STERBINI, Pietro
– Nacque a Sgurgola, nel Frusinate, il 25 gennaio 1793 dal conte Cesare di Vico nel Lazio e da Camilla Bianchi.
Primogenito di almeno sei figli, fu battezzato con i nomi di Francesco Maria Pietro.
Dopo una prima educazione in famiglia, frequentò il seminario vescovile di Veroli, concludendo la scuola secondaria a Roma. Lì seguì gli studi universitari di medicina e chirurgia, ottenendo la laurea intorno al 1813. Fino al 1831 mantenne la condotta medica nel comune di Pofi (Frosinone). Lì sposò nel 1825 Anna (Carolina) Moscardini, di Anagni, con la quale ebbe tre figli: Icilio, Amalia ed Ersilia. Fissò la sua residenza stabile a Roma, dove all’esercizio della professione medica unì la pratica letteraria. Membro fondatore dell’Accademia Tiberina, intrecciò precocemente gli interessi culturali alla critica del governo ecclesiastico.
Nell’ottobre del 1827 mise in scena una tragedia di ambientazione classica, La vestale, dove esprimeva la denuncia dell’ipocrisia del ceto ecclesiastico volta all’oppressione dei vincoli familiari e sociali. Poco dopo, la recita di un’ode sulla battaglia di Navarino, in cui dava espressione all’amor di patria e della libertà nazionale greca, provocò la censura e il suo allontanamento temporaneo da Roma, dove aveva diretto il periodico Il discernitore (1829). La produzione poetica di Sterbini, di ispirazione classicista nello stile, esprimeva fin dagli esordi i temi della difesa della patria, dell’esaltazione di un sentimento religioso teso all’affermazione degli ideali patriottici e, più in generale, dei diritti dei popoli. Ne è testimonianza la raccolta Saggio di poesie (Roma 1829), dedicata a Bertel Thorvaldsen e alla sua statua del Salvatore, interpretata come simbolo del «Sole di giustizia» (p. 11) per tutti gli oppressi.
Affiliato alla vendita dei carbonari di Trastevere, partecipò all’organizzazione del tentativo insurrezionale del 12 febbraio 1831 e si recò a Terni insieme a Michele Accursi per convincere il generale Giuseppe Sercognani a puntare con le sue truppe rivoluzionarie sulla capitale, ma senza successo. Sedata la rivolta nelle Legazioni, Sterbini si nascose in un primo momento a Senigallia. Rientrato a Roma dopo l’amnistia del 30 aprile, non smise di mantenersi in comunicazione con gli ambienti settari cambiando spesso residenza per un paio di anni. Tramite la famiglia e l’amico Enrico Mayer, riuscì infine a ottenere un passaporto a condizione di lasciare definitivamente gli Stati pontifici.
Nel dicembre del 1833 si trasferì quindi in Corsica, dove rimase per almeno due anni, intrattenendo rapporti con Pietro Giannone, Pasquale Berghini e altri esuli di tendenza mazziniana. Lì pubblicò una raccolta di poesie e altri componimenti di ispirazione patriottica (Poesie di Pietro Sterbini, Bastia 1835). Dal 1835 al 1846 visse a Marsiglia, impegnandosi nella cura dell’epidemia di colera e cercando di esercitare la professione medica. Continuò l’attività politica all’interno delle reti cospirative intorno a Nicola Fabrizi e Giuseppe Ricciardi. Si avvicinò infatti progressivamente alla Giovine Italia, cui aderì formalmente tra il 1839 e il 1840, contribuendo all’opera di propaganda clandestina dell’organizzazione.
