TRESSO, Pietro
– Nacque a Magrè di Schio, in provincia di Vicenza, il 3 gennaio 1893, secondo di quattro figli di Luigi e di Carolina Dal Lago.
Di famiglia molto povera (il padre, un tempo mezzadro, lavorava come operaio presso il lanificio Rossi di Schio), fu costretto ad abbandonare gli studi dopo aver frequentato la terza elementare per entrare nel mondo del lavoro (venne assunto in un laboratorio di sartoria come apprendista).
Nel 1909, all’età di sedici anni, si iscrisse alla Federazione giovanile socialista, disapprovato dalla famiglia, fortemente cattolica. La prima fase della sua militanza fu caratterizzata, come per molti della sua generazione, da un forte sentimento antimilitarista, tanto che nel 1911 fu tra i promotori di una manifestazione contro la guerra di Libia tenutasi a Schio.
L’attività di Tresso all’interno del movimento socialista si orientò subito verso le tematiche sindacali legate al mondo contadino. Le sue qualità vennero ben presto notate dalla dirigenza socialista vicentina, che nel 1914 lo inviò a Milano per partecipare a un corso di formazione sindacale presso la Società umanitaria, prestigiosa istituzione del socialismo riformista.
Terminato il corso, nel giugno del 1914 fu inviato a Gravina, in Puglia, per dirigere la locale Lega dei contadini. Vi rimase fino al gennaio del 1915, quando venne chiamato alle armi.
Il sentimento antimilitarista degli esordi non gli impedì, una volta scoppiato il primo conflitto mondiale, di iscriversi al corso allievi ufficiali di complemento, al termine del quale venne nominato sottotenente di artiglieria. In questa veste combatté a lungo nella zona dell’altopiano di Asiago.
La nomina a sottoufficiale non fece tuttavia venire meno la sua avversione alla guerra: nell’estate del 1917, infatti, Tresso fu tra gli imputati di un processo a un gruppo di soldati accusati di avere svolto propaganda antimilitarista, dal quale uscì comunque assolto per insufficienza di prove; la vicenda gli costò, tuttavia, l’invio in una compagnia punitiva. Pochi mesi dopo si ammalò di tubercolosi, malattia che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita.
Congedato nell’autunno del 1919, fece ritorno nel Veneto, dove riprese l’attività politico-sindacale. Nel 1920 venne eletto nel Consiglio comunale di Magrè e in quello provinciale di Vicenza; nello stesso periodo fu anche segretario della Federazione italiana operai tessili (FIOT) di Schio. In questa fase le sue posizioni coincidevano sostanzialmente con quelle dell’ala massimalista del Partito socialista italiano (PSI), capeggiata da Giacinto Menotti Serrati, dalla quale si allontanò nei mesi successivi per aderire alla frazione comunista, la quale, nel gennaio del 1921, in occasione del Congresso di Livorno, diede vita al Partito comunista d’Italia (PCd’I); Tresso partecipò all’assise livornese in qualità di delegato.
Divenuto ben presto uno dei principali esponenti del partito nel Veneto, Tresso fu eletto segretario della sezione di Vicenza, nonché direttore del periodico La lotta comunista. Le ripetute minacce di cui venne fatto oggetto nei mesi successivi da parte dei fascisti lo indussero, nell’autunno del 1921, a trasferirsi a Milano, dove entrò a fare parte della redazione del Sindacato rosso, il settimanale sindacale del PCd’I.
Anche a Milano venne preso di mira dai fascisti, che lo aggredirono fisicamente, costringendolo ad abbandonare l’Italia e a rifugiarsi, nel 1922, a Berlino, dove lavorò nell’apparato dell’Internazionale sindacale rossa (ISR). Nell’autunno dello stesso anno, si recò a Mosca per partecipare al IV Congresso dell’Internazionale comunista (IC) e al II congresso dell’ISR; qui ebbe modo di frequentare Antonio Gramsci, con il quale strinse un solido legame umano, oltre che politico. Rimase in Russia, in qualità di rappresentante italiano presso l’ISR, fin verso la fine del 1923, quando fece ritorno a Berlino, dove, all’inizio del 1924, conobbe Debora Seidenfeld, detta Barbara, militante comunista ungherese di origine ebraica, compagna della sua vita.
La vicinanza a Gramsci favorì lo schieramento di Tresso, pur tra non poche esitazioni, a favore del nuovo gruppo dirigente che, nel biennio 1923-24, andò formandosi all’interno del PCd’I attorno alla figura del comunista sardo, in sostituzione della leadership di Amadeo Bordiga.
Rientrato in Italia nel corso del 1924, Tresso si dedicò prevalentemente al lavoro sindacale, reso sempre più complicato dalla crescente repressione fascista: subì infatti due arresti, risoltisi peraltro senza particolari conseguenze, il primo nel maggio dello stesso anno, il secondo nel luglio del 1925, dopo il quale si rifugiò in Francia.
