SFORZA, Pietro (Petrus de Attendolis, Petrus de Cotignola)
– Nacque verosimilmente nel 1411 o 1412, figlio del condottiero Muzio Attendolo, più noto come Sforza. La madre non è identificabile con certezza.
Secondo alcuni, si trattò della prima moglie di Muzio Attendolo, Antonia Salimbeni; secondo altri, della seconda, Caterina Alopo (sorella di Pandolfello, un favorito della regina di Napoli Giovanna II), o ancora, e più probabilmente, dell’amante Maria Marzani dei duchi di Sessa, in quanto dalla bolla papale di nomina vescovile si evince che fu illegittimo; probabilmente nacque dalla stessa madre di Carlo Sforza (in religione Gabriele, poi arcivescovo di Milano). Il più celebre tra i figli di Muzio Attendolo, Francesco Sforza, nacque invece da un’altra amante, Lucia di Torsciano.
Nulla si sa dell’infanzia, della formazione e delle esperienze giovanili di Sforza, se non che entrò, in data imprecisata, nell’Ordine francescano.
Il 18 giugno 1438 fu collocato sulla cattedra vescovile di Ascoli Piceno da Eugenio IV, che dovette dispensarlo sia per la nascita illegittima sia per il difetto d’età, dato che si trovava ancora nel ventisettesimo anno «vel circa» (U. Hüntemann, Bullarium franciscanum..., 1929, p. 173). Anche la data di ordinazione è ignota; il primo decreto noto, emanato in qualità di presule ascolano, è del 26 novembre 1438. Nell’estate dello stesso anno dal Concilio di Basilea era stato eletto vescovo di Ascoli, in opposizione a Sforza, tale Lorenzo da Rotella, che però non arrivò mai a prendere possesso della sede.
Sulla scelta di Sforza da parte del papa dovettero influire calcoli politici e motivi di opportunità. La situazione politica della Marca d’Ancona, e dell’Italia centrale in genere, era in effetti incerta e complessa; infuriava la guerra di conquista condotta da Francesco Sforza per tentare di imporre ed esercitare la sua egemonia politica sulla regione, e a essa si ricollegava l’articolata politica ecclesiastica della famiglia, caratterizzata da mutevoli e delicati equilibri (internamente alla regione, ma anche nei rapporti con il Papato). Nel 1433 infatti Francesco Sforza aveva invaso la Marca e occupato diverse città, approfittando dell’indebolimento papale dovuto alla partenza da Roma dell’imperatore Sigismondo e al conflitto con il Concilio riunito a Basilea; era divenuto signore di Ascoli grazie alla capitolazione del 1° gennaio 1434 e lo sarebbe rimasto sino al 1447 (avendo nel contempo giurato fedeltà al papa e ottenuto la carica di governatore dell’intera Marca nel 1434). La nomina di Sforza va inquadrata in questo contesto di debolezza papale di fronte allo strapotere del potente capitano (che si concretizzò anche grazie alla collaborazione di altri esponenti degli Sforza, fratelli – come Giovanni, più volte governatore di Ascoli, Leone e Alessandro – o cugini – come Foschino Attendolo – del vescovo di Ascoli).
Il breve episcopato di Sforza – appena un triennio – pur inquadrandosi in una situazione generale piuttosto confusa e turbolenta, coincise con un periodo relativamente tranquillo per la regione e per la città, in quanto i conflitti tra le forze in gioco si erano spostati altrove e i presidii lasciati da Francesco Sforza riuscivano a tenere a bada la situazione. Il condottiero fu peraltro probabilmente presente ad Ascoli nel settembre del 1438, e partecipò con il fratellastro vescovo alle esequie del fratello Leonardo Sforza, che fu sepolto nel duomo cittadino; in onore di quest’ultimo, Francesco indirizzò alla cattedrale di Ascoli un’importante donazione di beni posti nella valle del fiume Tronto, omologando il testamento e devolvendo così alla Chiesa cittadina i beni precedentemente lasciati alla propria moglie da Nicola Tibaldeschi, orditore di una non meglio ricostruibile congiura contro di lui.
L’anno successivo Sforza prese parte al Concilio di Firenze, come testimonia una sottoscrizione, seppure erroneamente edita, che riporta «Bernotius (al posto del probabile e corretto P. Sfortius), episcopus Esculanus» (Marcucci, 1766, p. CCCXXVI). In alcuni documenti emanati nello stesso anno, ai titoli consueti di «episcopus et princeps Esculanus ac comes palatinus», Sforza aggiunge anche l’indicazione «et in hac parte commissarius et delegatus sanctissimi in Christo patris et domini domini Eugenii divina providentia pape quarti» (Ascoli Piceno, Archivio diocesano, Curia vescovile, Bullarium 5, c. 13v) ovvero «commissarius et executor» dello stesso (c. 15r), a significare non meglio specificate mansioni affidategli dal pontefice. Nel 1440 si trovò a comporre una controversia fra i canonici dell’ospedale di Santo Spirito e i monaci di S. Croce circa il possesso di taluni beni rivendicati dall’ospedale.
