STERBINI, Pietro
Uomo politico e scrittore, nato a Vico del Lazio, nel 1795, morto a Napoli il 1° ottobre 1863. Fece gli studî di medicina all'università di Roma, ma coltivò pure le lettere, e nell'ottobre del 1827 fece rappresentare in Roma una sua tragedia, intitolata La Vestale, subito proibita dalla polizia. Due anni dopo pubblicò un Saggio di poesie, una delle quali in morte di Vincenzo Monti. Quando la notizia che l'Italia centrale era insorta (febbraio 1831) giunse in Roma, lo St., insieme con altri patrioti, tentò di provocare un moto rivoluzionario nella città e il 12 febbraio partecipò a una dimostrazione di piazza, quindi accompagnò l'Accursi a Terni per indurre il Sercognani a marciare su Roma. Fallito quel moto rivoluzionario, lo St. fuggì da Roma e per un certo tempo si tenne nascosto a Senigallia, quindi esulò in Corsica, dove probabilmente conobbe il Mazzini e stampò un volume di Poesie (Bastia 1835), nelle quali, oltre a La Vestale, comprese altre due tragedie (Ugolino e Tiberio). Notevoli fra le poesie sono quelle intonate a caldo amore di patria, su La battaglia di Navarino, su Mario Pagano e su Sampiero Corso e Pasquale Paoli. Nel 1835 andò a Marsiglia e colà attese alla sua professione di medico, affiliandosi verso il 1840 alla Giovine Italia. Non appena Pio IX emanò (16 luglio 1846) l'amnistia, lo St. accorse a Roma, e al pontefice sciolse inni di gioia e di gratitudine. Fu uno dei più attivi collaboratori del Contemporaneo, e dei più energici oratori nei circoli popolari. Il 18 maggio 1848 fu eletto al consiglio dei deputati e per qualche tempo seguì la politica del Mamiani, col quale fu membro di quella società per la confederazione italiana ispirata dal Gioberti; anzi assisté alle sedute indette a Torino nell'ottobre del 1848. Dopo l'assassinio di Pellegrino Rossi, al quale fu asserito avere egli partecipato, cambiò atteggiamento politico, e fu ministro del Commercio e dei Lavori pubblici nei tre ministeri Muzzarelli (17 novembre 1848, 25 gennaio e 14 febbraio 1849), ma si dimise l'8 marzo successivo. Deputato alla Costituente, votò per l'abolizione del potere temporale dei papi e per la repubblica (9 febbraio 1849); ma durante il triumvirato non ebbe parte attiva, anzi sembrò messo da canto, perché sospetto di "alimentare le velleità dittatoriali di Garibaldi contro Mazzini". Fu inviato il 24 maggio a Frosinone in qualità di commissario straordinario, ma tornatone, per avere il 30 giugno arringato il popolo in piazza, sostenendo la necessità di affidare a Garibaldi la dittatura, corse pericolo di essere pugnalato da un mazziniano, lo scultore Angelo Bezzi. Andato in esilio dopo la caduta della repubblica, visse lunghi anni a Parigi, dove volle scagionarsi sui periodici francesi dell'accusa di avere cooperato all'assassinio di Pellegrino Rossi. E colà scrisse un poema sulla presa di Sebastopoli (1855).