Dopo l’editto di perdono del 16 luglio 1846 emanato da Pio IX, tornò negli Stati del papa. Giunto a Livorno nell’agosto, scrisse un’ode in cui Mastai Ferretti veniva celebrato come il condottiero inviato dal cielo per combattere i tiranni e difendere gli oppressi (Il ritorno dell’esule in Roma. Livorno 29 agosto 1846, foglio volante). A Roma, prese parte alle manifestazioni in onore del papa, di concerto con altri vecchi esuli politici. L’11 novembre recitò un discorso al teatro Alibert, in occasione di un banchetto per festeggiare il possesso del Laterano da parte del papa. La piattaforma dalla quale contribuì alla mobilitazione in favore delle riforme promosse da Pio IX conteneva la richiesta di progressi materiali, ma anche il riscatto nazionale grazie all’unione di principi e popolo. Su queste posizioni collaborò dal marzo del 1847 al Contemporaneo. Negli stessi mesi fondò un giornale clandestino, La Sentinella del Campidoglio, che destò subito l’attenzione delle autorità pontificie e la cui effettiva pubblicazione fu interrotta grazie alla mediazione di Massimo d’Azeglio. A quest’ultimo rispose, sempre anonimamente, a difesa del popolo romano per le intemperanze dimostrate nell’accoglienza dell’editto sulla censura della stampa del 15 marzo (Brevi considerazioni sopra una lunga lettera del sig. M. Massimo D’Azeglio, 3 aprile 1847, s.n.t.). Nei mesi successivi la sua attività di pubblicista e di attivista politico nella capitale continuò sulla linea di fedeltà al sovrano pontefice, di esaltazione dell’unione tra sovrano e popolo e di critica alle lentezze del processo riformista, imputate all’opera degli ambienti ecclesiastici retrivi. Sterbini fu tra gli organizzatori del grande banchetto del 21 aprile per il Natale di Roma sul colle Esquilino, dove pronunciò un discorso, e delle manifestazioni per l’anniversario dell’elezione al pontificato di Pio IX il 17 giugno, per cui compose un inno che celebrava lo scambio delle bandiere tra Bologna e Roma come simbolo di rinnovata unione tra i popoli dello Stato (Il vessillo offerto dai bolognesi ai romani. Inno popolare, Roma 1847).
La sua attività giornalistica continuò sul doppio binario della stampa clandestina (a lui si attribuisce la compilazione del periodico anonimo Amica veritas) e della collaborazione al Contemporaneo, di cui divenne direttore dal 29 giugno 1848 e di cui compose gli articoli di fondo. Un suo pezzo del 13 novembre 1847, esaltante una «rivoluzione sociale che non si arresta nella superficie, ma attacca le fondamenta, si compie fra le feste e fra gli evviva, fra le lagrime di gioia e gli abbracciamenti fraterni», provocò l’irritazione del pontefice che vi accennò nell’allocuzione del 15 novembre per l’inaugurazione della Consulta di Stato.
Sterbini mantenne una coerente posizione di sostegno alle riforme e al sovrano, unita alla mobilitazione permanente dell’elemento popolare organizzato nei club: il ruolo di guida dell’ala più oltranzista del variegato fronte liberale gli valse in seguito l’accusa di demagogia; la lega dei popoli e dei principi restò però il suo orizzonte programmatico fino all’estate del 1848, giustificando l’allocuzione di Pio IX del 29 aprile e accusando gli altri sovrani di tradimento della volontà popolare (Allocuzione di Pio IX, in Il Contemporaneo, 2 maggio 1848).
