TRADONICO, Pietro
– Nacque nell’ultimo quarto dell’VIII secolo da genitori sconosciuti.
Subentrò nell’836 al doge Giovanni I Particiaco, deposto dai suoi avversari a causa degli insuccessi della politica seguita nei riguardi dei pirati slavi che disturbavano i traffici nell’Adriatico.
Nella documentazione coeva e nelle cronache più antiche che descrivono il suo governo, egli è indicato semplicemente come «Petrus dux», mentre sia una presunta parentela con il predecessore sia il cognome con cui è ricordato gli furono attribuiti solo a partire dalla prima metà del XIII secolo.
Tutto fa supporre che egli appartenesse al ceto tribunizio, allora egemone nella società veneziana, e facesse parte degli oppositori che avevano provocato la caduta del Particiaco, come lascia intendere il cronista Giovanni Diacono, che nel suo racconto scritto ai primi dell’XI secolo prospetta un’evidente connessione fra lo scoppio della congiura e la scelta del nuovo doge (Cronaca veneziana, a cura di G. Monticolo,1890, p. 112), la cui prima mossa consistette nell’elevazione alla dignità ducale del figlio Giovanni, seguendo una prassi già osservata dai suoi predecessori, per garantire un maggiore equilibrio e stabilità al proprio governo.
Il problema più impellente era però rappresentato dalla pirateria slava, nei cui confronti Tradonico passò all’offensiva, inviando durante il suo terzo anno di governo (838) una flotta in Dalmazia. Inizialmente non si verificarono scontri, perché dapprima il principe croato Mislav e poi il giudice Druzec (o Drzko) avanzarono proposte di pace, per cui il doge ritirò le proprie navi senza bisogno di combattere, salvo poi inviarle di nuovo, probabilmente l’anno seguente, quando gli accordi non furono rispettati, subendo però una sconfitta per mano del duca Liudislav. L’insuccesso dimostrò che Venezia non possedeva ancora la forza necessaria per imporre la sua autorità nell’Adriatico.
Più fortunata fu invece l’azione diplomatica intrapresa dal doge nei confronti dell’Impero carolingio. A tale scopo, Tradonico sollecitò il rinnovo degli accordi franco-bizantini stipulati un quarto di secolo prima riguardanti i rapporti fra il territorio veneziano e il regno italico. Il 23 febbraio 840, da Pavia, Lotario I confermò al doge quanto stabilito allora, con alcune interessanti modifiche.
In primo luogo il territorio veneziano da «provincia» dell’Impero bizantino venne innalzato a «ducato», riconoscendo pertanto, di fatto se non ancora di diritto, l’autonomia di Venezia nei confronti di Costantinopoli, di cui non era fatta più alcuna menzione. Poi, fermo restando il reciproco rispetto territoriale, il contenuto di alcuni capitoli fu rafforzato per adeguarlo alle nuove esigenze. Infine, come elemento di novità, le parti si impegnarono a una mutua collaborazione non più contro un nemico generico bensì contro la minaccia comune rappresentata dagli slavi.
Il 1° settembre 841 il sovrano franco, a completamento di quanto stabilito l’anno precedente, confermò a Tradonico la garanzia del libero godimento delle proprietà fondiarie laiche ed ecclesiastiche veneziane situate nell’ambito non solo del regno ma dell’intero Impero.
Nel corso dell’840 giunse a Venezia una delegazione bizantina guidata dal patrizio Teodosio che conferì al doge la dignità di spatario (di cui Tradonico appare già insignito nel privilegio lotariano dell’841) e ne sollecitò l’appoggio contro i musulmani che dalle loro basi in Sicilia minacciavano le coste della Calabria e della Puglia. La richiesta venne accolta e Tradonico fece allestire 60 galee, inviate alla riconquista di Taranto. Come nel caso degli slavi, anche i musulmani si rivelarono in quell’occasione un avversario troppo forte per i veneziani, che nell’841 furono sconfitti, con gravi perdite di uomini e di navi, mentre i nuovi nemici, galvanizzati dal successo ottenuto, penetrati nell’Adriatico, saccheggiarono Ossero e Ancona, si spinsero fino al delta del Po e catturarono navi mercantili che rientravano in patria.
