PIETROBONO Burzelli, detto dal Chitarino
PIETROBONO Burzelli, detto dal Chitarino. – Liutista e cantante, nacque a Ferrara in data non nota (si presume fra il 1410 e il 1425) da Battista Burzelli, barbiere, e da Margherita di Biagio Teotonico (Cittadella, 1868, p. 293).
Su base speculativa, Emil Haraszti (1952) propose come anno di nascita il 1417. Gli atti del notaio Mengo dall’Armi (Archivio di Stato di Ferrara) riportano il cognome di Pietrobono nelle seguenti lezioni: «de Burzellis», «de Bruzellis», «de Borzeris», «Borzei» (Cittadella, 1868; Franceschini, 1993, doc. 754). La variante «de Bruzellis» fu motivo di speculazioni da parte di alcuni studiosi, i quali sostennero che tale cognome fosse una corruzione di «de Bruxellis» e che, di conseguenza, il padre di Pietrobono fosse originario di Bruxelles (cfr. Chouquet, 1879; Vander Straeten, 1882; Haraszti, 1949, p. 79).
Iniziò a lavorare alla corte di Ferrara a partire almeno dal 1441. Il 5 agosto 1441 Leonello d’Este, non ancora marchese, gli concesse la cospicua somma di 20 ducati d’oro. Tale riconoscimento testimonia che già in quegli anni il giovane Pietrobono godeva di grande stima. Il pagamento recita «petrobono filio Magistri Baptiste Barberij familiari Illustrissimi domini Leonelli» (Lockwood, 1975, p. 118 n. 11), ossia «Pietrobono, figlio di Maestro Battista barbiere, familiare dell’illustrissimo signor Leonello». In questo documento, il genitivo barberij specifica che il padre era un barbiere, mentre il termine familiari, riferito a Pietrobono, indica ch’egli faceva parte della camera di Leonello, del suo entourage più stretto, condizione grazie alla quale il musicista poté contare su un rapporto di vicinanza quotidiana con il principe. Pietrobono lavorò per Leonello fino al 1450, anno della morte di questi (fu pagato nel 1445, 1446, 1449, 1450; cfr. Lockwood, 1987, 2009, pp. 348 s.).
Nei pagamenti degli anni Quaranta il musicista è spesso evocato con l’epiteto «dal Chitarino». Con questo termine si deve probabilmente intendere un liuto soprano o uno strumento del tipo della quinterna, entrambi attestati dalle fonti figurative ferraresi di quegli anni (Cavicchi, 2000-01). A partire almeno dal 1° febbraio 1449 fu affiancato da un tenorista di nome Zanetto (Lockwood, 1975, p. 121, n. 19).
I due musicisti componevano un duo di liuti, secondo una pratica di origine tedesca già affermata alla corte estense nella quarta decade del XV secolo da Nicolò Tedesco e Leonardo dal Chitarino.
I documenti d’archivio e gli omaggi poetici fanno supporre che la pratica musicale di Pietrobono prevedesse un canto su testi vuoi lirici vuoi narrativi, l’esecuzione di una linea melodica acuta ricca di diminuizioni e un accompagnamento realizzato dal tenorista. Si trattava, in sostanza, di una polifonia a tre parti.
Sotto il patronato di Borso d’Este, Pietrobono divenne il musicista più apprezzato della corte. I documenti ferraresi degli anni Cinquanta lo menzionano «civis et habitator Ferrariae» (Cittadella, 1868, p. 293), ossia cittadino che vive entro le mura. Fu proprietario di varie abitazioni; i documenti d’archivio lo danno residente nelle contrade di S. Romano nel 1452, di S. Giacomo nel 1454 e nel 1457, di S. Maria in Vado nel 1455, di S. Guglielmo nel 1466, di S. Salvatore nel 1465 e 1468 (Cittadella, 1868; Franceschini, 1993, docc. 754, 782, 848, 1044, 1087). I documenti notarili di questi anni attestano inoltre ch’egli fu sposato con Antonia di Marco da Venezia (Cittadella, 1868). Negli anni Cinquanta la fama del liutista oltrepassò le mura di Ferrara. Dal 1455 fu accompagnato nelle sue esibizioni dal liutista Francesco Malacise tenorista, che rimase al suo fianco per molti anni. Nel 1455 entrò in contatto con Francesco Sforza duca di Milano. Costui gli aveva inviato un apprendista, tale Stefano tedesco, perché imparasse a suonare il liuto. In una lettera autografa datata 26 dicembre 1455 il virtuoso maestro spiegava al duca di Milano d’aver insegnato al giovane Stefano «due avantagiate cose» (Lockwood, 1975, pp. 124 s.). Nel 1456 Pietrobono si recò in visita dal duca di Milano.
