TOESCA, Pietro
Nato il 12 luglio 1877 a Pietra Ligure (Savona), dove la famiglia si era trasferita da Saorgio a seguito dell’annessione del territorio nizzardo alla Francia, fu il terzo e ultimo figlio di Luigi e di Luigia Chiabrera, che lo registrarono all’anagrafe con il nome di Giovanni Pietro. Rimasto orfano di entrambi i genitori a soli dodici anni, compì gli studi liceali e universitari a Torino, conseguendo la laurea in lettere nel 1898 con una tesi sui trattati d’arte dal Medioevo al Cinquecento, diretta da Arturo Graf e Rodolfo Renier, e pubblicata, due anni dopo, col titolo Precetti d’arte italiani. Saggio sulle variazioni dell’estetica nella pittura dal XIV al XVI secolo. Si tratta di un testo ancora intriso di sensibilità simbolista, che lascia, però, già emergere alcune questioni storico-artistiche destinate a divenire nodali negli studi di Toesca, quali il problema dello stile, il rifiuto dei concetti di progresso/decadenza nell’arte, gli interrogativi sul variare del gusto, la ricerca di una ‘estetica storica’. Alla comprensione di un valore estetico delle opere non furono probabilmente estranee le riflessioni proprio di Graf e di Renier, volte a stigmatizzare gli eccessi del metodo storico, ancora ben radicato nella Torino del tempo.
Importanti per la sua formazione dovettero essere i due anni trascorsi a Firenze – in parte coincidenti con il servizio di leva – tra l’agosto 1898 e l’autunno del 1900, quando entrò in contatto con la vivace vita culturale della città, animata allora anche dal neonato Kunsthistorisches Institut. Ce lo conferma proprio lo studioso quando, vari anni dopo, nella voce Pietro Toesca dell’Enciclopedia italiana del 1937 (vol. XXXII, p. 965), da lui stesso probabilmente ispirata (se non redatta), si premurò di ricordare come «non breve» il soggiorno fiorentino.
Di certo fondamentale per la sua formazione di storico dell’arte fu, alla fine del 1900, l’iscrizione alla Scuola di perfezionamento dell’Università di Roma e l’incontro con Adolfo Venturi, come dimostra l’evidente maturità critica che emerge da due studi editi nel 1902, l’articolo per L’arte dedicato al Liber Canonum della Biblioteca Vallicelliana e il saggio sugli affreschi della cripta del duomo di Anagni nelle pagine de Le Gallerie nazionali italiane. In quest’ultimo lavoro – dove pur non si trascura il legame con il quadro storico, le indagini paleografiche, lo studio iconografico e iconologico, i dati tecnici e, addirittura, le ricerche sulla moda – appare tuttavia già sicura la metodologia che Toesca avrebbe privilegiato nella sua carriera, principalmente incentrata sull’analisi stilistica e sulla comprensione dei caratteri estetici del manufatto artistico. Affiora qui la consapevolezza delle novità della Scuola di Vienna – soprattutto l’attenzione alla componente stilistica unita alla concretezza storica di Franz Wickhoff – mentre perde terreno, rispetto agli esordi, la lezione della cultura francese (Gabriel Séailles, Hippolyte Taine), sebbene non manchi un’apertura verso gli studi iconografici, incarnati in quegli anni da Émile Mâle e intesi quale raccordo tra le espressioni figurative e la cultura coeva. Dunque, a queste altezze cronologiche tanto era già chiaro per Toesca il compito dello storico dell’arte che, nella recensione del 1904 al volume L’irrazionale nella letteratura del suo vecchio professore torinese Giuseppe Fraccaroli, egli scrive senza indugio che «l’esame oggettivo delle opere d’arte: è la prima base per ritrovare le leggi che nel corso del tempo hanno regolato l’apparire in diverse forme, più che l’evoluzione, dell’arte» (in L’arte, VII [1904], p. 207). Peraltro, nello stesso testo, breve ma prezioso per le informazioni di metodo che contiene, egli afferma – in netto contrasto con Benedetto Croce – la specificità della storia dell’arte rispetto alle altre discipline storiche, insistendo su un’attenzione primaria ai testi figurativi e ai loro valori formali, che riconosce nell’analisi dello stile e delle sue variazioni nel tempo quella ‘metodica specifica’ della storia dell’arte che Croce insisteva a negarle. Per altri versi e sul piano generale, l’influenza del filosofo abruzzese su Toesca e la sua generazione fu, però, indubbia, nell’aver offerto loro i mezzi per affrontare la storia dell’arte in termini intellettuali, ponendosi problemi legati all’estetica.