Nel gennaio del 1926 partecipò al III Congresso del PCd’I, tenutosi a Lione, che sancì la conquista della guida del partito da parte del gruppo di Gramsci, in seguito al quale venne eletto membro del comitato centrale e dell’ufficio politico. Poco dopo rientrò in Italia, allo scopo di organizzare il lavoro illegale, attività che svolse dapprima nella capitale e poi nei pressi di Genova. Fu in questo periodo che assunse lo pseudonimo di ‘Blasco’ (in onore di Blasco Ibáñez, scrittore e politico spagnolo oppositore della dittatura di Manuel Primo de Rivera), che lo accompagnò per tutta la vita.
Ricercato dalla polizia politica fascista, messa sulle sue tracce dalla spia Guglielmo Jonna, verso la fine del 1927 fu nuovamente costretto a fuggire all’estero, dapprima in Svizzera e poi a Parigi, dove lavorò presso il centro estero del partito.
Relativamente alla delicata questione delle relazioni tra la politica sovietica e la linea del PCd’I, di fronte alla radicalizzazione dello scontro di potere all’interno del Partito comunista russo, sostenne l’autonomia del partito italiano: come scrisse al cognato Ignazio Silone dopo l’VIII esecutivo allargato dell’IC del maggio 1927, caratterizzato dalla violenta offensiva di Josif Stalin contro Lev Trockij, «L’ambiente della nostra responsabilità è l’Italia e non la Russia. Noi non possiamo mettere in crisi la nostra lotta contro il fascismo solo perché i russi litigano tra loro» (cit. in Silone, 1951, p. 59).
Nell’estate del 1928 prese parte al VI Congresso dell’IC, di cui condivise le tesi di fondo, dal giudizio liquidatorio sulla socialdemocrazia, tacciata di ‘socialfascismo’, alla lotta senza quartiere contro le tendenze di destra all’interno dei partiti comunisti, alla valutazione sulla radicalizzazione della classe operaia internazionale in senso rivoluzionario.
Manifestò invece forti dubbi, trasformatisi ben presto in aperto dissenso, riguardo alla decisione di intensificare il lavoro clandestino in Italia tramite l’invio di ulteriori militanti residenti all’estero, stabilita dal partito in linea con i deliberati del VI Congresso, in vista di un sommovimento rivoluzionario ritenuto imminente (la cosiddetta svolta), sostenendo che ciò avrebbe comportato rischi eccessivi. Sulle sue posizioni si schierarono Alfonso Leonetti e Paolo Ravazzoli, con i quali fece fronte comune.
Il partito reagì duramente, adottando, alla fine di marzo del 1930, provvedimenti disciplinari nei confronti dei dissenzienti, che, per quanto riguarda Tresso, consistettero nell’esclusione dall’ufficio politico.
Fu in questo periodo che iniziò, assieme ai due compagni, a stringere rapporti con il movimento trockista francese, guadagnando sempre maggiore ostilità da parte del partito, fino all’espulsione, di Tresso e dei suoi sodali, decisa nel giugno seguente. Dopo l’allontanamento, i tre diedero vita alla Nuova opposizione italiana, alla quale si aggregarono i torinesi Mario Bavassano e Teresa Recchia, espulsi nello stesso periodo. Il gruppo, che intendeva costruire un’alternativa alla leadership togliattiana del PCd’I, non riuscì mai ad avere un peso politico rilevante, anche a causa della scarsa omogeneità dei suoi componenti, ed ebbe una vita molto breve.
Parallelamente, gli espulsi entrarono a fare parte del movimento trockista francese, all’interno del quale Tresso risultò essere uno dei militanti stranieri più attivi. Il gruppo italiano risentì tuttavia del clima di perenne conflittualità all’interno del movimento, spesso degenerata in lotta frazionistica, nella quale venne coinvolto in più di un caso. Tale tendenza si manifestò, ad esempio, riguardo all’applicazione della strategia del cosiddetto entrismo, decisa da Trockij nel 1934, che prevedeva l’ingresso dei militanti trockisti all’interno delle organizzazioni socialiste, che Tresso inizialmente rifiutò, dando vita a una piccola formazione politica dissidente (il Groupe communiste internationaliste), salvo poi confluire comunque, nel febbraio del 1935, nei partiti socialisti italiano e francese.
La permanenza fu però di breve durata: poco più di un anno dopo ne uscì, per impegnarsi a tempo pieno nella laboriosa opera di costruzione della IV internazionale trockista, della quale fu membro dell’esecutivo fin dalla sua fondazione (settembre del 1938).