Al soggiorno milanese dovrebbe risalire la descrizione che Antonio Cornazzano ne fece nella Sforziade (finita nel 1459). In questo poema celebrativo degli Sforza, Cornazzano presentò una esibizione del musicista nel corso dei festeggiamenti per le nozze di Bianca Maria Visconti e Francesco (Cremona, 25 ottobre 1441): egli canta «in cetra ad ordinata frotta», «in semitoni, e proportionando e sincoppando sempre» (Pirrotta, 1984, pp. 226 s., 231 s.). Il virtuosismo musicale raggiunto in questi anni gli valse la spettacolare descrizione che nel 1456 Ludovico Carbone inserì nell’orazione per il conseguimento del proprio dottorato (cfr. Gallo, 1992, pp. 115 s.). Come confermano due altre lettere, i rapporti con il duca di Milano continuarono almeno fino al 1461 (Barblan, 1961). In omaggio a Pietrobono, nel 1457 il pittore e medaglista veneziano Giovanni Boldù coniò una medaglia (Berlino, Münzkabinett; cfr. Börner, 1997). Sul recto raffigurò il musicista, di profilo, vestito secondo la moda rinascimentale, e affiancato dalla legenda «Pietrobonus Orpheum Superans» che lo celebra superiore addirittura al mitico Orfeo; sul verso rappresentò un genio alato che suona un piccolo liuto, seduto su un banco: vi si legge «Omnium Princeps», per sottolineare la sua incontestata superiorità (Gruyer, 1897). Un altro elogio risalente a quegli anni fu scritto da Battista Guarini, figlio dell’umanista Guarino, che ne esaltò l’eccezionale espressività del canto (cfr. Gallo, 1992, pp. 113 s.).
In parallelo all’attività di musicista, Pietrobono praticò il mestiere di barbiere, trasmessogli dal padre. Il cronista Ugo Caleffini, nel 1462, riferisce che Borso gli assegnò i proventi della tassa sui facchini: «A Pietro Bono dal chitarin, / l’ha habuto più de mile florin / tra de fachin et de suo sonare / ch’el non ha briga da sbarbirare» (Notizie di Ugo Caleffini, a cura di A. Cappelli, 1884). Nel Quattrocento il barbiere non si occupava soltanto del taglio di barba e capelli, ma praticava anche molte altre cure per l’igiene del corpo, come i salassi, l’estrazione di denti, la medicazione delle ferite.
Il 4 maggio 1465, Pietrobono firmò un contratto per insegnare al veneziano Girolamo Bondi a suonare il chitarrino e a cantare sette canzoni. Agli anni Sessanta risale un’altra celebrazione poetica del virtuoso liutista composta da Antonio Cornazzano nel De excellentium virorum principiis.
Il 12 agosto 1466 Pietrobono dettò il proprio testamento al notaio Mengo dall’Armi, in previsione di un viaggio in Inghilterra, dove si recò nell’agosto 1466 (Franceschini, 1993, doc. 1087). Due mandati di Borso, finora inediti, datati 26 luglio e 10 agosto 1466, confermano che Pietrobono si preparava a partire per l’Inghilterra in compagnia del suo tenorista Francesco Malacise (Archivio di Stato di Modena, Camera Ducale Estense, Mandati in volume, n. 12, 1466, cc. 168r, 180r).