Nell’842, i musulmani ritornarono in forze nell’alto Adriatico fino al golfo del Quarnaro, disturbando la navigazione da e per Venezia. Ancora una volta, Tradonico inviò una flotta, che però fu anch’essa sconfitta nelle acque dell’isola croata di Sansego (Susak). Anche gli slavi si rifecero vivi negli anni successivi, attaccando lo stesso Ducato, senza peraltro penetrare nella laguna, e saccheggiarono Caorle attorno all’846, impedendo così con la loro attività la partecipazione veneziana alla lotta contro i musulmani nell’Italia meridionale avviata da Lotario I in quello stesso 846 e poi proseguita dal figlio Ludovico II con alterne vicende negli anni successivi.
Pur nella scarsità delle testimonianze, non sembra che durante gli anni successivi avvenissero episodi bellici di rilievo. La mancata partecipazione veneziana alla lotta fra l’Impero franco e i musulmani e, probabilmente, il pagamento di un tributo a favore degli slavi, allontanarono il rischio di ulteriori conflitti con gli uni e gli altri. È probabile tuttavia che l’Impero bizantino abbia nuovamente sollecitato l’appoggio militare del doge, se quest’ultimo, nel testamento di Orso, vescovo di Olivolo dell’853, risultava insignito non più della dignità di spatario bensì di quella di «console imperiale» corrispondente al titolo aulico di ipato.
Pare invece degno di nota sottolineare l’importanza sempre maggiore assunta, nel corso del dogato di Tradonico, da Rialto, divenuta da pochi decenni capitale del Ducato. Lo sviluppo edilizio è testimoniato, fra l’altro, dalla fondazione di vari edifici religiosi, tra i quali la cattedrale di S. Pietro di Castello (consacrata attorno all’850), e dall’insediamento di personaggi di prestigio provenienti dai centri periferici.
Sembrano dimostrarlo le numerose sottoscrizioni di tribuni, che con il doge – definito «excellentissimo imperiali consoli» – e con il figlio Giovanni «gloriosus dux Veneciarum», compaiono nel citato testamento del vescovo Orso (S. Lorenzo, a cura di F. Gaeta, 1960, p. 11).
Nel campo della politica religiosa, invece, durante il governo di Tradonico continuarono i tentativi in atto ormai da secoli da parte del patriarcato di Aquileia di sottoporre alla propria giurisdizione il patriarcato gradense, che un concilio tenutosi a Mantova nell’827 aveva ridotto al rango di semplice pieve soggetta al presule aquileiese.
In realtà, però, né i papi né gli imperatori che si succedettero a partire da quella data diedero pratica attuazione alle disposizioni mantovane, per evitare di entrare in contrasto con il Ducato veneziano che non avrebbe potuto tollerare la subordinazione della sua massima carica religiosa a un’autorità straniera. Anzi, Leone IV nell’852 e Benedetto III nell’858 concessero il pallio rispettivamente ai patriarchi gradensi Vittore e Vitale, mentre Nicolò I invitò quest’ultimo al Concilio lateranense che si tenne nell’ottobre dell’863.
Tradonico intrattenne anche cordiali rapporti con Ludovico II, il quale, assieme alla consorte Engelberga, incontrò i due dogi veneziani nel monastero di S. Michele Arcangelo, situato a Brondolo all’estremità meridionale del Ducato, all’inizio dell’856. In quella circostanza Tradonico fece da padrino al battesimo di Gisela figlia di Ludovico. Il 23 marzo di quello stesso anno, mentre si trovava a Mantova, l’imperatore confermò inoltre al doge il privilegio rilasciato quindici anni prima dal padre, relativo ai beni veneziani situati all’interno dell’Impero, comprese le proprietà spettanti alla Chiesa di Grado.
Tradonico morì il 13 settembre 864 dopo aver retto il Ducato per ventotto anni. Mentre usciva dalla chiesa di S. Zaccaria, dove poi venne sepolto, fu aggredito e ucciso da alcuni esponenti di importanti famiglie che mal tolleravano il suo governo e la prospettiva che alla scomparsa del doge questo continuasse con il figlio. Quest’ultimo cercò di resistere con i suoi seguaci, asserragliandosi all’interno del palazzo ducale, ma, per evitare conseguenze ancora peggiori, si giunse a un compromesso promosso da personaggi rimasti estranei alla congiura: gli esecutori materiali dell’omicidio furono giustiziati e i complici condannati all’esilio, mentre Giovanni rinunciò al potere e scomparve dalla scena. Pochi giorni dopo divenne doge Orso I che la tradizione identifica – erroneamente – con un Particiaco.
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