TIBALDESCHI, Pietro (Pietro Romano)
– Nacque forse a Roma, verosimilmente negli anni Venti del Quattrocento, da Tibaldo e da Orsina di Ulisse Orsini.
Appartenente a un’importante famiglia della nobiltà romana con legami in Curia pontificia, almeno dal 1457 Tibaldeschi si era trasferito a Casale Monferrato a seguito dei rapporti intrattenuti nella città natale con il protonotario apostolico e cardinale Teodoro, figlio del marchese Giovanni IV (cardinale del titolo di S. Teodoro dal 1467).
La sua carriera nei gangli di governo del principato ebbe probabilmente inizio nel 1461, allorché Tibaldeschi risulta al servizio di Giovanni IV in qualità di castellano di Trino Vercellese; di Trino era originaria la sua prima moglie, Dorotea di Ubertino de Georgiis. Fu con la successione di Guglielmo VIII (1464) che Tibaldeschi acquisì un ruolo centrale a corte: nel 1465 compare come siniscalco e magister hospicii, ossia la carica di maggior rilievo tra i domestici, con compiti di natura cerimoniale e di cura della famiglia marchionale, e con una pregnante e indiscutibile valenza politica. Questo ruolo determinò almeno dal 1468 la cooptazione nel Consiglio del principe, alle cui riunioni era aduso assistere come testimone già all’inizio di quella decade.
Sedere in tale consesso significò essere ammesso nella cerchia più ristretta dell’élite monferrina, giacché a quell’altezza cronologica l’organismo raccoglieva in maniera pressoché esclusiva gli esponenti della più antica e radicata aristocrazia vassallatica dello Stato, costantemente al seguito del principe (Del Bo, 2009, pp. 123-128, 132-142, anche per l’evoluzione nel reclutamento).
Il conferimento della dignità cavalleresca, avvenuto verosimilmente nel 1470, coronò il processo di ascesa sociale. Da allora il suo nome fu regolarmente accompagnato dalla qualifica di miles e miles auratus, affiancata da quella di magnificus, un epiteto riservato dai notai marchionali ai maggiori feudatari dei Paleologi. In virtù della rilevanza che Tibaldeschi aveva assunto nelle istituzioni di potere marchionale, Guglielmo VIII inaugurò nel 1471 un incarico del tutto nuovo, quello di primo siniscalco, tagliato su misura per lui, ponendolo al di sopra di tutti gli altri cortigiani in un organigramma piuttosto articolato. Da quel medesimo anno, e sino al 1477, Tibaldeschi rivestì in contemporanea il ruolo di maestro delle entrate, con facoltà di autorizzare le spese.
Grazie anche alla parentela con Pietro da Monte, segretario e familiare di Sisto IV, e alla simultanea azione diplomatica del cardinale Teodoro, Tibaldeschi fu uno degli artefici dell’attribuzione della dignità diocesana a Casale, intervenendo anche di persona presso il papa, in una delle sue visite nell’Urbe.
L’elevazione al rango cittadino del borgo di S. Evasio assecondava le aspirazioni della dinastia paleologa che dagli anni Trenta del XV secolo, allorché la località era rientrata in maniera stabile nei possedimenti monferrini (1434), aveva sostenuto una serie di interventi volti a trasformare in senso urbano il grosso centro. Negli anni Settanta, la congiuntura fu favorevole all’ottenimento della sede diocesana: il cardinale Teodoro aveva sostenuto Sisto IV in conclave e il ducato sabaudo (che avrebbe potuto essere danneggiato dalla creazione del nuovo distretto diocesano) era relativamente debole durante la reggenza di Iolanda di Francia; Guglielmo VIII, inoltre, era animato da un forte spirito religioso. Per questi motivi la richiesta di erezione della diocesi, presentata nel febbraio del 1474, fu approvata nel concistoro del 18 aprile.
Il ruolo cruciale di Tibaldeschi nella vicenda è provato dalla ricompensa che ottenne: la nomina a vescovo di Casale (11 maggio) di suo figlio Bernardino (già canonico di S. Evasio dal 1469), benché non disponesse né dell’età canonica – e quindi avesse dovuto ottenere, con urgenza, una dispensa –, né dell’esperienza necessaria (tanto che il pontefice dispose che fosse affiancato nella sua azione dal vescovo di Alessandria), né avesse completato gli studi giuridici a Bologna (ove rimase per un anno ancora, lasciando la sede diocesana nelle mani del padre che divenne rappresentante della mensa vescovile e ne riscosse i redditi). Qualche anno più tardi, Bernardino ottenne un’altra dispensa, grazie all’intercessione del parente Pietro da Monte (1480), che gli consentì di detenere più di un beneficio ecclesiastico.
Negli anni successivi Tibaldeschi fu dunque al vertice del potere nel ‘piccolo Stato’ di Monferrato, che rivestiva comunque un peso politico e militare non marginale nello scacchiere internazionale. Fece man bassa di incarichi e dei relativi introiti, forte della fiducia di Guglielmo VIII che gli si rivolse anche per essere sostenuto finanziariamente.
Nel corso della sua carriera Tibaldeschi fu castellano, familiare, cameriere, siniscalco, maggiordomo, primo siniscalco, consigliere, maestro delle entrate e tesoriere generale: nessun altro personaggio della corte monferrina vantò una così nutrita serie di offici e qualifiche, talvolta addirittura simultanee. Dal 1479, inoltre, affiancò sul campo di battaglia il principe Guglielmo (dal 1448 al soldo, benché non continuativo, degli Sforza e dal 1475 alla morte capitano generale dell’esercito sforzesco): gli fornì consigli e valutazioni in materia di strategia e partecipò in prima persona alle manovre di guerra con «la familia, galuppi et ballestri a cavallo», al comando di una squadra (Del Bo, 2009, p. 93). Nel 1479 incorse anzi in un incidente equestre: «el suo cavallo caschò e gli fece la thoma adosso; l’ha frachassato un pocho nel pecto» (p. 94).