Conseguita nell’aprile 1904 l’abilitazione alla libera docenza in storia dell’arte medievale e moderna, Toesca, dopo aver tentato il concorso per la direzione del Museo civico di Verona, si trasferì nell’anno seguente a Milano, dove lavorò come impiegato facente funzione di vice-ispettore alla Pinacoteca di Brera e, contemporaneamente, insegnò alla R. Accademia scientifico-letteraria.
Il secondo posto ottenuto al concorso per la cattedra di storia dell’arte indetto nel 1906 dall’Università di Bologna, e vinto dal più anziano Igino Benvenuto Supino – a detta della commissione (Bollettino del MPI, 1907, XXXIV/II, p. 1270) – per «il maggior numero d’anni dedicato all’insegnamento», valse però a Toesca, «forte per modernità di metodo», la chiamata dall’anno accademico 1907-08 all’Università di Torino, che coincise con la fondazione nell’ateneo della cattedra di storia dell’arte (la terza in Italia). Come per gli anni di insegnamento milanese, tra le principali preoccupazioni dello studioso furono il reperimento di materiale illustrativo per la didattica e la creazione di una buona fototeca per l’istituto. Va detto, infatti, come nel corso della sua carriera egli seppe cogliere con acume le potenzialità del mezzo fotografico quale strumento per la ricerca, la didattica, la tutela dell’opera e l’alta divulgazione, facendosi carico anche della direzione di importanti campagne fotografiche. Contestualmente alla chiamata a Torino, Toesca ottenne il trasferimento da Brera all’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti del Piemonte, e questo profondo rapporto con il territorio fu proprio una delle cifre distintive delle pubblicazioni di questo periodo: Aosta (Catalogo delle cose d’arte e d’antichità del Regno d’Italia, 1), edito nel 1911, e La pittura e la miniatura in Lombardia, in libreria già nel dicembre dello stesso anno. In controtendenza rispetto al superamento dell’idea di ‘scuola regionale’ allora in atto in Francia e a teorie globalizzanti di gran moda (ad es. la nozione di ‘arte benedettina’ formulata da Émile Bertaux o lo sviluppo dell’arte sulle vie di pellegrinaggio di Arthur Kingsley Porter), egli indagava in questi lavori lo svolgersi del linguaggio artistico in un’area dalla geografia culturale ben definita e circoscritta, evidenziando a pieno la valutazione storica del linguaggio figurativo e superando in questo la dimensione descrittiva della Storia dell’arte venturiana. Di non minor valore fu la scelta di affiancare all’analisi della pittura monumentale lombarda quello della miniatura, sulla scia di quanto proposto dagli studiosi tedeschi, i soli, all’epoca, ad aver fatto dei codici miniati l’oggetto di aggiornati studi storico-artistici.
