SPANGARO, Pietro
– Nacque a Venezia il 28 gennaio 1813 da Giovanni Battista e da Elena Zanchi, secondogenito di una famiglia discretamente agiata.
Nella città lagunare risiedeva da molte generazioni una colonia di Spangaro, originari del Friuli e tradizionalmente dediti all’attività di tessitori. Il padre, ufficiale d’artiglieria della guardia reale di Napoleone, era stato da lui insignito il 15 marzo 1814 del titolo di cavaliere della Corona di ferro.
Negli anni della Restaurazione Giovanni Battista lasciò il ‘mestiere delle armi’ a cui nel 1821 indirizzò il figlio Pietro, iscritto a soli otto anni al Collegio militare di Milano. Nel 1830 il ragazzo entrò come cadetto nel 13° reggimento fanteria barone de Wimpffen e da quel momento la sua carriera proseguì regolarmente: nel 1835 fu promosso alfiere, nel 1841 divenne sottotenente e nel 1847 luogotenente. Fu la ‘primavera dei popoli’ a interrompere questo brillante cammino: nel marzo del 1848 disertò assieme a Pier Fortunato Calvi, ufficiale nel suo stesso reggimento, ed entrambi si misero al servizio della Repubblica veneta proclamata in quei giorni da Daniele Manin a Venezia.
La formazione militare di Spangaro gli consentì rapidi avanzamenti di carriera: già il 18 aprile fu nominato dal governo provvisorio capitano di fanteria e il 10 settembre venne promosso maggiore. Dopo aver combattuto in laguna fino alla capitolazione della città nell’agosto del 1849, al ritorno dell’Austria condivise la sorte di molti altri patrioti e intraprese la via dell’esilio: riparò dapprima a Malta, snodo cruciale dell’emigrazione politica ottocentesca, per poi stabilirsi in Egitto, dove diede vita a un’impresa commerciale. Il governatorato ottomano rappresentava una delle mete favorite dagli esuli italiani, anche in virtù della sua relativa prosperità economica. Specialmente ad Alessandria e al Cairo si raccoglievano comunità di emigrati molto sensibili alle sorti politiche della penisola soprattutto da posizioni democratiche e spesso attivamente partecipi di progetti insurrezionali. Nei dieci anni trascorsi al Cairo, Spangaro rimase in assidua corrispondenza con il modenese Nicola Fabrizi, figura di primo piano del Risorgimento democratico, che come lui aveva preso parte alla difesa di Venezia nel biennio rivoluzionario e lo aveva introdotto negli ambienti mazziniani durante il suo passaggio maltese nel 1849. L’attività commerciale del veneziano gli consentì di svolgere traffici clandestini – di armi, opere a stampa, aiuti in denaro – accanto a quelli legalmente consentiti, utilizzando oltretutto lo strumento epistolare per disseminare, tra i prosaici ragguagli sui movimenti delle merci, riferimenti all’azione cospirativa attraverso il linguaggio in codice. Del resto nella visione mazziniana le colonie di emigrati italiani nel Mediterraneo orientale avrebbero dovuto sostenere con degli sbarchi le iniziative rivoluzionarie nella penisola, come in parte accadde con ogni probabilità nel 1857 quando, non a caso il 4 luglio, pochi giorni dopo il tragico epilogo del tentativo di Carlo Pisacane, si registrava la presenza di Spangaro in rada verso Civitavecchia. Scrivendo a Fabrizi egli dichiarava di essere appena partito da Napoli, faceva riferimento alle «dolorose notizie» (Lenna, 2017, p. 26) da poco apprese, alla recente rivolta livornese e alle misure repressive messe in atto da Ferdinando II di Borbone. Approdato di lì a poco a Malta, fu ospite di Fabrizi fino al 4 novembre 1857, quando ripartì per il Cairo.
La militanza mazziniana di Spangaro si espresse anche nell’attività giornalistica: durante l’esilio egiziano inviò clandestinamente al patriota modenese scritti da pubblicare su Pensiero e azione, L’Italia del Popolo, Il Mediterraneo.
Alla fine degli anni Cinquanta accolse al Cairo come socio e procuratore della sua ditta un altro esule mazziniano, il siciliano Diego Arangio, parte attiva negli eventi rivoluzionari dell’Italia meridionale fin dagli anni Trenta, anch’egli in stretti rapporti con Fabrizi, per il quale nel 1857 aveva raccolto sottoscrizioni per l’acquisto di 10.000 fucili destinati alla provincia italiana che per prima fosse insorta.
Tristemente naufragati i piani insurrezionali che avrebbero dovuto imperniarsi sull’impresa di Pisacane, pochi anni dopo più strutturate iniziative verso l’Italia meridionale aprirono concrete prospettive d’azione anche per gli esuli più radicali. Spangaro, che nel febbraio del 1858 si rammaricava con Fabrizi per il fallito attentato di Felice Orsini a Napoleone III, due anni dopo, nell’aprile del 1860, scriveva da Bologna al patriota modenese pregandolo di fornirgli tempestivamente notizie sui progetti garibaldini verso la Sicilia, dai quali non avrebbe voluto rimanere escluso.
Nel maggio del 1860, sulla spiaggia di Quarto, si incrociarono tra i Mille che poi sbarcarono a Marsala i percorsi di due Spangaro: Pietro e un suo omonimo nato nel 1836, figlio del cugino Giovanni Battista.
Questa compresenza e particolari circostanze personali recentemente ricostruite innescarono equivoci postumi sulle rispettive biografie, di cui talvolta si tramandarono dati inesatti, come la presunta adesione di Pietro a imprese garibaldine successive, cui prese parte invece il suo più giovane omonimo.