Gli anni successivi all’espulsione furono assai dolorosi per Tresso: fuori dalla struttura organizzativa del partito, privato del sostegno economico da essa garantito, problema al quale ovviò ricominciando a svolgere il mestiere di sarto, visse in una condizione di grande isolamento, accentuato dalla forsennata campagna diffamatoria alla quale i militanti trockisti vennero sottoposti da parte degli ex compagni. Egli reagì a questi attacchi denunciando a più riprese i misfatti staliniani, come fece, ad esempio, nell’articolo Stalinismo e fascismo, pubblicato sulla rivista Quatrième Internationale nell’agosto del 1938.
La situazione si fece ancora più drammatica in seguito all’occupazione nazista di Parigi del giugno del 1940 e alla formazione del regime collaborazionista di Vichy: da quel momento in poi Tresso dovette subire anche la persecuzione nazifascista, con sempre maggiori rischi per la propria incolumità. Ricercato dalla Gestapo, riuscì a sfuggire alla cattura trasferendosi a Marsiglia nel luglio del 1941; il soggiorno marsigliese si rivelò meno sicuro di quanto egli sperasse: nel giugno del 1942, dopo un tentativo fallito di espatriare in Messico assieme a Barbara, venne arrestato dalla polizia francese, dalla quale subì violenze, venendo poi processato e condannato a dieci anni di lavori forzati.
Durante la prigionia, trascorsa in più di un penitenziario, Tresso toccò con mano l’ostilità dei detenuti di fede stalinista nei confronti dei trockisti: come scrisse alla cognata Gabriella Seidenfeld, «il loro odio contro di noi non ha limiti» (lettera dal carcere di Lodève, novembre del 1942, citata in Casciola - Sermasi, 1985, p. 215).
La detenzione di Tresso si interruppe ai primi di ottobre del 1943, quando un gruppo di partigiani liberò tutti i detenuti politici dal carcere di Puy-en-Velay, dove egli era stato trasferito nel dicembre del 1942. Una parte degli evasi, tra cui Tresso, si unì a una formazione partigiana che operava nei pressi di Yssingeux, nell’Haute-Loire. Da questo punto in poi nulla più si seppe di lui; con ogni probabilità la sua vita si concluse proprio in questo periodo.
Riguardo alla sorte che gli sarebbe toccata sono state formulate varie ipotesi, tutte inevitabilmente accomunate dalla mancanza di riscontri diretti: la più ricorrente, da subito fatta propria dalla compagna e dagli ambienti trockisti, è quella dell’omicidio politico compiuto dai partigiani comunisti; non possono tuttavia essere esclusi scenari alternativi: da una fatale recrudescenza della malattia polmonare che lo affliggeva da anni, alla ancora più verosimile possibilità che sia stato ucciso durante uno dei tanti rastrellamenti compiuti dai nazisti e dalle milizie petainiste dopo l’evasione dal carcere.
Il suo nome fu ricordato a lungo come uno dei simboli dell’opposizione italiana allo stalinismo.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 5209, f. 151.
I. Silone, Uscita di sicurezza, Roma 1951; A. Azzaroni, Blasco. La riabilitazione di un militante rivoluzionario, Milano 1962; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, I-V, Torino 1967-1975, ad ind.; S. Corvisieri, Trotskij e il comunismo italiano, Roma 1969, ad ind.; C. Ravera, Diario di trent’anni (1913-1943), Roma 1973, ad ind.; G. Sapelli, T., P., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico (1853-1943), a cura di F. Andreucci - T. Detti, V, Roma 1977, pp. 100-105; M. Fatica, P. T. a Gravina in Puglia (1914-1915), in Miscellanea di studi storici, II (1982), pp. 193-207; P. Casciola - G. Sermasi, Vita di Blasco. P. T. dirigente del movimento operaio internazionale, Vicenza 1985; P. Broué - R. Vacheron, Assassinii nel maquis. La tragica morte di P. T., Roma 1996; S. Galli, Le tre sorelle Seidenfeld. Donne nell’emigrazione politica antifascista, Firenze 2005, ad ind.; E. Francescangeli, L’incudine e il martello. Aspetti pubblici e privati del trockismo italiano tra antifascismo e antistalinismo (1929-1939), Perugia 2005; J.M. Brabant - R. Prager - E. Traverso, T. P. dit Blasco, 2010, http://maitron-en-ligne.univ-paris1.f/spip.php?article133094 (18 settembre 2019); U. De Grandis, ‘È perché siamo rimasti giovani’. Vita e morte di P. T. ‘Blasco’ rivoluzionario scledense, Schio 2012; R. Gremmo, La tragedia di ‘Blasco’. P. T. coi partigiani nella ‘Montagne Protestante’ e nel Meygal, Biella 2014.