Eletto al Consiglio dei deputati nel collegio di Anagni, si schierò con il ministero di Terenzio Mamiani per la prosecuzione della guerra all’Austria. I rovesci del conflitto e le resistenze del papa a concedere l’appoggio diretto alla lotta per l’indipendenza lo spinsero su posizioni di aperta critica alle monarchie italiane e di appello diretto ai popoli perché si armassero. Sulla stampa e nei circoli interpretò un’aperta opposizione al ministero di Pellegrino Rossi insediatosi nel settembre del 1848. Nell’ottobre partecipò al congresso per la Federazione italiana voluto da Vincenzo Gioberti a Torino, come rappresentante del Circolo popolare romano, di cui era uno dei capi riconosciuti. Tornato a Roma, riprese la campagna di stampa contro Rossi. I toni fortemente denigratori furono alla base dell’attribuzione a Sterbini del ruolo di principale mandante dell’omicidio del ministro, accusa che venne ribadita nel corso del processo conclusosi nel 1854 e che fu da lui respinta pubblicamente (Au Rédacteur, in Journal des Débats, 15 maggio 1854). Nella fase di tensione seguita alla rivoluzione del 16 novembre 1848 e alla successiva fuga del papa a Gaeta, egli operò per un travaso di poteri al Circolo popolare. Fece parte del primo e del secondo governo presieduti da Carlo Emanuele Muzzarelli (17 novembre e 23 dicembre) come ministro del Commercio e dei Lavori pubblici, promuovendo azioni di sostegno al reddito delle classi popolari. Nei dibattiti in seno al Consiglio dei deputati difese il ricorso alla sovranità popolare e fece parte dell’organo che convocò l’Assemblea costituente il 29 dicembre, insieme agli altri ministri e alla Suprema Giunta di Stato. Membro della Commissione provvisoria di governo, fu eletto alla Costituente nel collegio provinciale di Frosinone. Votò la proclamazione della Repubblica Romana e la decadenza del potere temporale dei papi; fece parte del nuovo governo sempre al dicastero dei Lavori pubblici. Dai banchi dell’Assemblea sostenne con forza la difesa della Repubblica contro l’occupazione militare del suo territorio e l’unione con gli altri governi rivoluzionari italiani. In seguito a contrasti con l’Assemblea, che contestava il suo operato, l’8 marzo venne sostituito al ministero da Mattia Montecchi. Il 4 marzo 1849 era stato intanto eletto dal Circolo popolare presidente del Comitato di pubblica sorveglianza, un organo extraistituzionale formato per vigilare sull’esecuzione dei decreti governativi e sulla fedeltà al nuovo regime. Rientrò nel nuovo governo formato dal Triumvirato il 2 aprile. Nominato commissario straordinario della provincia di Frosinone nel maggio, operò il disarmo dei resistenti e la riorganizzazione della milizia dopo la liberazione dalle truppe napoletane; contro il parere di Mazzini, sostenne senza successo la linea dell’iniziativa offensiva e della dittatura militare di Giuseppe Garibaldi.
Caduta la Repubblica, si rifugiò in Svizzera dall’agosto del 1849 al marzo del 1851, quando venne espulso dal Consiglio federale. Dopo alcuni mesi passati tra Genova e il Piemonte, nel 1852 si trasferì stabilmente a Parigi, dove maturò l’adesione alla politica cavouriana e alla monarchia sabauda. Nel 1855 pubblicò un poemetto per celebrare la spedizione piemontese in Crimea (Tauride). Dopo lo scoppio della guerra austro-piemontese nel 1859 si stabilì in un primo tempo a Firenze e poi, invitato a partire dal governo provvisorio, a La Spezia e in Piemonte. Dopo la spedizione garibaldina nel Mezzogiorno, si trasferì a Napoli collaborando in un primo momento con Giuseppe Lazzaro alla redazione di articoli politici per Il Nomade. Fondò poi, insieme allo stesso Lazzaro e a Diodato Lioy, il giornale Roma (1862), per sostenere da sinistra l’annessione della capitale al nuovo Regno: perseguì questi obiettivi anche con l’appoggio alla Società emancipatrice e di mutuo soccorso del sacerdozio italiano, del domenicano Luigi Prota Giurleo, e sostenendo la proposta della formazione di un clero nazionale eletto democraticamente, stipendiato dallo Stato e indipendente dalla Chiesa romana, da opporre alle posizioni intransigenti e filoborboniche dell’episcopato meridionale. Espose le sue idee religiose in una prolusione pronunciata all’Università di Napoli il 6 marzo 1862 (Filosofia e religione. Discorsi di Pietro Sterbini, Napoli 1862); lo stesso anno pubblicò parzialmente una storia della Repubblica romana composta durante l’esilio parigino (Tredici giornate della rivoluzione romana. Scene drammatiche accompagnate da note storiche, Napoli 1862).
Morì a Napoli il 30 settembre 1863.