L’8 maggio 1860, in sosta a Talamone, Spangaro scrisse una lettera all’intellettuale e patriota siciliano Michele Amari, al quale lo legava una lunga amicizia, descrivendo con dovizia di particolari le rocambolesche circostanze dell’imbarco nella notte tra il 5 e il 6 maggio e i disagi della navigazione sul Lombardo, notevoli anche per chi, come lui, aveva un’ampia esperienza del mare. Terminava la sua missiva ricordando l’ordine del giorno di Garibaldi con la pronuncia del motto Italia e Vittorio Emanuele e la previsione di privazioni e disagi: «lo spirito è eccellente – concludeva – ed è bene a sperare se le mene farisaiche non guasteranno il tutto» (D’Ancona, 1896, p. 82). Nonostante la sua esperienza militare, Spangaro volle imbarcarsi come semplice volontario, ma già il 15 maggio, giorno della battaglia di Calatafimi, fu promosso maggiore. Per l’autorevolezza dimostrata, l’11 giugno venne nominato tenente colonnello e presidente del tribunale militare della 15ª divisione Türr. Alla vigilia della battaglia del Volturno divenne colonnello brigadiere comandante la I brigata della 15ªdivisione e fu valente protagonista in quegli scontri decisivi di inizio ottobre. Su quelle vicende militari redasse per Istvan Türr un lungo e dettagliato rapporto compilato il 10 ottobre 1860 a S. Angelo in Formis, nei pressi di Caserta.
La figura di Spangaro lasciò traccia in molte memorie garibaldine: ne scrisse tra gli altri Giulio Adamoli (1892), che ricordava come tutti lo amassero «per la grande bontà [...] e perché esercitava le funzioni del suo ufficio con passione e con cognizione, avendo compiuto la sua educazione militare nel collegio di Neustadt» (p. 120). Veterano delle lotte risorgimentali, ai giovani volontari «più che da superiore, [...] faceva da padre» (p. 126).
Spangaro appartenne a quella schiera di garibaldini che furono accolti nell’esercito del Regno d’Italia in virtù della propria professionalità e che accettarono di entrarvi soprattutto in continuità con la scelta del ‘mestiere delle armi’. Ciò non escludeva affatto, soprattutto nei primi anni postunitari, che essi conservassero legami con i settori d’opposizione e si sentissero potenzialmente proiettati verso iniziative rivoluzionarie per portare a termine il processo risorgimentale. Così Spangaro, al quale a fine mese venne definitivamente confermato l’ingresso nell’esercito con il grado di colonnello, il 6 marzo 1862 scriveva a Giacinto Bruzzesi chiedendogli informazioni sui movimenti di Garibaldi e dichiarandosi pronto all’appello per qualunque piano si concretizzasse.
Nominato comandante del 5° reggimento granatieri il 13 luglio 1862, fu messo in disponibilità il 5 febbraio 1863 e collocato a riposo per anzianità di servizio e per ragione d’età il 31 gennaio 1867. Scelse allora di stabilirsi a Milano, in corso Venezia.
Come era avvenuto negli anni precedenti con la comunità transnazionale dei militanti mazziniani, nell’ultima parte della sua vita il soggetto collettivo dei reduci garibaldini rappresentò una sorta di surrogato degli affetti familiari per Spangaro, di cui non risultano legami matrimoniali né relazioni sentimentali significative. Egli, anche in qualità di presidente della Società dei superstiti dei Mille di Marsala in Milano, si adoperò a favore delle vedove e degli orfani delle camicie rosse e agì a sostegno dei più indigenti tra i suoi ex commilitoni.
Presenziò a una delle ultime apparizioni pubbliche di Garibaldi per l’inaugurazione del monumento milanese ai caduti di Mentana, il 3 novembre 1880.
Morì a Milano il 14 novembre 1894, in una casa al n. 28 di corso Magenta.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Ministero dell’Interno, I Mille di Marsala, b. 30, f. 953; Roma, Museo centrale del Risorgimento, bb. 168, 255, 257, 321; Fondo Bruzzesi, b. 97; Archivio Pasquale Stanislao Mancini, b. 678; Archivio Fabrizi, ad ind.; Archivio di Stato di Torino, Alla ricerca di garibaldini scomparsi, Banca dati multimediale, http://archiviodistatotorino.beniculturali.it/work/garb_detl.php?garb_id=6944 (24 settembre 2018); L’Illustrazione italiana, 25 novembre 1894, necrologio. Inoltre: G. Pecorini Manzoni, Storia dellla 15ª Divisione Türr nella campagna del 1860 in Sicilia e Napoli, Firenze 1876, pp. 460-465; G. Adamoli, Da San Martino a Mentana. Ricordi di un volontario, Milano 1892, pp. 119 s., 126, 136, 146, 163; A. D’Ancona, Carteggio di Michele Amari, II, Torino 1896, pp. 80-82; G. Castellini, Eroi garibaldini, Bologna 1911, I, Da Rio Grande a Palermo (1837-1860), p. 223, II, Da Palermo a Digione (1860-1870), pp. 5-7, 28, 51, 53, 109, 120; P. Scharini, I Mille nell’esercito, in Memorie storiche militari, X (1911), 5, p. 604; Id., S. P., in Dizionario del Risorgimento nazionale dalle origini a Roma capitale. Fatti e persone, a cura di M. Rosi, IV, Milano 1937, p. 322; E. Michel, Esuli italiani in Egitto, Pisa 1958, ad ind.; M. Lenna, Un garibaldino dimenticato, Pordenone 2017.