Nonostante la penuria e la laconicità delle fonti, sembra di poter affermare che sul piano amministrativo e pastorale Sforza non si lasciò condizionare più di tanto dai legami con l’élite politica cittadina, ma concepì e perseguì un progetto di graduale riorganizzazione della diocesi, fatto – secondo quanto risulta dallo spoglio dei bollari vescovili – di fitti interventi di collazione di benefici, di conferimenti di prebende, di nomine di abati, di erezioni di chiese, cappelle e altari, di ordinazioni sacre, di rilascio di dispense di giurisdizione vescovile, di composizioni di liti, di emanazione di disposizioni amministrative e disciplinari per il clero. Tra queste ultime, va ricordato il divieto fatto al clero secolare e regolare di frequentare e intrattenersi in ambienti secolari, e l’ordine indirizzato ai sacerdoti di non celebrare messa nella cattedrale e nel battistero durante la predicazione al duomo – che per le molteplici mansioni egli aveva affidato «ad viros potentes in opere et sermone» – fino al momento della confessione fatta dal predicatore. Né va dimenticata la creazione di notai, sulla scia di quella che per Ascoli era una consuetudine di lontane ascendenze, godendo i presuli cittadini di tale particolare privilegio per antica concessione imperiale.
Collaborò con Sforza in questa azione, assistendolo assiduamente nello svolgimento delle mansioni amministrative, il suo vicario, Lodovico de Natumbenis, decretorum doctor, nonché «locumtenens et procurator et vices gerens generalis ad hec et alia specialiter constitutus» (Ascoli Piceno, Archivio diocesano, Curia vescovile, Bullarium 5, c. 27v). Si tratta dell’unico esponente della familia di Sforza del quale si conoscano le generalità.
Complessivamente, si può parlare di un’amministrazione ordinaria, senza interventi di particolare rilievo né pastorale né giuridico, ma certamente intensa e partecipe e non priva di consapevolezza del proprio ruolo. La storiografia non si è peraltro sinora pronunziata riguardo a Sforza, se si fa eccezione per i merita probitatis richiamati da Lukas Wadding (Annales minorum..., 1642, p. 343) – che rimandano piuttosto a un uso formulare. Va segnalato però che alcune fonti documentarie alludono a un suo comportamento deprecabile dal punto di vista morale: il vescovo risulta, infatti, avere commesso violenza carnale su una donna, per il qual motivo venne celebrato un lungo processo postumo avendo il marito della stessa presentato istanza di divorzio, che però venne respinta dal foro ecclesiastico (Ascoli Piceno, Archivio diocesano, Quaternus processuum (1446-1448), cc. 118r-119r e 192r-193r).
L’ultimo anno dell’episcopato di Sforza vide la ripresa delle ostilità tra il fratellastro condottiero e il fronte a lui contrapposto, ove era ora schierato Eugenio IV, desideroso di recuperare le Marche al dominio pontificio, insieme a Visconti e ad Alfonso d’Aragona; tali contrasti erano destinati a perdurare sino alla fine della signoria sforzesca su Ascoli (1447).
La morte di Sforza può essere collocata verso la fine del 1441, dal momento che il 28 gennaio 1442 risulta il pagamento della consueta oblatio da parte del suo successore, Valentino da Narni.
Fonti e Bibl.: Ascoli Piceno, Archivio diocesano, Curia vescovile, Bullarium 5 (1430-1452), cc. 1r-36v; Quaternus processuum (1446-1448), cc. 118r-119r e 192r-193r; L. Wadding, Annales minorum seu trium ordinum a s. Franciscum institutorum, V, Lugduni 1642, p. 343; G. Gabrielli, Constitutiones et decreta synodalia Asculanae dioecesis, Asculi 1649, p. 21; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, coll. 468-469; F. Alari, Notizia cronologica dell’ingresso e progresso de’ Frati Minori del P. S. Francesco nella città di Milano, Milano 1733, pp. 126, 304; C. Eubel, Hierarchia catholica medii aevi, I, Monasterii 1913, p. 96; U. Hüntemann, Bullarium franciscanum [...]. Nova series, 1, 1431-1455, Ad Claras Aquas 1929, pp. 173 s. n. 377.
F.A. Marcucci, Saggio delle cose ascolane e de’ vescovi di Ascoli nel Piceno. Dalla fondazione della Città fino al corrente secolo decimottavo, e precisamente all’Anno mille settecento sessantasei dell’era volgare, Teramo 1766, pp. CCCXXV-CCCXXVI; N. Ratti, Della famiglia Sforza, II, Roma 1795, pp. 6 s., 15; G.I. Ciannavei, Compendio di memorie istoriche spettanti alle chiese parrocchiali della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli 1797, p. 226; P. Capponi, Memorie storiche della Chiesa ascolana e dei vescovi che la governarono, Ascoli Piceno 1898, pp. 115 s.; L. Bartoccetti, Serie dei vescovi delle diocesi marchigiane, in Studia Picena, XII (1936), p. 115; G. Fabiani, Ascoli nel Quattrocento, I, Ascoli Piceno 1950, pp. 14, 216, 275; G. Fabiani, Ascoli nel Quattrocento, I, Ascoli Piceno 1950; L. Mascanzoni, Muzio Attendolo da Cotignola, capostipite degli Sforza, in Nuova rivista storica, LXXXIX (2005), 1, pp. 55-82, nota 51 pp. 68 s. (ma, sulla scorta della Tavola 1 degli Alberi genealogici in C. Santoro, Gli Sforza, Varese 1968, lo dice vescovo di Asti); S. Andreantonelli, Storia di Ascoli, traduzione di P.B. Castelli e A. Cettoli, Indici e note di G. Gagliardi, Ascoli Piceno 2007, pp. 354 s., nota 260 p. 387.