Opere. Diverse opere manoscritte inedite, insieme ad altri autografi, segnalati precedentemente come in possesso degli eredi, non sono più reperibili (Minnocci, 1967, passim, e Rodelli, 1960, pp. 43 s.). Non esiste una bibliografia esaustiva della sua variegata produzione giornalistica, poetica e saggistica. Oltre ai testi e agli interventi nei periodici citati, si segnalano: Le belle arti in Roma. Cantata eseguita il dì 25 ottobre 1819 in una festevole unione di artisti, Roma 1819; Per alcuni quadri di H.te Lebrun che ammiransi nel suo studio. Versi, Roma 1820 (con Giacomo Ferretti); Lo schiavo Italiano in Algieri nel luglio dell’anno 1830. Idilio di Pietro Sterbini, Roma 1830; Discorso del dottor Pietro Sterbini recitato il 26 aprile 1835 nella pubblica adunanza della Società medico-scientifica della Corsica, in Corte, Bastia 1835; Discorso di Pietro Sterbini al convito dato dai Romani nel teatro Aliberti la sera dell’undici novembre 1846 per festeggiare il solenne possesso di Pio IX con l’aggiunta di alcune poesie del medesimo autore, Roma 1846; Il Natale di Roma celebrato il XXI aprile MDCCCXLVII, in Foglio aggiunto al Contemporaneo del 24 aprile 1847; Inno siciliano dedicato alla Civica Romana, Roma, 3 febbraio 1848, s.n.t.; Préface, in V. Borie, Histoire du Pape Pie IX et de la dernière révolution romaine (1846-1849), Bruxelles 1851, pp. I-VIII; Tauride. Canto di Pietro Sterbini, Montmartre [1855]; La scomunica. Ode; Dio protegge l’Italia. Ode; A Garibaldi. Ode, Genova [1860]; L’ultima notte di Francesco II a Gaeta. Canti due, s.l. [1860].
Fonti e Bibl.: Autografi, lettere e ritratti di Sterbini sono conservati a Roma, presso il Museo centrale del Risorgimento; alcune lettere si trovano nell’archivio di Enrico Mayer, conservato a Santa Maria a Monte (Pisa); necrologio, Morte di P. S., in L’Armonia della religione colla civiltà, 7 ottobre 1863; G. Ricciardi, P. S., in Roma, 11 ottobre 1863.
E. Capocci, La stampa napoletana al Signor P. S., Napoli 1863; A. Linaker, La vita e i tempi di Enrico Mayer, I, Firenze 1898, pp. 141, 165-178, 360-362, 429 s., 447-461; R. Giovagnoli, Pellegrino Rossi e la Rivoluzione romana su documenti nuovi, III, Roma 1911, pp. 178 s. e passim; Il ‘Roma’ nel suo cinquantenario, Napoli 1911, passim; [M. Menghini], Due lettere di P. S. a Vincenzo Salvagnoli. Nozze Gentile-Grelling, Firenze 1932; Id., S., P., in Enciclopedia italiana, XXXII, Roma 1936, p. 711 (con imprecisioni); C. Minnocci, S., P., in Dizionario del Risorgimento nazionale, diretto da M. Rosi, IV, Milano 1937, pp. 846-850 (con imprecisioni); M. Menghini, P. S. esule in Corsica (1834), in Archivio storico di Corsica, IV (1940), pp. 498-502; L. Rodelli, La Repubblica romana del 1849, Pisa 1955, passim; M. Lupo Gentile, Sull’esilio di P. S., in Il Risorgimento, VIII (1956), 1, pp. 33-36; L. Rodelli, P. S. e ‘La Chiesa Nazionale’, ibid., XII (1960), 1, pp. 25-44; C. Minnocci, P. S. e la rivoluzione romana 1846-1849, Marcianise 1967, nuova ed. Frosinone 1994; Bibliografia dell’età del Risorgimento in onore di Alberto M. Ghisalberti, I, Firenze 1971, p. 342; G. Graziani, Giuseppe Mazzini a P. S. Lettera inedita sul prestito nazionale, Colleferro 1990; N. Tomei, P. S.: l’uomo e la sua terra, in Il 1848-49 nel territorio dell’attuale provincia di Frosinone, a cura di E.M. Beranger - A. Viscogliosi, Sora 2003, pp. 211-220.