In questo stesso anno Pietrobono è attestato come «nobilis» (c. 167v). Un atto notarile del 5 ottobre 1468 lo menziona di nuovo «Nobilis vir Petrobonus» (Cittadella, 1868, p. 294). La qualifica di ‘nobiluomo’, che gli viene attribuita anche in altri documenti notarili posteriori, potrebbe indicare che Borso gli avesse elargito una qualche onorificenza, e più in generale testimonia il riconoscimento del suo prestigio sociale.
Il 13 marzo 1471 Pietrobono partì da Ferrara per Roma, dove Borso d’Este attendeva l’investitura papale come duca di Ferrara. Alla morte di Borso (agosto 1471), il musicista entrò al servizio del duca Ercole I. Nel 1473 partì per Napoli al suo seguito, per accompagnare a Ferrara la futura duchessa, Eleonora d’Aragona. Nella sua cronaca Caleffini lo menziona tra i «sonatori de leuto», accompagnato da due persone (per lui e il suo seguito si contano tre «bocche» e tre cavalli), nella lista del corteo che partì da Ferrara il 23 aprile 1473 (cfr. U. Caleffini, Croniche, a cura di T. Bacchi, 2006, p. 39).
In quest’occasione il celebre poeta e improvvisatore alla lira Aurelio Brandolini Lippo compose il De laudibus musicae et Petriboni ferrariensis. A Napoli il musicista fu molto apprezzato dal re Ferrante, il quale il 16 aprile 1476 scrisse al duca di Ferrara per averlo al suo servizio nel corso dell’estate. La frequentazione degli ambienti aragonesi lo mise in contatto con il compositore e teorico Johannes Tinctoris, ch’egli poté incontrare di nuovo nel corso del soggiorno di Tinctoris a Ferrara, nel maggio 1479. Comunque siano andate le cose, Tinctoris ebbe di certo occasione d’ascoltare il virtuoso liutista, poiché ne descrisse la tecnica musicale in un passo del De inventione et usu musicae (Napoli 1480-1483; cfr. Weinmann, 1961). In una lettera del 17 ottobre 1477 destinata a Lorenzo il Magnifico, Angelo Poliziano cita Pietrobono come esempio di liutista virtuoso, segno che egli era noto anche nell’ambiente fiorentino (Haar - Nádas, 2006).
All’inizio degli anni Ottanta, Pietrobono si trasferì per qualche tempo a Mantova, per trovare rifugio dalla peste propagatasi a Ferrara e dagli assalti veneziani alle porte della città. Il 5 marzo 1484 il cronista Caleffini annotava, erroneamente, che Pietrobono era morto di febbre ed era stato sepolto a Mantova (cfr. Lockwood, 1975, p. 115). In una lettera autografa, ricevuta a Mantova il 17 febbraio 1486 e indirizzata al marchese Francesco II Gonzaga, Pietrobono raccontò d’essere rientrato a Ferrara per il matrimonio d’una sua nipote e perché l’aria di Mantova non gli giovava (Prizer, 1986, p. 23, n. 77).
Nel 1486 Ercole I, su richiesta della cognata, Beatrice regina d’Ungheria, ordinò a Pietrobono d’accompagnare in Ungheria il figlio, Ippolito I, alla corte del re Mattia Corvino. Una lettera del 13 gennaio 1488, nella quale Pietrobono raccomandava al duca di Mantova il nipote Ludovico Mazone (su questi cfr. U. Caleffini, Croniche, cit., pp. 689, 823), testimonia che a questa data si trovava a Vienna, ancora al servizio dei reali d’Ungheria (cfr. Bertolotti, 1890, pp. 12 s.).
In una lettera dell’11 maggio 1488, sempre da Vienna, Beatrice raccomandava alla sorella Eleonora d’Este, su richiesta di Pietrobono, di prendersi cura della moglie e della famiglia del musicista, rimasti a Ferrara (Főkövi, 1900, p. 14).
Il rientro dall’Ungheria in Italia avvenne nell’agosto del 1489: la cronaca di Ferrarini segnala che il 28 agosto Pietrobono accolse con un concerto l’arrivo a Ferrara dell’ambasciatore del re di Francia (cfr. G. Ferrarini, Memoriale estense, a cura di P. Grignolo, 2006). Nel 1491, a Bologna, Filippo Beroaldo pubblicava ancora un altro elogio di Pietrobono nelle sue Orationes et q[uam]plures apendiculae versuum (Haraszti, 1949, pp. 83 s.).