Nel 1914 giunse per Toesca l’ambito passaggio all’Università di Firenze, che segnò lo scorrere di anni fecondi da un punto di vista sia umano – qui conobbe la sua allieva e futura moglie Elena Berti (sposata nel 1927) – sia professionale, visto che riuscì a portare a compimento i primi volumi dedicati al Medioevo della sua Storia dell’arte italiana, usciti in fascicoli tra il 1913 e il 1927. Nonostante la riluttanza dello studioso a trattare esplicitamente aspetti critici e metodologici della disciplina, l’Introduzione all’opera è ritenuta, a ragione, un prezioso bagaglio di riflessioni sul metodo. E ugualmente significative in tal senso sono le indicazioni che egli fornisce nella voce Pietro Toesca dell’Enciclopedia italiana (1937) e nella nota biografica presente nell’Omaggio dedicatogli nel numero di Proporzioni del 1950, entrambe – la prima ipoteticamente, la seconda di certo (Pietro Toesca a Roma, in corso di stampa) – riferibili almeno nell’ideazione allo stesso Toesca. L’incipit dell’Introduzione è una dichiarazione di guerra al concetto di progresso nell’arte, perché alla base del diverso essere di ogni opera si pongono, come egli stesso osserva, gli intenti estetici e le condizioni che l’hanno determinata, grazie ai quali vengono necessariamente meno le idee di evoluzione e decadenza. È il trionfo di un’autentica ‘estetica storica’ su quella normativa, volta a comprendere il valore estetico di un’opera ma parallelamente a storicizzarlo, ed è nella sostanza l’approccio che portava Toesca a rifiutare in modo categorico il puro visibilismo – quale astrazione della forma dal contenuto – così come l’approccio esclusivamente contestualizzante della storia sociale dell’arte o l’ipertrofia iconologica. Lo studioso lo dichiarava senza indugi in un articolo poco noto del 1932 (Annali della Istruzione media, VIII, pp. 10-15) dal titolo Saper vedere, una sorta di motto che rilegge in chiave analitica e concettuale il venturiano «vedere e rivedere» e pone l’accento sulla comprensione dell’unione di spirito e materia esistente in ogni opera d’arte, ovvero su ciò che comunemente chiamiamo «stile e del quale occorre fare la storia» (ibid., p. 15). A ragione, dunque, nella nota biografica redatta per il numero celebrativo di Proporzioni Toesca indicò come suo metodo privilegiato quel «prima conoscitori poi storici» (Longhi, 1950, p. VI; N. Barbolani, in Pietro Toesca a Roma, in corso di stampa), già utilizzato nell’oramai lontana prolusione a Torino. E pur tuttavia, con altrettanta ragione, Roberto Longhi sottolineò come nel lavoro dello studioso il prima e il poi di quell’ammonimento fossero costantemente fusi. Il ‘saper vedere toeschiano’, infatti, non è disgiunto dalla ricerca storica, e la relazione tra loro varia sulla base del periodo o del tema oggetto di studio. Sebbene l’obiettivo primario rimanesse sempre la comprensione del contenuto estetico di un’opera, Toesca ritenne più utile affidarsi per lo studio del Medioevo alla ricerca storica, perché diversamente da altri periodi più recenti vi prevaleva rispetto all’individualità dell’artista lo stile di un’epoca e di una collettività, laddove le vicende dell’arte erano da considerarsi in relazione più stretta con quelle storiche.
Con questo solido bagaglio Toesca giunse nel 1926 all’Università di Roma, dove ottenne la cattedra di storia dell’arte medievale, affrontando anche nelle lezioni questioni spinose del coevo dibattito critico, come quella riguardante il ruolo di Bisanzio nello sviluppo dell’arte occidentale: in controtendenza stavolta rispetto alla Scuola di Vienna e più sedotto da Josef Strzygowski, Toesca vi coglieva un costante assorbimento della sfaccettata articolazione dell’arte bizantina, compresa nella molteplicità delle sue tradizioni stilistiche, ora più aderenti alle forme classiche, ora da esse divergenti. Lasciato nel 1931, in coincidenza con il pensionamento di Venturi, l’insegnamento medievistico per quello di storia dell’arte moderna e del Rinascimento, Toesca conobbe anni densi di lavoro universitario e di incarichi – diresse dal 1929 al 1937 la sezione Arte medievale e moderna dell’Enciclopedia italiana, dal 1939 entrò a far parte del Consiglio tecnico dell’ICR, tra il 1944 e il 1952 presiedette l’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte –, impegni che rallentarono la sua attività scientifica, facendo slittare fino al 1951 l’agognata uscita del volume della Storia dell’arte dedicato al Trecento. Qui, dopo che Giotto «dischiuse a un mondo nuovo e moderno», inizia ad emergere, a detta di Toesca, «tutto l’essere dell’artista: sensi e animo», ovvero l’individualità, che fu per lui il tratto distintivo dell’arte dopo il Medioevo e, soprattutto, il perno del «suo metodo, ch’è soprattutto ricerca dell’individualità» (Il Trecento, Torino 1951, pp. XI-XII). Quest’ultima diventa anche l’ago della bilancia della metodologia dello studioso, che regola l’asticella dell’uso della «ricerca storica» o del «saper vedere», con la prima che prende il sopravvento nell’analisi dei manufatti frutto dell’«operosità comune» (la produzione artistica medievale) e il secondo, invece, nello studio dell’«azione dell’individuo» (le opere delle personalità artistiche) (Il Medioevo, I, Torino 1927, pp. I-III).
