VENIER, Pietro
– Secondo dei quattro figli maschi di Francesco, figlio unico di Giovanni, e di Lucietta Nani di Federico, nacque a Venezia il 15 aprile 1650.
Iniziò la carriera politica con la nomina a patrono all’Arsenale, il 24 luglio 1675, incarico che tenne sino al 6 marzo 1678 per essere poi eletto (4 ottobre dello stesso anno) tra i savi alle Decime; si trattava di magistrature di competenza del Maggior Consiglio e non del Senato, dal momento che l’ingresso nel Collegio gli era impedito dalla presenza, prima tra i savi agli Ordini e poi in quelli di Terraferma, del fratello maggiore Federico. La contumacia dalle cariche più prestigiose si protrasse a lungo: il 2 marzo 1681 risultò eletto provveditore al Cottimo di Londra, ma rifiutò la nomina; accettò invece quella di provveditore sopra i Banchi (31 maggio 1682-2 giugno 1683) e altre magistrature di natura finanziaria fu chiamato a ricoprire il 9 marzo 1686, quando venne eletto provveditore in Zecca al pagamento dei prò fino all’8 luglio, quindi (3 agosto 1686) fu nominato fra i tre scansadori delle Spese superflue e successivamente depositario in Zecca dal 10 luglio al 9 novembre 1687. Stava maturando tuttavia una svolta nel suo cursus honorum, poiché nel febbraio del 1687 fu scelto dal Senato come uno dei nobili delegati ad assistere il duca di Savoia Vittorio Amedeo II, giunto a Venezia per il carnevale; qualche mese dopo, il 6 ottobre, venne eletto ambasciatore in Francia.
Venier lasciò Venezia quasi un anno più tardi e giunse a Parigi il 15 dicembre 1688, ma ottenne la prima udienza dal re Sole soltanto l’8 maggio 1689. Rimase quasi sei anni nella capitale francese, da cui partì nell’ottobre del 1694 per recarsi direttamente a Madrid, dal momento che il 4 dicembre 1693 era stato eletto ambasciatore in Spagna. Qui, il 17 novembre 1695, stese la relazione della precedente legazione francese: nella nuova sede tempo ne aveva, non c’erano la vita brillante, le feste e i divertimenti di Versailles (non a caso a Madrid, dove la corte era monopolizzata da cerimonie religiose, lunghissimi lutti, quaresime e digiuni, gli ambasciatori veneti si portavano la moglie, se ce l’avevano, a Parigi mai).
Lunghissima la relazione, che ci propone un vasto quadro della realtà francese ed europea, quasi a voler sopperire alla carenza di introspezione psicologica dei protagonisti presi in esame; una lacuna, questa, che appare tanto più sorprendente quanto più sappiamo essere stata, la capacità di analisi, uno dei requisiti fondamentali della diplomazia veneziana. Scontate le lodi del «presente mirabile governo» che tanto ha saputo «elevare di potenza» la Francia, la quale ora si trova «al colmo delle maggiori prosperità, con confini dilatati per tante conquiste, con florido corrente commercio, con Ugonotti, se non persuasi nella conversione, depressi» (Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, VII, 1975, pp. 495 s.). Abbagliato dal fasto di Versailles, Venier sembra quasi non dare troppo rilievo alla guerra della Lega di Augusta, allora in corso, che vedeva contrapporsi agli eserciti del re Sole una vasta coalizione per far fronte all’espansionismo francese, che motivava cavillose rivendicazioni territoriali per mezzo delle ‘Camere di riunione’. Dopo aver illustrato la situazione dei belligeranti, Venier passa all’esame dei ministri del re e indugia sulle sue amanti, e poi i principi di sangue, l’alta nobiltà e il clero. È poi la volta delle risorse economiche, dello sviluppo delle compagnie commerciali, delle manifatture promosse dalla Corona; quindi l’esercito, la marina, gli arsenali, strumenti della politica di potenza perseguita dal sovrano, e i rapporti della Francia con le altre corti europee, specialmente l’Inghilterra e la S. Sede. Quanto a Venezia, l’alleanza con Vienna a causa della comune guerra contro i turchi, che avrebbe visto le imprese del principe Eugenio nei Balcani e di Francesco Morosini nella Morea, non era gradita ai ministri francesi, risultando «sì opposti li loro riguardi ed interessi, che hanno resa al ministro Veneto in quella Corte, e renderanno durante la guerra, la congiuntura delicatissima, li negozj arduissimi tra un involucro di scrupolosissime sottigliezze» (p. 567). Con questa annotazione pessimistica termina la relazione, che peraltro non lascia comprendere il giudizio personale di Venier, largo di informazioni e considerazioni generiche, ma privo di indicazioni, sia pur prudenti, atte a suggerire al suo governo una linea di condotta praticabile nell’immediato.
Giunto a Madrid all’inizio di novembre del 1694, Venier fece ritorno a Venezia nella primavera del 1698 e il 28 giugno lesse in Senato la seconda relazione. Che appare assai meno prudente rispetto a quella francese, come se la diminuita potenza e il minor prestigio della corte madrilena rispetto a quella di Versailles, universalmente ritenuta la prima d’Europa, sciogliessero il diplomatico da condizionamenti psicologici.
