un quadro di iperpigmentazione tipico della donna di età compresa tra i 20 e i 30 anni e consiste in una iperpigmentazione di colorito variabile dal giallo ocra al nero, localizzata al volto, imputabile a una stimolazione ormonale per patologie dell'apparato genitale, per la gravidanza, o per l'uso di contraccettivi e a una stimolazione da raggi ultravioletti. Per quanto riguarda la descrizione dei nevi pigmentari, v. nevo. Nel capitolo delle leucodermie, che possono essere di origine genetica o acquisite, si distinguono le ipomelanosi conseguenti a diminuzione o perdita dei melanociti o della produzione di melanina e le leucodermie non melaniche per riduzione della quantità di emoglobina circolante nella rete vascolare del derma. Nelle leucodermie del primo gruppo può essere interessato il sistema melanocitario dell'epidermide, dei follicoli piliferi e dell'occhio come accade nell'albinismo, per cui i soggetti colpiti presentano capelli bianchi, pallore di tutto il tegumento, estrema sensibilità alla luce del sole e impossibilità di pigmentazione dopo lo stimolo attinico. La forma grave, recessiva, è dovuta ad assenza di attività tirosinasica; in quella meno grave (albinismo parziale), tale attività è presente.
Forme molto gravi sono la sindrome di Hemansky-Pudlak (associata con una diatesi emorragica) o la sindrome di Chediak-Higashi (associata con facilità a infezioni da piogeni per un'alterazione leucocitaria). Forme più leggere per minor intensità dell'ipocromia sono: la sindrome di Menkes, imputabile a uno scarso assorbimento del rame; le ipocromie da fenilchetonuria e da alterato metabolismo della metionina. La principale delle forme circoscritte è la vitiligine, malattia di origine genetica nel 30% dei casi, ma spesso in rapporto cronologico con traumi psicoaffettivi o fisici. L'affezione si manifesta con chiazze bianche disseminate sulla superficie cutanea, circondate da un leggero alone ipercromico, senza sintomatologia subiettiva. La patogenesi della vitiligine non è ancora del tutto chiarita, anche se sono state fatte diverse ipotesi, tra le quali le più accreditate sono le seguenti: autoimmunitaria, neurogena, di autodistruzione dei melanociti. Una forma tutta particolare è il piebaldismo, denominato anche sindrome di Waardenburg, caratterizzata dalla presenza di una ciocca di capelli bianchi sulla regione frontale associata ad alcune chiazze acromiche sul tronco. Vanno poi ricordate le ipomelanosi acquisite dovute all'esposizione ad agenti chimici depigmentanti, accidentale durante il lavoro o per impiego a scopi cosmetici; ad agenti fisici (termici, radiazioni ionizzanti) e le ipomelanosi di origine infettiva (sifilide secondaria, lebbra ecc.), parassitaria (Pityriasis versicolor), o postinfiammatoria, dismetabolica, disendocrina e da malassorbimento.
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