Alla nomina nel 1946 a socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, nel 1947 seguì per Toesca l’uscita dai ranghi accademici, sebbene egli continuasse, come previsto, a insegnare fino al 1952 e, soprattutto, a dedicarsi alla ricerca.
Toesca morì a Roma, nella sua casa sull’Aventino, il 9 marzo 1962, lasciando la moglie Elena e la figlia Ilaria, anch’ella storica dell’arte.
Presso gli eredi, a Roma, si conservano attualmente alcuni manoscritti inediti, la corrispondenza e la fototeca dello studioso. La documentazione relativa alla sua attività di insegnamento è conservata negli Archivi storici delle università di Torino, Firenze e Roma e nei fondi dell’Archivio centrale dello Stato. Lettere di Toesca sono custodite, tra altre sedi, presso l’Archivio Berenson di Villa I Tatti a Firenze, il Centro archivistico della Scuola normale superiore di Pisa (Fondo Venturi), la Biblioteca civica di Verona (Carteggio Fraccaroli) e la Sapienza Università di Roma (Archivio Venturi).
R. Longhi, Omaggio a P.T., in Proporzioni, III (1950), pp. V-IX; E. Castelnuovo, Introduzione, in La pittura e la miniatura in Lombardia. Dai più antichi monumenti alla metà del Quattrocento, Torino 1966, pp. XXXIII-LV; M. Aldi, Istituzione di una cattedra di storia dell’arte: P.T. docente a Torino, in Quaderni storici, XXVIII (1993), 82, pp. 99-124 (in partic. pp. 108-117); G. Romano, P.T. a Torino, in Ricerche di storia dell’arte, 1996, n. 59, pp. 5-16; Id., Storie dell’arte. Toesca, Longhi, Wittkower, Previtali, Roma 1998, pp. 3-21; M. Aldi, P.T. tra cultura tardopositivista e simbolismo. Dagli interessi letterari alla storia dell’arte, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, ser. 4, II (1997 [1999]), 1, pp. 145-191; M. Bernabò, Ossessioni bizantine e cultura artistica in Italia. Tra D’Annunzio, fascismo e dopoguerra, Napoli 2003, pp. 117-124, 194-196; E. Gabrielli, P.T.: il riscatto del Medioevo italiano, in L’occhio del critico. Storia dell’arte in Italia tra Otto e Novecento, a cura di A. Masi, Firenze 2009, pp. 41-56; P.T. e la fotografia, a cura di P. Callegari - E. Gabrielli, Milano 2009, pp. 15-57; P.T. all’Università di Torino. A un secolo dall’istituzione della cattedra di storia dell’arte medievale e moderna, 1907-1908 / 2007-2008. Atti della Giornata di studi, Torino… 2008, a cura di F. Crivello, Alessandria 2011; A. Melograni, Pietro Toesca e il Consiglio superiore per le antichità e belle arti (1919-1928). Discussioni che posero le basi per la tutela del patrimonio artistico italiano e la legge del 1939, in Bollettino d’arte, ser. 7, CII (2017), 35-36, pp. 291-316; C. Vargas, L’Omaggio a P.T. di Roberto Longhi: più che un omaggio, un testa a testa fra maestri, in Confronto, n.s., I (2018), 1, pp. 13-30; P.T. a Roma e la sua eredità. Atti del Convegno internazionale, Roma… 2017, in corso di stampa.