Della Spagna infatti, scrive Venier, si può parlare di una «passata gloria, che rimprovera al governo presente la diminuzione nella quale è caduta a grado a grado sotto li successori Filippo III e Filippo IV ed il presente regnante, parte per le interne turbolenze, parte per le guerre forestiere, piombando in perdite e rovine» (Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, cit., X, 1979, p. 610). Non migliori le aspettative future, a causa della debolezza fisica di Carlo II, privo di successori e la cui morte si prevede non lontana; evento, questo, che interesserebbe molti sovrani, coinvolti nella spartizione dell’immenso impero spagnolo. Pertanto, «dal concorso di tanti differenti interessi, ognuno prevede un ampio argomento di calamità, e che il filo della spada appoggerà il nero dell’inchiostro», cioè dei trattati (p. 623). Quanto al re, «è questo principe entrato nelli trentacinque anni. Il candido del volto, l’adorno della parrucca gli mitiga alquanto la deformità, e la sua statura piccola non concilia a prima occhiata quella venerazione che sovente l’aspetto solo suol tirare. L’umore suo malinconico lo porta al ritiro, e l’educazione nel mezzo delle donne l’ha imbevuto di timore. Ha abbandonato quasi interamente il divertimento della caccia» (p. 624). Qualche importanza presenta la relazione – sin qui limitatasi a riproporre il già noto – per quanto attiene all’industria e al commercio, con particolare riguardo ai traffici con le colonie sudamericane, di per sé potenzialmente fiorenti, ma vessati dalle prevaricazioni dei funzionari e da un’endemica corruzione delle magistrature con la segreta connivenza dei viceré; mali aggravati dalla feroce concorrenza di olandesi e francesi, che hanno causato nel commercio una «felicità illanguidita per una assopita attività» (p. 646).
Tornato a Venezia dopo un’assenza decennale, Venier, che nel frattempo (8 luglio 1697) aveva rifiutato una terza ambasceria, stavolta in Germania, divenne savio del Consiglio per il secondo semestre del 1698, quindi il 27 dicembre 1699 si sposò con Lucrezia Mocenigo di Alvise, vedova di Alvise Tiepolo di Francesco. Il matrimonio di un uomo giunto ormai alla vigilia dei cinquant’anni si spiega con la necessità di fornire una discendenza alla famiglia, dal momento che il fratello primogenito, Federico, aveva avuto da Cornelia Gradenigo un solo figlio, Giovanni, morto giovane; quello di Pietro fu invece un matrimonio fortunato, poiché ebbe tre figli maschi, uno dei quali, Federico, avrebbe assicurato la continuazione della famiglia.
La carriera politica di Venier continuò in patria rivestendo prestigiose magistrature, quali spettavano a un cavaliere che così a lungo aveva prestato servizio all’estero e che il 7 agosto 1700 sarebbe stato nominato procuratore de supra; pertanto, dopo essere stato savio del Consiglio nel 1698, lo divenne ancora ininterrottamente dal 1699 al 1702, sempre nel secondo semestre dell’anno; fu eletto anche provveditore sopra Monasteri il 7 gennaio 1699, deputato agli Affari economici del Regno di Morea (27 aprile 1700 e 18 gennaio 1702), provveditore sopra i Beni comunali (1° maggio 1700), savio all’Eresia (13 maggio 1700 e 27 gennaio 1702), savio alle Acque (10 dicembre 1700 e poi ancora 2 gennaio 1703). A questi incarichi amministrativi si aggiunsero altri di natura diplomatica, data l’esperienza internazionale acquisita da Venier, e dal 18 gennaio 1699 fu deputato ad assistere la regina di Polonia, Maria Casimira, nel suo soggiorno a Venezia; quindi, il 27 novembre 1700, venne chiamato a far parte dell’ambasceria straordinaria al nuovo papa Clemente XI, che però dispensò dal dispendioso viaggio i quattro patrizi ‘di obbedienza’. Fu ancora sopraprovveditore alla Sanità (6 gennaio 1701), savio alla Mercanzia (4 marzo 1702), savio del Consiglio dall’ottobre del 1703 al marzo del 1704 e poi dall’ottobre del 1704 al marzo del 1705.
Fu il suo ultimo incarico: morì prematuramente a Venezia, all’età di 55 anni, il 22 ottobre 1705 e venne sepolto nella chiesa di S. Vio, nel sestiere di Dorsoduro.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. 1, 20, Storia veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, p. 231; Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 905, Necrologio 1705; Segretario alle voci, Elezioni Maggior Consiglio, reg. 22, c. 9; reg. 23, cc. 8, 10, 26, 35, 116; Segretario alle voci, Elezioni Pregadi, reg. 20, cc. 19, 79, 80, 98, 100, 124; reg. 21, cc. 2, 3, 4, 5, 14, 51, 70, 71, 78, 86, 87, 110, 120, 138, 146; Senato, Dispacci, Francia, filze 178-187, passim; Senato, Dispacci, Spagna, filze 130-133; Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Cicogna, 3635: A.F. Bon, Collezione genealogica, storia, araldica della veneta patrizia famiglia Venier [...] 1803, c. 158; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, VII, Francia (1650-1792), Torino 1975, pp. 495-571, X, Spagna (1635-1738), 1979, pp. 605-664.