Un pagamento del 14 maggio 1492 segnala che Pietrobono aveva ripreso pieno servizio per gli Este, a Ferrara (Franceschini, 1995, doc. 835d). Qualche mese più tardi, il 14 settembre, rientrarono dall’Ungheria altri cantori che Ippolito I d’Este inviò alla madre a Ferrara (Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto, Casa, 135, f. 12). Il 12 luglio 1494 si trovava nella sua residenza di campagna a Stienta: lo attesta la lettera di Don Acteon a Francesco II Gonzaga, nella quale il giovane musicista racconta d’aver imparato da Pietrobono due versioni della famosa melodia popolare Scaramella (Prizer, 1986, p. 23, n. 78). In un’altra lettera, indirizzata sempre al marchese di Mantova, del 2 agosto successivo, Don Acteon spiega che il virtuoso maestro si trovava a Ferrara, gravemente ammalato.
In questa seconda missiva, l’allievo menziona i nomi dei brani appresi negli ultimi venti giorni: Vivi leto e non temere, una barzelletta il cui testo si conserva nel ms. A.I.4 della Biblioteca comunale di Mantova, mentre della musica sopravvive un contrafactum nella lauda polifonica A Maria, fonte d’amore (testo di Francesco degli Albizzi) nel ms. Panciatichi 27 (Firenze, Biblioteca nazionale centrale; cfr. Prizer, 1986, pp. 32 s.; Wilson, 2009; Florence, BNC, Panciatichi 27, 2010); due versioni della Scaramella (Acteon precisa «tute due le sue scaramelle», a indicare che questi erano pezzi noti e tipici del suo repertorio; Prizer, 1986, p. 23, n. 78); lo strambotto popolareggiante L’ocelo dale rame d’oro, che dovrebbe corrispondere a Io son l’ocel che sopra i rami d’oro, di cui sussiste una versione di Marchetto Cara nel ms. Cons. Rés. Vm7 676 (Paris, Bibliothèque nationale de France); Solame la tua partita e alcuni tenori (cfr. Prizer, 1986; Lockwood, 1987, 2009, pp. 116-118).
Pietrobono morì nel settembre del 1497. Nel registro del massaro della Confraternita della morte di Ferrara, Ercole Giraldi, si legge: «Adi dicto [20 settembre 1497], per le esequio del nobile m[esse]r Pierobon dal Chitarino fo sepulto a san Dominico: L.0 s.14 d.-» (Franceschini, 1997, doc. 302n).
La sepoltura ebbe luogo nella magnifica chiesa di S. Domenico. La fama del virtuoso musicista sopravvisse per oltre trent’anni. Nel primo Cinquecento altri tre elogi ne celebrarono la memoria: Raffaello Maffei nei Commentariorum urbanorum libri octo et triginta (Roma, Johann Besicken, 1506, c. 491r); Paolo Cortese nel De Cardinalatu libri tres (cfr. Pirrotta, 1984, pp. 238 s.); Raffaele Brandolini nell’orazione De musica et poetica (Moyer, 2001). Pietrobono fu anche ricordato nel gioco Il triompho di fortuna di Sigismondo Fanti (Venezia, Agostino Zani da Portese, 1527), nella «rota del cervo», dove il nome «Pierbono» soggiace alla figura d’un liutista.
Per le sue straordinarie capacità musicali, interpretative ed espressive, Pietrobono fu considerato dai suoi contemporanei la reincarnazione del mitico Orfeo. La sua arte risiedeva in una tecnica musicale virtuosistica da lui stesso elaborata e trasmessa oralmente agli allievi. Sebbene oggi non sussista alcuna composizione scritta attribuibile con certezza a Pietrobono, i numerosi elogi, le descrizioni dei suoi concerti e il prestigio internazionale senza pari consentono di considerarlo il massimo liutista e cantore solista del secolo.
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