Ovviamente Tibaldeschi accumulò un consistente patrimonio allodiale e feudale: terre a Lu Monferrato, quote dei feudi di Murisengo (1467), Villadeati e Livaretto (1478), la castellania di Conzano in locazione (500 fiorini annui, 1471) con il diritto di moleggio e censo (1480), diritto quest’ultimo che deteneva anche a Bianzè (300 fiorini, 1477). Guglielmo VIII gli concesse inoltre l’investitura del castrum, della castellania e della podesteria di Rivalta Bormida nel 1478, rinnovata dal successore Bonifacio III nel 1483 (Del Bo, 2009, p. 90). La sua ricchezza e la sua influenza sui gentilhomini monferrini emersero in molte circostanze: nel 1473, ad esempio, su richiesta sforzesca il marchese fece capo a lui perché l’aristocrazia casalese fornisse cospicui quantitativi di grano a Genova, vessata dalla carestia. Del resto, Tibaldeschi carteggiava direttamente con il potente segretario sforzesco Cicco Simonetta e con il duca stesso, aggirando il marchese.
Questa preminenza sociale ebbe concreti riscontri a Casale e a Trino, dove Tibaldeschi possedette dimore lussuose che lo stesso marchese impiegò per ospitare ambasciatori francesi e sforzeschi, o vescovi. L’abitazione di Casale, porticata su due lati e dotata di loggiato, fu adibita a palazzo vescovile quando vi dimorò Bernardino, appena nominato vescovo e in seguito ospitò, forse soltanto per un breve periodo, la marchesa Anne d’Alençon, sposa di Guglielmo IX, e la sua corte.
Alla morte di Guglielmo VIII (1483), l’influenza di Tibaldeschi fu ridimensiona in maniera drastica da Bonifacio III. Succeduto al carismatico, prestigioso e valoroso fratello, Bonifacio volle sbarazzarsi – sfruttando anche il malumore e l’invidia di altri uomini di corte, segnalati dai diplomatici stranieri presenti a Casale – dell’ingombrante eredità costituita dalla presenza a corte del potente primo siniscalco del predecessore. L’operato di Tibaldeschi fu quindi sottoposto a sindacato (aprile 1483), a poco più di un mese dalla successione, e si accertò che egli era «debitore de grossa somma de denari, de zoie et de argenti manegiati al tempo del illustre quondam signore Guglielmo» (Del Bo, 2009, p. 94). Tibaldeschi fu catturato, imprigionato nel castello di Casale e in seguito trasferito a Pontestura e Montemagno.
Con lui furono arrestati anche il cognato, Franceschino di Cuccaro, uno dei figli, di cui non si menziona il nome, il suo maestro di casa e altre persone non precisate, con l’accusa di malversazioni. Agli occhi dell’ambasciatore sforzesco in Monferrato, Andrea Lampugnani, fu chiaro che l’episodio fosse stato determinato dalla perdita di «quella auctoritate, favore et reputatione ch’el haveria al tempo dello illustre quondam signore Guglielmo» (ibid.).
Liberato prima del 1485, dietro il pagamento di un riscatto, Tibaldeschi recuperò lentamente una parte delle posizioni perdute, a prova di una indubbia abilità e competenza. Compare in quell’anno con la qualifica di aulico marchionale, benché in una sola occorrenza, poi, nel 1491, rientrò nel Consiglio (carica che mantenne sino al 1498), e dal 1494 al 1498 fu di nuovo maestro delle entrate. Nel 1494 forse fu anche podestà a Bologna.
Nel 1499, ormai ultrasettantenne, manifestò la volontà di rientrare (dopo quarant’anni circa) a Roma, come provano talune operazioni di dismissione del patrimonio monferrino, anche a vantaggio di Defendente Suardi, maggiordomo, siniscalco e consigliere marchionale del marchese. Ma pochi mesi dopo morì a Casale, come attesta una richiesta di prestito avanzata dalla vedova a Suardi. Nella chiesa di S. Domenico disponeva di una cappella dotata di monumento sepolcrale, alla quale destinò un legato testamentario di 800 fiorini.
Dalla prima moglie Dorotea de Georgiis ebbe almeno sei figli: il vescovo Bernardino (morto il 12 febbraio 1517); Gianguglielmo e Giacomo – che ebbe un dissidio con il fratello vescovo e fu allontanato dalla casa paterna (1485 e 1486) –, sposati a due sorelle, Maddalena e Selvaggina Enrici di Daniele Enrici da Napoli; il dottore in leggi Tibaldo, marito di Bianca di Manfrino Beccaria da Pavia; Antonina che nel 1472, con una dote di 1000 fiorini, sposò Franceschino Colombo di Cuccaro, della eminente stirpe monferrina, cui appartenne anche Caterina di Ubertino Colombo di Cuccaro, moglie dell’altro figlio Lancillotto poi trasferitosi a Fubine (1497). Sposò in seconde nozze Nicolia di Piacentino de Ruggeriis da Roma, dalla quale ebbe un altro figlio, Ubertino o Albertino (trasferitosi a Roma e coniugato con Aurelia Cenci).
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